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di Annamaria Palmierila scuola "scomoda"

01/04/2021

I danni della chiusura

“Chiudere è stato un atto di responsabilità del governo (…) Bisogna essere ancorati alla realtà: le scuole del primo ciclo le abbiamo tenute aperte fino allo stremo, anzi le scuole non hanno mai chiuso". 
Con queste parole il Ministro Bianchi ha difeso con semplicità  la decisione presa non a cuor leggero di rinunciare alla scuola in presenza anche per i  piccoli in larga parte del Paese. 

Le sue affermazioni, però, non rispecchiano il  Paese: in Campania le scuole sono state tenute “chiuse” fino allo stremo, non “aperte”: anzi hanno rivisto tutti gli allievi da vicino per alcune settimane tra dicembre e febbraio - a seguito di sentenze del TAR-  ed ora, come in tutta Italia, accolgono in percorsi di inclusione gruppi di bambini con disabilità e bes, per realizzare quella che gli operatori sociali definirebbero “riduzione del danno”. Riduzione, ma non risoluzione: gentile direttore, chi scrive osserva dall'esterno processi che i bravissimi docenti e dirigenti della scuola napoletana vivono da vicino e su cui tutti dovremo trovare strumentazioni  e risposte nuove. 

La chiusura delle scuole in Campania,  rivendicata con protervia quando non era necessario, ha dato linfa ad aspetti deteriori della cultura della nostra terra con cui dovremo fare i conti: non solo la disuguaglianza di opportunità tra i nostri studenti e il resto del Paese;  non solo la disaffezione allo studio generalizzata da parte di bambini e adolescenti di tutte le condizioni;  non solo, nonostante gli  sforzi dei docenti e il lavoro incessante condotto al loro fianco dalle reti del privato sociale, l'abbandono di tanti ragazzi in  condizione di maggior fragilità;  non solo indici di inadempienza che non si erano mai visti prima -  in certi quartieri triplicate le segnalazioni al servizio sociale-, non solo centinaia di richieste di “istruzione parentale”. 

Non solo; la chiusura della scuola in presenza ha fatto riemergere aspetti di quel familismo deteriore che purtroppo costituisce nel meridione una piaga contro cui la scuola pubblica ha da sempre combattuto: ha rigettato bambini e ragazzi tra le sue braccia. Il disvalore assegnato all'istituzione pubblica, la sottovalutazione  dell'istruzione come diritto del minore,  essenziale al suo benessere e al progetto  di vita, la scarsa attenzione ai bisogni del bambino come “persona”,  che comportava talora,  in certi quartieri,  la necessità di “convincere” le famiglie alla frequenza al nido o alla scuola d'infanzia; l'affidamento a reti familiari in cui la paura (che spinge a tenere lontani i figli  dalle classi) non va di pari passo con la consapevolezza del danno culturale e umano che si verifica se non gli si sta accanto, ai figli. Ha ragione Recalcati a dire che i ragazzi hanno straordinari mezzi di resilienza per venire fuori dalla perdita subita, ma la società che li circonda ce li ha? Molti sembrano rassegnati all'ineluttabile. Non è possibile colpevolizzare nessuno di fronte a tale rassegnazione,  tanto meno le madri che in certi contesti ogni mattina faticosamente, col corredo dei figli piccoli,  vanno in giro a far la spesa, a lavorare, e nella fatica non trovano certo sponde, o il tempo di fermarsi a ragionare su quello di cui i figli  avrebbero bisogno.
“Senza scuola non c'è infanzia” mi ha detto Mena Nocera, dirigente scolastica illuminata. “L'eredità negativa che ci lascerà il COVID sarà l'idea che a scuola “se voglio, ci vado”- così Ida Francioni, altra preside combattente. Idea delle famiglie, più che dei minori.  Dario Spagnuolo, altro dirigente in frontiera ha osservato amaramente  durante le conferenze di servizio sulla dispersione scolastica: “(I ragazzi e i bambini) hanno imparato da noi. Siamo stati come scuole intermittenti, disorientate. E loro sono così, saltuari nella frequenza, intermittenti, disorientati”.

