In questi mesi il chiacchiericcio, certamente non casuale, sulla “Buona scuola” si è occupato di alzare una cortina fumogena attorno alla scuola reale, spesso con l’intenzione di delegittimare e mettere in cattiva luce gli oppositori della “riforma” e certamente col risultato di sviare l’attenzione da ciò che la scuola vive e che realmente la caratterizza.
Valutazione, precariato, merito, competizione, classifiche: fiumi d'inchiostro e di commenti banali sono stati versati anche perché la scuola è come il calcio, si sa, e per il fatto di essere stati seduti tra i banchi o di aver messo un paio di scarpette di pallone ci si ritiene tutti esperti giudici del settore.
Eppure siamo ormai abituati al fatto che spesso, troppo spesso, lo spazio mediatico sulla scuola pubblica sia occupato dalle carenze e dai limiti, mentre quasi mai si narra il positivo e il bello che nella scuola già c'é.
Non si racconta, per esempio, dei tanti confini difficili su cui le scuole lavorano e inventano. Non si dice delle scuole, degli insegnanti e dei maestri che nelle città, come nei paesi, nelle periferie urbane e sociali, non solo insegnano e aiutano a crescere ma anche costruiscono relazioni e aggregazioni. Diventando, spesso, le uniche istituzioni sempre credibili sul territorio. Eppure, con semplicità e senza nessuna tentazione di nascondere quello che non va, basta guardare! Basta fermarsi, per cogliere le tante esperienze positive, a volte le vere e proprie invenzioni educative e di cittadinanza, che nella scuola, anche con il supporto di altri enti e soggetti, nascono, prendono corpo e si stabilizzano.
In questi anni, girando le scuole come Assessore all’istruzione della mia città, ho visto che un decisore politico non deve solo pretendere di indirizzare, o gestire, ma deve saper mettere l'orecchio a terra e cogliere quello che si muove nel corpo territoriale di cui si sta occupando. E così tra gli impegni dell’amministrazione, abbiamo provato, tra le altre cose, a fare anche questo: ad osservare e individuare; a sostenere e valorizzare tutte quelle pratiche che restituivano fiducia in una scuola che da una parte portava il "bello" dentro di sè, dall'altra guardava al territorio e ai suoi attori come alleati.
Anche in questi giorni di dibattito, ho riascoltato un bisogno, che già mi era noto: quello di essere ri-conosciuti come comunità per ciò che si fa di buono, e che dura fatica, lavoro. Le scuole sono spesso "usate" quando fanno bene, nei loro progetti migliori, trasformate in pubblico o in vetrina per eventi.
Ma dietro questo “far bene”, dietro questa scuola che è già buona, dietro i suoi tanti “prodotti” prodotti ci sono scelte pedagogiche complicate, ore ed ore di lavoro, discussione, trasformazione delle conoscenze in competenze trasversali... sopratutto c'è impegno collegiale, non individualismi da premiare!
Oggi, che ancora una volta ci si confronta con una riforma, e mentre ancora ne appaiono incerti gli esiti e dubbiosi i confini, pensiamo che tale patrimonio di idee, pensieri e pratiche vada socializzato e reso pubblico alla città, non solo agli addetti ai lavori o a quelli che direttamente e indirettamente con la scuola entrano in relazione. Perché la scuola pubblica è di tutti, e riguarda tutti. Per questo abbiamo pensato ad un momento cittadino in cui le scuole, i dirigenti, i docenti, gli alunni potessero raccontarsi attraverso le proprie narrazioni originali e creative, slegate dalla forma dell'intervento o dalla liturgia, a volte stanca, del convegno. Pochi minuti per ciascuno, un flash, uno scatto, uno spot, ma dietro cui si nasconde la fatica e la forza di una comunità intera.
“La scuola buona... che c’è già”, così abbiamo denominato questo appuntamento corale, che ha voluto essere questo: un momento di incontro e scambio, che focalizzasse l'attenzione non sul contenitore organizzativo (come fanno le riforme, compreso l'attuale disegno di legge) ma sul cuore vero della scuola, che è da un'altra parte. Non sta negli organigrammi, nelle parole d'ordine, ma sta nella relazione quotidiana, faticosa ed esaltante, tra adulti che educano e giovani che crescono e che a loro volta insegnano a noi adulti come vorrebbero il mondo.
Del resto, dar spazio e voce a ciò che a scuola accade davvero significa sottolineare la continuità della fatica di docenti e degli allievi anche contro la competitività individualistica e meritocratica, per una scuola inclusiva e che compensi gli squilibri sociali e sconfigga davvero la dispersione. Perchè questi sono i veri problemi della scuola, tutti da risolvere, non chi decide assunzioni, premi e punizioni, semmai trasformando la libertà di insegnamento in una rincorsa al servilismo...
E così, in un mattino di giugno in un cinema cittadino, oltre 30 scuole hanno mostrato documenti e testimonianze dei cori, degli spettacoli, dei video e dei tanti laboratori creativi. I loro prodotti sono ovviamente solo una piccola parte, ma esemplificativa, della mole di lavoro che tutte le nostre scuole fanno, comunali e statali: avremmo potuto riempire 100 piazze, 100 giorni e il racconto dei percorsi e dei talenti non sarebbe sttao comunque esaustivo. Nonostante i tempi ristretti e le incombenze di fine anno, si è arrivati a mettere insieme un piccolo “festival” che andrà certamente ripetuto, perché tante, troppe esperienze significative ancora hanno bisogno di essere conosciute e ri-conosciute.
E sento di interpretare il pensiero di molti presenti quel giorno se dico semplicemente che ci piacerebbe un legislatore che si fermasse a riflettere su queste buone pratiche; e che comprendesse che metterle a sistema, trasferirle e renderle forti, dar loro le gambe per camminare, gli spazi per agire, le risorse per radicarsi è ciò di cui la scuola e la società tutta hanno veramente bisogno.
Certo, tutto si può migliorare; e i tagli degli ultimi anni hanno reso più difficile anche il buon esito del fare scuola quotidiano. Ed è vero che non tutte le comunità scolastiche hanno la stessa forza nel proporre innovazione e nel proporsi come agenti di cambiamento. Il che comporta però la necessità di aiutare e supportare di più le realtà più fragili, non certo di giudicarle a mero scopo classificatorio. Perché, al di là dei limiti contingenti, le avventure e disavventure culturali ed emotive che dentro la scuola pubblica si realizzano sono molto più di un compito istituzionale, sono il pensiero e il motore di cui tutti abbiamo bisogno per non rassegnarci. La scuola buona non è quella che ratifica l'esistente – e per questo la disturba l'inutile vizio di competizioni individualistiche – ma quella che ripensa il mondo che c'è per trasformarlo attraverso i saperi, i colori, gli odori e la bellezza dell'immaginario e della scienza.
Video realizzato dall'Istituto Comprensivo A. Ristori e dal Comune di Napoli, in occasione della manifestazione "La scuola buona ... che c'è già" del 04.06.2015