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di Annamaria Palmierila scuola "scomoda"

17/06/2019

Telecamere di sorveglianza sullo 0-6

Nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Napoli tramite una lettera indirizzata dal Sindaco al Presidente dell'ANCI  ha espresso forti perplessità nei confronti dell' emendamento che  stanzia qualche milione di euro per installare sistemi di videosorveglianza in tutte le  aule di nidi e scuole dell'infanzia d'Italia. Non diversamente hanno espresso contrarietà altri Comuni,  l'ANDIS, le sigle sindacali, molti pedagogisti, e non perché  qualcuno ritenga trascurabile il tema della sicurezza dei minori, o non abbia a cuore le sorti di un bimbo maltrattato, ovviamente, ma per l' evidente ipocrisia di una misura che - parlando in modo demagogico alla “pancia” del Paese -  costruisce una “narrazione” che finirà per nuocere alle stesse famiglie che si dice di voler proteggere.

In quella comunicazione è stato ribadito tra l’altro che dopo anni di disinvestimento sulla cultura e l'istruzione - anni in cui è stata volutamente trascurata  l'importanza di spendere in  formazione e investire in personale sempre più qualificato e meglio retribuito - la classe politica sceglie una strada fuorviante e demagogica, da cui neanche le famiglie che si finge di voler proteggere possono sentirsi rassicurate.  È evidente che nessuna telecamera possa produrre  “in sé” qualità educativa:  i bambini sono sicurissimi se hanno un nido e una buona scuola, se hanno educatori preparati e selezionati bene, se vivono relazioni felici in ambienti di apprendimento accoglienti e attrezzati, con piani didattici aggiornati,  non se sono video-controllati.

Il disagio culturale, oltre che politico, cresce ancor di più se si guarda alle reazioni: trovo sorprendente che la Gelmini,  passata alla storia come il ministro dell'istruzione che ha tagliato di più, eliminato le compresenze  e  innalzato il numero degli alunni per classe, oggi approvi l'idea di dar sicurezza ai  piccoli con le telecamere.

Ha infatti dichiarato, in una intervista rilasciata al “Corriere del Mezzogiorno” il 7 giugno 2019: “La videosorveglianza nelle aule degli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e nelle strutture socio-assistenziali, non dimostra né la visione repressiva e coercitiva dello Stato né la sfiducia nei confronti del personale, impegnato in questi settori”.  A dire dell’ex Ministro “si tratta di assicurare la tutela di quei soggetti che, per età o per condizioni fisiche, non possono difendersi da soli”. Dello stesso tenore le reazioni di Mara Carfagna, vicepresidente della Camera.

A dimostrazione, per altro, che si tratta dell’ennesima ma pericolosa boutade propagandistica, sarebbe fin troppo semplice mostrare, conti alla mano, che la copertura finanziaria prevista è irrisoria per le centinaia di migliaia di spazi che si vorrebbe sorvegliare: ma per noi il punto non è questo. 

"Il mezzo è il messaggio", diceva Mc Luhan.  E se un luogo pubblico va video-sorvegliato,  significa che è un luogo pericoloso, dove può succedere qualcosa di brutto. Vogliamo veicolare il messaggio che la scuola d'infanzia, a cui ogni mattina milioni di famiglie consegnano spontaneamente i propri figli, è diventato un luogo genericamente pericoloso, di cui non fidarsi?  

Peraltro, per rispetto della privacy dei minori,  nessun uso delle immagini può essere consentito senza un'indagine: che è quel che accade già oggi, senza bisogno di una legge da cui il patto di fiducia fondativo che lega famiglia e scuola, già malconcio, esce definitivamente incrinato.

Sappiamo fin troppo bene che solo investendo in qualità educativa è possibile  contrastare i terribili fatti consegnatici dalla cronaca. Ma  l'investimento in qualità e formazione, in personale altamente specializzato (e meglio retribuito) è proprio quello che questo Paese non fa. Metteremo  telecamere nelle case  di tutti gli italiani per porre fine alle violenze familiari?  O negli oratori per contrastare la pedofilia?  Il provvedimento è offensivo non solo verso le scuole,  ma verso le intelligenze.

E  non  un  caso che nessun paese del mondo, specie se si guarda a quelli con i sistemi scolastici più evoluti, abbia mai pensato ad una siffatta politica educativa. Se non siamo i più furbi di tutti, forse converrà riflettere  prima di apparire i più miopi. 

Ed è importante che l’opposizione a questo regime di sorveglianza coatta si estenda all’intero paese e che la scuola si faccia carico di una questione che ne investe natura e credibilità ai livelli più essenziali e costitutivi. Nei mesi scorsi si fece un gran parlare di proposte di investimento sullo 0-6, ma intendevamo investimento in crescita degli strumenti culturali e di benessere.


Parte di queste considerazione sono state inviate in una lettera all’ANCI e al "Corriere del Mezzogiorno", che l’ha pubblicata il 14.06.2019.

Di che cosa parliamo

La scuola, se è vera scuola, scomoda le coscienze e le scuote dall'indifferenza poiché è luogo e pratica di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di convivenza solidale.
La scuola, se è vera scuola, è contraria al pensiero unico, al conformismo, alle mode, al quieto vivere perché è luogo e pratica di riflessione critica, di sguardo problematico, di pensiero divergente.
E per questo la scuola è scomoda.
È  scomoda perché pratica e rispetta le diversità e i disagi, ma spesso vi si lascia travolgere e inibire e allora diviene scomoda a se stessa.
E deve essere scomoda anche per tutti coloro che la vorrebbero luogo di competizione, di gara, di apprendistato all'arrivismo e alla prevaricazione.
In tal senso  la rubrica raccoglie e racconta momenti e situazioni di scuola "scomoda", talvolta anche per se stessa e spesso per i territori in cui come Istituzione vive e agisce.

L'autrice

Insegnante di liceo, collabora a contratto con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli; è stata per due mandati Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli al servizio della scuola della sua città, intesa e praticata come diritto inalienabile e bene comune. Attualmente è dirigente scolastica a Torino. 


 

maestri copertina

Annamaria Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Aracne, Ariccia, 2015, pp. 246, 14 euro in volume, 8,4 euro in PDF

Nella storia dell’Italia post-unitaria la scrittura letteraria dei maestri-scrittori ha assunto un’importanza straordinaria, perché proprio la scuola ha dovuto affrontare i problemi fondamentali, e tuttora in parte irrisolti, di formazione dell’unità culturale, umana e linguistica della nazione. L’autrice affronta il nodo interpretativo di questa narrazione compiendo una scelta esemplare: tre ‘maestri’, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Lucio Mastronardi, che sono stati scrittori e intellettuali e che hanno vissuto in un’aula scolastica un momento determinante della loro esperienza esistenziale. Per tutti e tre, la scuola fu il luogo di una delusione ma anche della denuncia, humus originario del loro impegno civile, contro la degenerazione del capitalismo e le storture di una società iniqua che vanificava l’utopia democratica ed egualitaria su cui la scuola di massa era nata o stava nascendo: eroi moderni del racconto di un’umile Italia che vive un’ultima stagione di ‘resistenza’ contro la trasformazione in una nazione senz’anima e senza cuore.               

Leggi la recensione su insegnare di Rosanna Angelelli

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