Questo percepito di una scuola precarizzata  in tanti quartieri alimenta il danno che alla scuola stava già facendo, in tutta Italia,  l’idea della “libera scelta”, della sua  subalternità  alle scelte familiari. Scuola on demand, scuola che tende alla privatizzazione non tanto dal punto di vista del suo  governo, ma della sua offerta.  

Al Ministro allora, che si sta in questi giorni occupando di un programma-ponte tra giugno e settembre, sarà  chiaro di certo: non in tutta Italia la situazione può essere affrontata allo stesso modo.  Non in tutti gli ordini di scuole o indirizzi può essere proposta la stessa strategia. Qui, in molti quartieri,  non recupereremo il danno rendendo alle scuole un po' di fondi per realizzare accattivanti attività estive. Ci vogliono linee-guida ben chiare: interventi personalizzati, progetti sulle persone, non solo su quelli che sono andati in difficoltà ma  sui tanti che si sono persi. Ma per far questo bisognerà forse arrivare nelle case,  riprendere un dialogo con le famiglie, vincere e con-vincere dell' indispensabilità tutti gli attori. La scuola ha già dato tanto in questi mesi, ma è stremata: il sistema delle alleanze con il territorio e con le reti deve perciò rinforzarla e ricevere risorse ad hoc, destinate e vincolate. A nulla serviranno gli investimenti  se non arriva  chiaro il messaggio che – come dopo l'unità d'Italia, come nel dopoguerra, come negli anni di Don Milani  – si devono far uscire i ragazzi da una condizione di povertà educativa  delle famiglie e dei contesti peggiore della precedente, perchè peggiorata dal messaggio di svalutazione della scuola passato in tutti questi mesi: e bisognerà farceli uscire uno ad uno, non uno di meno. Tenendo al centro la scuola, di cui si è smarrita la centralità. 

 

Di che cosa parliamo

La scuola, se è vera scuola, scomoda le coscienze e le scuote dall'indifferenza poiché è luogo e pratica di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di convivenza solidale.
La scuola, se è vera scuola, è contraria al pensiero unico, al conformismo, alle mode, al quieto vivere perché è luogo e pratica di riflessione critica, di sguardo problematico, di pensiero divergente.
E per questo la scuola è scomoda.
È  scomoda perché pratica e rispetta le diversità e i disagi, ma spesso vi si lascia travolgere e inibire e allora diviene scomoda a se stessa.
E deve essere scomoda anche per tutti coloro che la vorrebbero luogo di competizione, di gara, di apprendistato all'arrivismo e alla prevaricazione.
In tal senso  la rubrica raccoglie e racconta momenti e situazioni di scuola "scomoda", talvolta anche per se stessa e spesso per i territori in cui come Istituzione vive e agisce.

L'autrice

Insegnante di liceo, collabora a contratto con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli; è stata per due mandati Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli al servizio della scuola della sua città, intesa e praticata come diritto inalienabile e bene comune. Attualmente è dirigente scolastica a Torino. 


 

maestri copertina

Annamaria Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Aracne, Ariccia, 2015, pp. 246, 14 euro in volume, 8,4 euro in PDF

Nella storia dell’Italia post-unitaria la scrittura letteraria dei maestri-scrittori ha assunto un’importanza straordinaria, perché proprio la scuola ha dovuto affrontare i problemi fondamentali, e tuttora in parte irrisolti, di formazione dell’unità culturale, umana e linguistica della nazione. L’autrice affronta il nodo interpretativo di questa narrazione compiendo una scelta esemplare: tre ‘maestri’, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Lucio Mastronardi, che sono stati scrittori e intellettuali e che hanno vissuto in un’aula scolastica un momento determinante della loro esperienza esistenziale. Per tutti e tre, la scuola fu il luogo di una delusione ma anche della denuncia, humus originario del loro impegno civile, contro la degenerazione del capitalismo e le storture di una società iniqua che vanificava l’utopia democratica ed egualitaria su cui la scuola di massa era nata o stava nascendo: eroi moderni del racconto di un’umile Italia che vive un’ultima stagione di ‘resistenza’ contro la trasformazione in una nazione senz’anima e senza cuore.               

Leggi la recensione su insegnare di Rosanna Angelelli

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