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di Annamaria Palmierila scuola "scomoda"

10/01/2022

Tre riflessioni per affrontare il caos

Sul tema scuola aperte/scuole chiuse, presenza/distanza, propongo tre riflessioni, ciascuna legata a tre spunti recenti.

La prima. Il professor Galli in uno dei tanti talk show, provocato sull’argomento, ha definito “ideologico” l’atteggiamento di difendere  le scuole aperte non in DAD: e tale esso appare se lo si sposta subito su un piano di conflitto e divisione sociale, di lotta tra fazioni pro e contro, tra Presidenti di Regione e Governo, tra dirigenti e genitori, e così via,  come si usa fare sui vaccini o su qualsiasi altro argomento.  L’elemento debole di questo modus operandi però, nel caso della scuola, è di tutta evidenza: volere le scuole aperte e abitate dagli alunni cui sono destinate non è ideologico, più di quanto non lo sia voler tenere aperte le biblioteche per gli studiosi o, per dirla provocatoriamente, i supermercati per chi deve fare la spesa. Se una cosa è essenziale, lo è e basta. La scuola è diritto essenziale? Crediamo di sì. Come lo sarebbero, in verità,  gli ospedali per i ricoveri programmati da tempo per patologie diverse dal Covid. E’ passato in sordina, ma è successo anche questo: la Campania non garantisce più i ricoveri programmati, siano essi di tumore o colicisti, anche se attesi in lista da mesi o anni. Resta l’opzione del privato, per chi può permetterselo. Ed ecco che come per la scuola, il discrimine e il danno  diventano anche sociali, fonti di nuova e potente disuguaglianza.

La seconda. Sulle pagine del Sole 24 ore del 6 gennaio il prof . Alberto Felice de Toni ci ha regalato un’utilissima riflessione sulla differenza tra fenomeni complicati e fenomeni complessi: se per i primi lo schema classico “analisi-pianificazione-implementazione” può funzionare, nei secondi,   che sono dinamici, non esistono modelli ex-ante e lo schema più adatto per governarli è “azione-apprendimento-adattamento”: la pandemia è un sistema complesso, con tratti di caos, e come tale costringe ad adattare continuamente le scelte alle nuove perturbazioni. Come un aliante che debba rivedere continuamente la traiettoria a causa del variare dei venti, spiega de Toni, lo  schema d'azione deve essere  reattivo e adattarsi ai processi evolutivi generati dall'interazione di numerosissimi soggetti: centri di ricerca, grandi imprese farmaceutiche, stati nazionali, governi federali, organizzazioni, enti, istituti. E varianti. “La pandemia è un esempio eclatante di complessità. Le continue mutazioni del corona virus stanno ai venti, come la soluzione della pandemia sta alla traiettoria dell'aliante”-
Ma allora, a maggior ragione necessitiamo non soltanto di bravi medici o di tanti investimenti, ma anche di misure di accompagnamento da parte della politica che aumentino la coesione sociale, la condivisione da parte della comunità e non le divisioni. Cosa che chiudere le scuole decisamente non fa.

In ultimo. In una delle numerose circolari di chiarimento, il Capodipartimento del ministro Bianchi, Stefano Versari, usando la citazione di un romanziere spagnolo, J.A.González Sainz, ha osservato  che ci sono momenti in cui la realtà irrompe e scompagina.  “La realtà di questo tempo ci ha scosso. Più ancora ha scosso i nostri studenti che, pur animati dalla giovanile baldanza, sono in itinere nella costruzione del proprio sé (…). Perciò ognuno di noi, in questo tempo, è chiamato a fare quanto più e meglio può, nello svolgere il compito scolare cui a diverso titolo è chiamato”.
La conclusione “filosofica” di Versari ha suscitato molte reazioni, ha anche fatto arrabbiare tanti dirigenti: sembrava troppo “paternalistica”, specie quando richiamava tutti al coraggio di “ascoltare, relazionarsi, confrontarsi, mettersi in gioco (…) essere pronti ad assumere rischi e decisioni... essere coraggiosi...”.
Anche io ne sono rimasta colpita. Da qualche mese sono Dirigente scolastica a Torino, in un Istituto professionale, ad alto tasso di immigrazione, nel quale più che mai il tempo scuola in presenza, i laboratori e gli stage, sono fondamentali. Dirigo una scuola che a distanza perde - nonostante i meritevoli sforzi dei docenti- il proprio senso ultimo, sociale, relazionale,  formativo, trasformativo.

