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di Annamaria Palmierila scuola "scomoda"

16/01/2023

Dopo le "istruzioni operative" per i piani di investimento

Il 30 dicembre 2022 sono state finalmente pubblicate le "Istruzioni operative" per l'attuazione dell'investimento 1.4 del PNRR rivolto alle scuole per ripercorrere e colmare i divari culturali territoriali e sociali [1]. Eravamo, come scuole "potenzialmente destinatarie" (il riparto infatti ti assegna i fondi sulla carta, l'atto di impegno a seguito della predisposizione del progetto e del suo inserimento in piattaforma sono il vero e proprio start) tutte in trepidante attesa. Qualcuna, da agosto ad oggi, aveva già avviato i motori. Nel mio caso, come dirigente di un istituto professionale, devo dire che si era già fatto un buon lavoro, sulla base degli Orientamenti per l'attuazione degli interventi nelle scuole di luglio 2022, seguiti quasi alla lettera: nomina trasparente, a seguito di autocandidature ed elezione in collegio, del team , composto per ora dai docenti interni; analisi di contesto sugli allievi ed individuazione di un progetto preliminare; avviso pubblico per insediare in modo trasparente un tavolo di co-progettazione con enti e associazioni del terzo settore, stesura di una griglia di attività pensata sulla base delle tipologie indicate (mentoring, potenziamento, orientamento famiglie e alunni, laboratori extracurricolari, etc). Ovviamente, il tutto finalizzato a salvare da un destino di dispersione (implicita ed esplicita) e di abbandono i ragazzi e le ragazze in condizione di fragilità, che poi sono quelli che spesso, senza avere disabilità diagnosticate, ci arrivano inquieti, oppressi da rabbia o insicurezza, con background familiare demotivante, talora poveri e costretti a lavorare invece di fare i compiti o attività sportive, a volte non italofoni, e così via, come chiunque conosca e viva la scuola ben sa. Li conosciamo, i ragazzi e le ragazze che hanno bisogno di aiuto per restare alunni, e giungere al diploma, quelli cui serve maggior sostegno per non deprimersi o fuggire, disaffilliati alla scuola come spesso lo sono, o sono state, le loro famiglie.
E dato che questi stessi ragazzi soffrono il tempo-scuola come una prigione, con il nucleo del team, composto da docenti appassionati e volenterosi, ci siamo impegnati a scrivere e progettare per loro azioni di mentoring, tutoraggio e accompagnamento al quotidiano scolastico curricolare ed extracurricolare.
Ci siamo sforzati di immaginare un nuovo modo, di progettare attività di collegamento tra scuola di provenienza e di arrivo, tra interno ed esterno, puntando all'inserimento in classe di figure di educatori, formatori e orientatori che, insieme ai docenti e in dialogo costante con essi, sperimentassero, anche in percorsi di ricerca- azione, nuove strategie didattiche. Per molti allievi, il laboratorio extra, fuori del tempo-scuola ordinario, non avrebbe alcun senso: ciò di cui necessitano è soprattutto un sostegno allo studio, alla frequenza, alla relazione sana e quotidiana con la comunità scolastica, coi docenti. E non è facile inscatolare in "pacchetti" di 20-30 ore sul modello dei PON le loro esigenze, i loro bisogni. Forse è quello a cui pensava il Ministro parlando di "tutor" in classe? Ebbene, a noi era sembrato già molto chiaro: se i fondi PNRR devono contrastare i divari, bisognerà ampliare per i nostri ragazzi difficili i punti di riferimento, farlo uno ad uno, dentro la classe e oltre la classe, semmai accompagnarli non episodicamente e in modo frammentario dal tempo dell'aula al tempo del quartiere; e intanto, nel contempo, pensare di predisporre sportelli per le famiglie, esse stesse da sostenere e orientare, semmai con la scusa (il gancio) di aiutarle a compilare una domanda di iscrizione...
Questo e altro è nel nostro libro dei sogni per ridurre i "divari".

