Pubblichiamo le risposte ai nostri quesiti rivolti a testimoni scelti fra docenti universitari, ricercatori, studiosi, formatori e docenti che in questi anni abbiano attivamente operato nel campo dell'educazione linguistica.
1. Quali tra gli auspici e le raccomandazioni contenuti nelle “Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica” le sembra che sia stato maggiormente perseguito e realizzato? Quale, al contrario, le sembra che stato fortemente o del tutto disatteso? |
|
Non è facile dare una risposta generalizzata al quesito, considerata la varietà delle situazioni. Mi sembra comunque - per limitarsi a qualche impressione - che si sia progressivamente ridimensionata l’insistenza su produzioni scritte immotivate o sulla capacità di discorrere a lungo su un argomento, che faceva trascurare capacità più utili come quelle di prendere appunti, schematizzare o elaborare sintesi (tesi VII) di cui oggi si tiene maggior conto. Credo pure che si dedichi molta più attenzione che in passato al ruolo comunicativo dei testi parlati o scritti, a seconda del contesto e degli interlocutori, adoperandosi a sviluppare la funzionalità delle varie forme linguistiche. E, ancora, pare acquisita la consapevolezza della importanza dei processi ricettivi, con l’attivazione di opportune didattiche della comprensione (VIII). |
|
2. Appare a molti innegabile che particolarmente negli ultimi anni la didattica nel campo dell’educazione linguistica e letteraria abbia registrato un sensibile arretramento su posizioni (neo)conservatrici. Condivide questo giudizio? Quale o quali ritiene sia o siano le principali cause di tale arretramento? |
|
Non dispongo di informazioni sufficientemente estese per dare una risposta sicura a questo quesito. Appare tuttavia verosimile che in vari casi vi sia stato un ripiegamento su posizioni più tradizionali e, almeno in apparenza, rassicuranti e di più facile gestione, in presenza di classi sempre più eterogenee, con alunni dai background linguistici disparati, distratti dai gadget digitali e comunque sempre meno inclini alla concentrazione e all’impegno prolungato. Ma non va certo dimenticato il ruolo negativo esercitato da riforme regressive (come quella targata Moratti), mentre non è stata d’aiuto la rarefazione (così almeno mi risulta) di quell’aggiornamento diffuso che ha avuto in passato un ruolo rilevante nella sensibilizzazione degli insegnanti. Va poi messa nel conto, forse, una certa riluttanza - specie delle nuove generazioni di docenti - nei confronti di una pedagogia linguistica che si fonda su una ricerca non poco complessa e in costante evoluzione. |
|
3. Negli anni che ci separano dalle “Dieci Tesi” si sono verificati fenomeni di forte impatto sulla realtà comunicativa e linguistica del nostro paese (la diffusione dei media digitali, i flussi migratori, la crisi occupazionale, le trasformazioni stesse dell’italiano, ecc.): vi sembra che università e scuola abbiano saputo fronteggiare in modo adeguato le emergenze educative che ne sono derivate? |
|
Molto resta ancora da fare, ma non si può dire che siano mancati interventi e iniziative volti a fronteggiare le nuove realtà tecnologiche, sociali e linguistiche. Per quanto riguarda il problema della integrazione linguistica dei figli di immigrati, ad esempio, molte università hanno istituito centri o master per la formazione di docenti di italiano per stranieri. Mi pare inoltre che che il tradizionale letterario-centrismo del curricolo universitario dei futuri insegnanti di italiano si sia in parte ridimensionato, con la apertura a corsi ed esami di natura linguistica. Più in generale, nella scuola si sta facendo strada l’idea che insegnamento dell’italiano come lingua 1 e come lingua 2 non sono mondi separati, e le relative didattiche possono trarre vantaggio da una più stretta integrazione: si pensi, per fare un solo esempio, alla attenzione per le funzioni comunicative in contesti autentici, centrale nell’insegnamento delle lingue seconde, di cui anche la didattica dell’italiano come lingua 1 può utilmente avvalersi. |