Ecco, io credo che sia vero che ognuno di noi oggi può fare solo quanto di meglio può;  e credo  anche che l’ultimo decreto-legge che introduce farraginose regole sulle quarantene, regole di fatto impraticabili  se confrontate con le limitazioni imposte dal garante della privacy, o con le pastoie delle relazioni con  le Asl, abbia esasperato gli animi di dirigenti già provati da compiti immani e coraggiosi: ad esempio quello di sospendere durante le vacanze natalizie e  con sofferenza alcuni  lavoratori per inosservanza vaccinale, o decidere come far scuola domani con il  personale ridotto al lumicino dai contagi. Però, io credo, la soluzione non è chiudere, e per questo non ho firmato alcun appello al Ministro, a cui rivolgerei solo l’invito a tener conto del fatto che - se si chiede adattamento nei confronti della complessità -  questo debba valere per tutti; e dunque lo inviterei a tenere a freno  i burocrati ministeriali e le loro continue e incessanti “rilevazioni di adempimenti” o la loro prontezza alle sanzioni e alle bacchettate.
Ma non posso pensarmi come Dirigente di una scuola chiusa, che tiene fuori dalle proprie mura chi ne ha bisogno. Ecco, come un ospedale che non cura i malati, la scuola senza i ragazzi e le ragazze, i bambini e le bambine, è triste cattedrale nel deserto. Lasciamole stare, le scuole, fuori dalla bagarre dei conflitti, e gestiamo come si può, per quel che si può, il momento. Sapendo di poter sbagliare e di dover continuamente correggere la rotta del nostro povero aliante che si chiama Paese.

 

 

 

 

Di che cosa parliamo

La scuola, se è vera scuola, scomoda le coscienze e le scuote dall'indifferenza poiché è luogo e pratica di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di convivenza solidale.
La scuola, se è vera scuola, è contraria al pensiero unico, al conformismo, alle mode, al quieto vivere perché è luogo e pratica di riflessione critica, di sguardo problematico, di pensiero divergente.
E per questo la scuola è scomoda.
È  scomoda perché pratica e rispetta le diversità e i disagi, ma spesso vi si lascia travolgere e inibire e allora diviene scomoda a se stessa.
E deve essere scomoda anche per tutti coloro che la vorrebbero luogo di competizione, di gara, di apprendistato all'arrivismo e alla prevaricazione.
In tal senso  la rubrica raccoglie e racconta momenti e situazioni di scuola "scomoda", talvolta anche per se stessa e spesso per i territori in cui come Istituzione vive e agisce.

L'autrice

Insegnante di liceo, collabora a contratto con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli; è stata per due mandati Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli al servizio della scuola della sua città, intesa e praticata come diritto inalienabile e bene comune. Attualmente è dirigente scolastica a Torino. 


 

maestri copertina

Annamaria Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Aracne, Ariccia, 2015, pp. 246, 14 euro in volume, 8,4 euro in PDF

Nella storia dell’Italia post-unitaria la scrittura letteraria dei maestri-scrittori ha assunto un’importanza straordinaria, perché proprio la scuola ha dovuto affrontare i problemi fondamentali, e tuttora in parte irrisolti, di formazione dell’unità culturale, umana e linguistica della nazione. L’autrice affronta il nodo interpretativo di questa narrazione compiendo una scelta esemplare: tre ‘maestri’, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Lucio Mastronardi, che sono stati scrittori e intellettuali e che hanno vissuto in un’aula scolastica un momento determinante della loro esperienza esistenziale. Per tutti e tre, la scuola fu il luogo di una delusione ma anche della denuncia, humus originario del loro impegno civile, contro la degenerazione del capitalismo e le storture di una società iniqua che vanificava l’utopia democratica ed egualitaria su cui la scuola di massa era nata o stava nascendo: eroi moderni del racconto di un’umile Italia che vive un’ultima stagione di ‘resistenza’ contro la trasformazione in una nazione senz’anima e senza cuore.               

Leggi la recensione su insegnare di Rosanna Angelelli

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