Purtroppo, per farci tornare alla cruda realtà, le "Istruzioni operative", rispetto agli "Orientamenti", ci dicono oggi una cosa nuova e diversa: tutte le attività vanno pensate oltre il tempo scuola, fuori dall'orario scolastico. Vanno separate dalla scuola del curricolo, dalla "frequenza scolastica". E (con latenti minacce di commissariamento in caso di non raggiungimento dei target "predefiniti", come lo sono stati i finanziamento stessi) imPONgono un ritorno alle modalità già note, spesso nel passato poco fruttuose: quelle, appunto, dei moduli PON nell'extrascuola.
Allora mi chiedo, in tanti ci chiediamo: ci vorrà il contributo di una schiera di neurologi, psicologi o sociologi per valutare quel che ogni giorno è evidente in ogni contesto-classe, e cioè che far stare a scuola per un surplus di ore, mattina e pomeriggio, chi ostenta disagio a starci anche nelle ore obbligatorie della mattina, diventando talora "mina vagante" da "contenere", non sia una ricetta valida?
Ci vorrà un pedagogista, di certo più titolato di chi scrive, per affermare che viceversa fare sostegno ed orientamento in classe, con i tuoi docenti e compagni e semmai anche con esperti - selezionati ad hoc - renda migliore il clima anche con i docenti e favorisca un ambiente di apprendimento realmente inclusivo, nonché lo scambio di pratiche efficaci? Non vorremmo star qui a profetizzare che ancora una volta si rischia di spender fiumi di denaro senza raggiungere chi andrebbe davvero raggiunto, ma la preoccupazione c'è, e non è di natura burocratica. Ad esempio, ci si può chiedere che aiuto fornire - fuori dal tempo curricolare - a quell'allievo del primo anno che non sa stare fermo nel suo banco e fa esasperare tutti i prof (e mai ci resterebbe per ore in più)? Oppure a quello che scappa via al primo campanello, e studia poco, perché corre a lavorare per sostenere il reddito della sua famiglia? O a quello con atteggiamenti da bullo, che maschera col disinteresse e i comportamenti di derisione, aggressività e disturbo il senso di inadeguatezza spesso interiorizzato negli anni?  La domanda che sto PONendo è nuova e vecchia al tempo stesso: la centralità va data all'alunno, quello "reale", o al sistema?
Detto questo, da "servitore dello Stato", perseguo da decenni una idea anche troppo "scuola-centrica" della crescita dei nostri giovani: la scuola a cui mi sono votata con passione 35 anni or sono deve e può essere scuola a tempo pieno, ricca, varia, aperta, centro di una rete di relazioni, e soprattutto luogo propulsivo, motore della società e del cambiamento. E così, in ogni caso, viste le istruzioni operative, con i volenterosi docenti del nostro team, riprogetteremo tutto il progettabile e il pensabile per l'extrascuola.

