Si susseguono negli ultimi mesi le grida di dolore e le analisi da talkshow sul fenomeno delle cosiddette babygang, termine ossimorico con cui piace ai giornalisti definire quello che a tutti noi era meglio noto come il fenomeno del "branco": gruppo di adolescenti, non necessariamente legato a una matrice malavitosa, ma che manifesta nei comportamenti bullistici e violenti una logica di sopraffazione non lontana da quella delinquenziale.
Nel chiacchiericcio mediatico non sono mancate voci fuori dal coro, anche di tanti parroci e di diverse realtà scolastiche e associative, nonché del sindaco di Napoli, che hanno reagito al facile etichettamento richiamando la complessità e multifattorialità di un disagio giovanile che accomuna tristemente "vittime" e "carnefici": la violenza è il gesto di chi non ha la parola, di chi vive nell'afasia linguistica ed emotiva, di chi si incontra fisicamente nei luoghi con l'altro, ma non ha strumenti per rapportarsi ad esso, se non la distruzione del nemico. E queste voci hanno posto fortemente il tema dell'inclusione nei percorsi educativi, della crisi genitoriale e dell'abbandono scolastico, della necessità di prevenire le esplosioni violente intervenendo sul "brodo di coltura" in cui esse nascono. Più scuola, si è detto spesso. E finalmente, ma solo di tanto in tanto, a qualche osservazione stereotipata (del tipo "solo la cultura vince sulla violenza") ci si è concentrati sulla necessità di costruire un lavoro di rete, che serva per dare ai bambini e alle bambine un'attenzione integrata, non frammentata in tanti interventi scollegati tra loro, ma partendo dalla scuola e dalla sua centralità per estendersi agli altri luoghi, fino alla strada e al vicolo, e coinvolgendo molteplici attori in tante opportunità.
In tal senso il ragionamento va ben oltre i quartieri in cui si sono manifestate le violenze, e non ha a che fare solo con i non-luoghi delle periferie, ma si estende a tutti i quartieri metropolitani in cui il disagio minorile si manifesta come una sorta di grumo che aggrega tanti fattori differenti e interroga molti attori. Non tutte le fragilità dipendono da vulnerabilità economica o da un background malavitoso, ma tutte hanno a che fare con la povertà culturale del tessuto sociale, con il vuoto valoriale e la crisi della genitorialità, con condizioni di vita in ambienti privi di occasioni.
Non a caso, come Assessorato alla scuola di Napoli, ormai da anni, stiamo lavorando sul disagio scolastico - un fenomeno multistratico- attraverso "tavoli di coprogettazione" impegnati innanzitutto nell' ascolto delle scuole, e quindi come presidio che intercetia per primo tutte le storie, per poi allargarsi a cerchio ai servizi sociali, alle reti educative territoriali, ai soggetti del privato sociale, cui di recente abbiamo affidato quattro percorsi di tutoraggio, divisi in quattro lotti territoriali. Inoltre, nei tavoli si chiede alle scuole di fornire una mappa della loro offerta, fatta di tante iniziative diverse, proprio perché le differenti progettualità non si trasformino in inutili duplicati, ma possano armonicamente entrare in un mosaico variegato.
Un metodo, quello del reciproco ascolto e della rete, che oggi trova una sua valorizzazione a Napoli, grazie anche al lavoro che Prefetto e Sindaco stanno conducendo congiuntamente, per promuovere una nuova interpretazione del “Comitato per l'ordine e la sicurezza”, non più visto come luogo per affrontare solo le emergenze di ordine pubblico, ma come spazio di riflessione e coordinamento per diverse azioni. Siedono a quel tavolo, accanto al prefetto e al questore, il Comune nelle diverse espressioni (politiche scolastiche, giovanili, sociali), l'Ufficio scolastico, le altre forze dell'ordine, il Tribunale dei minori, la Procura minorile, la Regione, le autorità di gestione dei Pon ministeriali. E lì si sta lavorando alla possibilità di accompagnare, con delle nuove figure di prossimità, i passaggi tra le scuole e i luoghi "informali", le altre opportunità formative e di crescita, siano esse lo sport, le arti, la vita associativa.
