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di Annamaria Palmierila scuola "scomoda"

05/01/2024

La scuola che si presenta nel 2024: da cosa vogliamo cominciare? “Facite ammuina….”

 

Da cosa vogliamo cominciare , per parlare della scuola che ci attende secondo la visione del governo Meloni? Potremmo partire dalla filiera tecnologico-professionale, con il taglio di un anno di scuola proprio a quella platea di allievi, spesso con retroterra complessi, che di scuola avrebbe più bisogno. L’assunto implicito: che vadano a lavorare, se non ce la fanno, e siano “riorientati”  per l’impresa (ma quale?).  
Oppure, potremmo iniziare dal dimensionamento, che riduce e accorpa le autonomie scolastiche e provoca un tale terremoto nei territori che persino la maggioranza che l’ha pensato, oggi,   nel Milleproroghe,  prova a metterci una pezza salvando il 2% degli uffici tagliati (ma solo per un anno, ed è goccia nel mare).
Ancora, potremmo partire dai milioni di euro del PNRR buttati nel mucchio, con segreterie e organi collegiali stremati, costretti  a programmare a comando - senza alcuna visione e condivisione, o anche soltanto senza una tempistica ragionevole -   ora nuovi corsi per la transizione digitale, ora le aule innovative, ora un nuovo laboratorio, ora corsi sulle STEM e sulle competenze multilinguistiche  rivolti ad  alunni i quali – ad un primo sondaggio – non hanno alcuna intenzione di trascorrere l’intera loro esistenza a scuola ad accontentare le velleità “ a tempo” delle burocrazie ministeriali.  Non dimentichiamo le 30 ore annuali sull’ educazione affettiva, sbucate come progetto sperimentale da aggiungere al caos.
Mentre il curricolo dei saperi -cuore pulsante della scuola-  langue e si riduce.

Dell’investimento sui nuovi concorsi, pure è giusto dire: peccato che tra di essi spunti sempre qualche magagna, come quell’ emendamento di FdI  che dà via libera ad un bando  per la dirigenza scolastica “riservato” a quanti nel concorso precedente (correva l’anno 2019) abbiano attivato un contenzioso contro la propria bocciatura, ricorso di qualsiasi genere, anche caducato, anche respinto dal Consiglio di Stato (!). Il che delinea una dinamica per cui nella Pubblica Amministrazione in Italia si entra non mediante pubblico concorso, come recita l’art.97 della Costituzione, ma per avvenuto ricorso, e suggerisce a tutti i futuri candidati – docenti o dirigenti, stupidi se non lo fanno -  di procurarsi non tanto manuali per la preparazione, ma buoni avvocati. Che questa sia una vicenda assai bislacca lo sa il Ministero del cosiddetto Merito (che definizione avventata!), che nel bando stabilisce che questo concorso salva-bocciati sia a costo zero per la comunità, imponendo alla schiera dei partecipanti esose gabelle : un lapsus, o una sorta di tacita confessione? Eppure nulla ci sarebbe da imputare agli interessati, visto che in questo Paese vige l’incertezza del diritto:  ciò che più indigna è che certi percorsi clientelari della politica danneggiano migliaia di vincitori di quello stesso concorso nazionale,  spediti  da anni fuori sede in regioni lontane da casa e senza speranza di ottenere il legittimo rientro. 

Ma chiudiamo in bellezza con le promesse dell’ultim’ora: Valditara promette che l’aggiornamento dei docenti sarà pagato, con un bel premio in busta paga.  In verità, non si capisce ancora con quali criteri si “premierà”: soldi per i più bravi o per chi invece non lo è e dovrebbe diventarlo? Attendiamo lumi, come da molti anni aspettiamo il Godot della cosiddetta “valutazione di qualità” dell’insegnamento.

Di certo, il Ministro riporta la scuola al centro del dibattito nel Paese: mentre nel Bilancio di Stato  spariscono i fondi per la perequazione sociale,  a meno che le donne non facciano due o tre figli, oggi  intravediamo per la scuola una fibrillante azione riformatrice che non si vedeva dai tempi di Renzi. E dietro l’angolo ci aspetta l’autonomia differenziata, su cui il Veneto imprime oggi un’accelerazione e che forse segnerà la definitiva sparizione di una scuola pubblica unita e unitaria. 
E perciò, dentro le scuole,  sempre più spesso il sentimento è un altro: per favore, fermatevi, con questa eterna riforma. “State buoni, se potete”.

 Vera attenzione e cura sarebbe quella che concede l’ascolto,  che dà il tempo di ottenere risultati,  che sollecita la base a  ricercare e realizzare miglioramenti lungimiranti o a ridiscutere attraverso nuove alleanze e nuova ricerca. Il metodo “additivo” aiuta forse i politici a scrivere il proprio nome su ordinanze e decreti, ma non chi vive la scuola quotidianamente a rinsaldarsi in una visione di comunità, per perseguire le finalità che la Costituzione le assegna, l’uguaglianza di tutti i cittadini per la realizzazione di una società più democratica, equa e giusta.


Vuoi vedere che è proprio contro questa cosa qui che si fa tanta ammuina

 

 

Di che cosa parliamo

La scuola, se è vera scuola, scomoda le coscienze e le scuote dall'indifferenza poiché è luogo e pratica di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di convivenza solidale.
La scuola, se è vera scuola, è contraria al pensiero unico, al conformismo, alle mode, al quieto vivere perché è luogo e pratica di riflessione critica, di sguardo problematico, di pensiero divergente.
E per questo la scuola è scomoda.
È  scomoda perché pratica e rispetta le diversità e i disagi, ma spesso vi si lascia travolgere e inibire e allora diviene scomoda a se stessa.
E deve essere scomoda anche per tutti coloro che la vorrebbero luogo di competizione, di gara, di apprendistato all'arrivismo e alla prevaricazione.
In tal senso  la rubrica raccoglie e racconta momenti e situazioni di scuola "scomoda", talvolta anche per se stessa e spesso per i territori in cui come Istituzione vive e agisce.

L'autrice

Insegnante di liceo, collabora a contratto con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli; è stata per due mandati Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli al servizio della scuola della sua città, intesa e praticata come diritto inalienabile e bene comune. Attualmente è dirigente scolastica a Torino. 


 

maestri copertina

Annamaria Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Aracne, Ariccia, 2015, pp. 246, 14 euro in volume, 8,4 euro in PDF

Nella storia dell’Italia post-unitaria la scrittura letteraria dei maestri-scrittori ha assunto un’importanza straordinaria, perché proprio la scuola ha dovuto affrontare i problemi fondamentali, e tuttora in parte irrisolti, di formazione dell’unità culturale, umana e linguistica della nazione. L’autrice affronta il nodo interpretativo di questa narrazione compiendo una scelta esemplare: tre ‘maestri’, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Lucio Mastronardi, che sono stati scrittori e intellettuali e che hanno vissuto in un’aula scolastica un momento determinante della loro esperienza esistenziale. Per tutti e tre, la scuola fu il luogo di una delusione ma anche della denuncia, humus originario del loro impegno civile, contro la degenerazione del capitalismo e le storture di una società iniqua che vanificava l’utopia democratica ed egualitaria su cui la scuola di massa era nata o stava nascendo: eroi moderni del racconto di un’umile Italia che vive un’ultima stagione di ‘resistenza’ contro la trasformazione in una nazione senz’anima e senza cuore.               

Leggi la recensione su insegnare di Rosanna Angelelli

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