Non spendo parole, qui, su un'altra gravissima preoccupazione, legata alla non ammissibilità di spese per gestione e rendicontazione amministrativa, che in segreterie scolastiche spesso asfissiate da compiti immani, e caratterizzate da personale precario e ballerino, provocherà una vera e propria rivolta: potrebbe sembrare un commento "interessato" del dirigente scolastico, notoriamente afflitto dalle incombenze amministrative al punto da esser costretto a trascurare la leadership didattica, e dunque non approfondisco.
Preferisco pensare agli alunni, solo a quelli. E così, ancora una volta, come per i PON, ci si industrierà per convincere con ogni mezzo i vari Giuseppe, Maria, Gennaro, Mohamed, che è meglio restare a scuola nei loro pomeriggi, piuttosto che sostare con gli amici davanti al bar o perdersi davanti a uno smartphone, ma tra il tempo del mattino e quello del pomeriggio resterà una frattura, e sarà la cesura che ben conosciamo tra la scuola dei progetti e un serio progetto di scuola. E la stessa definizione del PNRR 1.4 come programma di "performance" a questo punto lascia perplessi.
Eseguiremo, ne sono certa: tutti, dirigenti, docenti, esperti, "attaccheremo il ciuccio dove vuole il padrone" come recita un detto napoletano.  A volte potrà avvenire che i progetti, i moduli, i corsi pomeridiani, pur se ben pensati e progettati, moriranno in itinere (come accade spesso con i PON) per "moria degli iscritti". E nessuno potrà farci nulla, perché il mancato "raggiungimento del target" ci lascerà tutti con l'amaro in bocca alla stessa maniera: ma non puoi obbligare nessuno studente oltre il tempo obbligatorio, anche se stai lavorando per il suo bene. E a quanto pare, vista la proposta dei "tutor", il Ministro Valditara lo sa.
Noi andremo avanti. Ma non ci fa bene: perché non è ritenendo che i ragazzi che fuggono la mattina nel pomeriggio con 20 o 30 ore in più si salvano: non è così che si cambiano le cose. Le cose cambiano se si previene il vero disagio, multifattoriale e multidimensionale, ripensando alla radice i modelli già sperimentati, rinnovandoli, rivoluzionandoli. In qualunque momento lo si scovi, in aula, in classe, in ogni situazione che sia utile. Prima della campanella e anche dopo. Tutte le volte che c'è e che si manifesta, quel divario, e ciò può accadere nei gruppi piccoli, o ad uno solo, anche e soprattutto durante il tempo curricolare.
E le cose cambiano se la burocrazia non uccide entusiasmo e buone idee con la richiesta di performance irrigidite in schemi ossessivi.  In fondo vorremmo solo che chi prescrive le ricette, come un buon medico, di tanto in tanto si ricordi di guardare in faccia il suo paziente; nel caso, basterebbe farsi un giro, anche veloce, in un'aula scolastica reale, possibilmente quella in cui Giuseppe, Maria, Gennaro o Mohamed non riescono a stare al passo, e prima o poi, speriamo mai, col proprio bagaglio di frustrazione e fallimento finiscono per abbandonare il campo.

 

Note

1. Per la "Guida operativa" vedi Come presentare un progetto, Futura-PNRR Gestione progetti. 

 

Di che cosa parliamo

La scuola, se è vera scuola, scomoda le coscienze e le scuote dall'indifferenza poiché è luogo e pratica di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di convivenza solidale.
La scuola, se è vera scuola, è contraria al pensiero unico, al conformismo, alle mode, al quieto vivere perché è luogo e pratica di riflessione critica, di sguardo problematico, di pensiero divergente.
E per questo la scuola è scomoda.
È  scomoda perché pratica e rispetta le diversità e i disagi, ma spesso vi si lascia travolgere e inibire e allora diviene scomoda a se stessa.
E deve essere scomoda anche per tutti coloro che la vorrebbero luogo di competizione, di gara, di apprendistato all'arrivismo e alla prevaricazione.
In tal senso  la rubrica raccoglie e racconta momenti e situazioni di scuola "scomoda", talvolta anche per se stessa e spesso per i territori in cui come Istituzione vive e agisce.

L'autrice

Insegnante di liceo, collabora a contratto con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli; è stata per due mandati Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli al servizio della scuola della sua città, intesa e praticata come diritto inalienabile e bene comune. Attualmente è dirigente scolastica a Torino. 


 

maestri copertina

Annamaria Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Aracne, Ariccia, 2015, pp. 246, 14 euro in volume, 8,4 euro in PDF

Nella storia dell’Italia post-unitaria la scrittura letteraria dei maestri-scrittori ha assunto un’importanza straordinaria, perché proprio la scuola ha dovuto affrontare i problemi fondamentali, e tuttora in parte irrisolti, di formazione dell’unità culturale, umana e linguistica della nazione. L’autrice affronta il nodo interpretativo di questa narrazione compiendo una scelta esemplare: tre ‘maestri’, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Lucio Mastronardi, che sono stati scrittori e intellettuali e che hanno vissuto in un’aula scolastica un momento determinante della loro esperienza esistenziale. Per tutti e tre, la scuola fu il luogo di una delusione ma anche della denuncia, humus originario del loro impegno civile, contro la degenerazione del capitalismo e le storture di una società iniqua che vanificava l’utopia democratica ed egualitaria su cui la scuola di massa era nata o stava nascendo: eroi moderni del racconto di un’umile Italia che vive un’ultima stagione di ‘resistenza’ contro la trasformazione in una nazione senz’anima e senza cuore.               

Leggi la recensione su insegnare di Rosanna Angelelli

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