Ma, se sul metodo siamo a buon punto, restano però i temi strutturali, come l'espansione del tempo pieno, l'implementazione dei servizi all'infanzia. Queste necessità ci sono note da tempo, e hanno bisogno che i diversi livelli istituzionali le assumano come priorità. Per esempio, se il potenziamento del "tempo pieno" ha bisogno di un nuovo e diverso impegno del Ministero, visto che il Sud continua ad esserne quasi del tutto privo (Napoli col suo 35% è tra le città che ne ha di più), per i nidi la città di Napoli si sta muovendo in modo costante per ampliare l'offerta: entro il 2019, a conclusione del Piano di Azione e Coesione, arriveremo quasi al raddoppio delle strutture rispetto al 2011. Così come lavoreremo per accedere ai nuovi 28 milioni di finanziamento messi a bando dalla Regione Campania (POR FESR), per realizzare presidi e interventi.
Ma bisogna avere un po' di onestà intellettuale e riconoscere che i nidi, una volta aperti, vanno mantenuti. E, allora è importante sottolineare che, mentre il Comune di Napoli, nonostante i vincoli e il predissesto, si è speso e si spende per assumere maestre che non bastano mai, perché se si vuole mantenere un servizio pubblico e accessibile ai più poveri, i costi sono altissimi, alle roboanti promesse della “Buona scuola” non sono sinora corrisposte risposte soddisfacenti. Anzi, da un lato il riparto dei finanziamenti ha di fatto privilegiato le Regioni più forti del Centro Nord a discapito di quelle del Sud e, d'altro lato, nonostante le reiterate richieste anche di enti molto qualificati, come l'Istituto degli Innocenti di Firenze, siamo lontanissimi dal riconoscimento di questi servizi come servizi essenziali e non "a domanda individuale". Se tali fossero questo consentirebbe di non dovere ogni anno temere per la loro sopravvivenza.
E ci si dovrebbe anche chiedere perché ancora non si ha il coraggio di affermare la scuola dell'infanzia e la refezione scolastica come servizi obbligatori e generalizzati! Se venissero riconosciuti come tali, ovviamente bisognerebbe compiere investimenti centrali per supportare i Comuni, ma solo l'ipocrisia spinge a ritenere che questo investimento non sia altrettanto prioritario di quello, ben consistente, fatto sulla "meritocrazia" dei bonus individuali!
Sempre per onestà intellettuale, però, non vanno trascurate anche le responsabilità che riguardano l'insieme della società civile, in particolare quella borghese. È triste dover notare come tante delle scuole più inclusive, quelle che non fanno distinzioni tra classi e che non formano sezioni buone e classi ghetto, quelle che non competono in meritocrazia ma in accoglienza, che si interfacciano con i servizi sociali e inseguono i genitori disattenti e inadempienti, sono spesso in crisi di iscrizioni, perché la loro collocazione in zone difficili le rende poco appetibili nonostante la qualità dei progetti educativi e l’impegno dei docenti.
L'autonomia come gara ad essere più bravi e più "brillanti" ha provocato anche questo. Su Napoli, per esempio, basta leggere i dati di “Scuola in chiaro” e si scoprirà che dobbiamo lottare perché le scuole più in prima linea non si svuotino di anno in anno, messe a rischio nella loro stessa sopravvivenza dal pregiudizio. Nel quartiere popolare della Sanità, reso tristemente famoso dalle "stese", a lottare sono ottime scuole medie, e a poca distanza lo stesso si può dire facciano altre scuole, che lavorano tutti i giorni alla relazione interculturale, o come a Scampia dove la "scuola dei Rom" ogni anno sfida il pregiudizio per costituire le sue classi multiculturali. E gli esempi da citare ancora sarebbero ben numerosi...
Guardare in profondità ai fenomeni, conoscere per promuovere le soluzioni idonee, impegnarsi a supportare reti più deboli, vincere i pregiudizi che spingono a ghettizzare: di questo hanno bisogno tanti quartieri delle metropoli italiane e su questo quotidianamente devono impegnarsi insieme le istituzioni e la società civile. Quest'ultima guardando a fondo i disastri che l'adozione della logica cinica e neoliberista sta provocando nei contesti educative e sociali, e ponendovi rimedio, finché siamo in tempo. Per questo i titoli dell'informazione mediatica sulle babygang e la retorica delle narrazioni che spesso ne segue, serve a ben poco, se poi non si agisce di conseguenza.
Immagini tratte dai siti di scuole "di frontiera" di Napoli, come la Croce, la Russo Montale, la Bovio Coletta, la Gabelli, l'Alpi Levi...