|
4. Qualche speranza per il futuro: quale attenzione si sentirebbe di consigliare per dare nuovo vigore all’Educazione linguistica democratica nel nostro paese? |
|
Vi sarebbero qui più aspetti su cui soffermarsi. Fra essi, credo debba esservi l’impegno a privilegiare una didattica che metta in primo piano il concreto “saper fare” con la lingua: le abilità linguistiche fondamentali, come la lettura, la scrittura o la discorsività orale, si apprendono difatti attraverso la pratica situata, ovvero attraverso attività significative in situazioni il più possibile autentiche. Ma queste pratiche non possono essere lasciate alla casualità spontanea, debbono essere guidate e sostenute da un insegnamento esplicito, che solleciti gli studenti a osservare e scoprire come linguaggio e forme - sia nello scritto che nell’orale - si rapportano a scopi, contesti e interlocutori. A questa attenzione per come il linguaggio differisce nelle diverse situazioni vanno raccordati la esplorazione e l’esercizio dei generi, attraverso attività guidate in cui l’insegnante fornisce orientamento e supporto. Quanto alla grammatica, credo che dovrebbe essere mondata dagli eccessi specialistici da cui è stata appesantita in questi decenni, per essere ripensata in termini più sobri e “amichevoli”, almeno per quanto riguarda la scuola primaria e secondaria di primo grado. Due parole, infine, sull’impiego delle tecnologie informatiche. La scuola ha molti buoni motivi per avvantaggiarsene, ma anche altrettanti per assumere una prospettiva prudenziale. Basti dire che il semplice accesso alle tecnologie non dà alcuna garanzia che gli studenti imparino ad essere lettori o scrittori efficaci e riflessivi, come dimostrano varie e anche recenti indagini sul campo. Occorre invece chiarirsi che cosa insegnare e come, e se si pensa di implementare una particolare tecnologia, chiedersi se questa è davvero la strada migliore per conseguire gli scopi educativi che ci si propone in quella certa fase del percorso curricolare. In vari casi, la risposta potrà essere positiva, ma l’insegnante dovrà saper integrare la conoscenza disciplinare, quella tecnologica e l’esperienza di educatore, così da scoprire quali sono gli impieghi più redditizi della tecnologia per raggiungere - con quei determinati alunni e in quelle circostanze - gli obiettivi formativi ipotizzati. Se è indubbio che la scuola deve far fronte alle nuove forme dello scrivere e del comunicare (un mondo in cui gli allievi sembrano oggi totalmente immersi), deve farlo dunque in modo avveduto, tenendo presenti anche le insidie che si nascondono fra le pieghe di un uso malaccorto e incontrollato del digitale e che sono state evidenziate ormai da molti e autorevoli studi. Per quanto riguarda il linguaggio, ad esempio, la perdita di orientamento dovuta alla continuità della pagina digitale, la lettura superficiale e frantumata, la stesura poco pianificata e cumulativa, la distrazione in continuo agguato, l’ostacolo a un pensiero approfondito, organico e creativo. |
|
Maurizio Della Casa (Mantova, 1940) ha insegnato per vari anni materie letterarie nella scuola media e nella secondaria superiore, ricoprendo successivamente l'incarico di dirigente scolastico. Ha svolto corsi a contratto presso l’Università di Bologna e di Macerata ed ha collaborato con il Centro Europeo dell’Educazione di Frascati. Studioso di educazione linguistica, si è particolarmente dedicato all’approfondimento dei processi di lettura e scrittura e delle metodologie didattiche per il loro insegnamento. Ha partecipato come docente e direttore, a varie iniziative di aggiornamento. È intervenuto inoltre, con proprie relazioni, a convegni di educazione linguistica promossi dal CIDI e dal LEND. ... Segue qui... con ampia bibliografia delle pubblicazioni e con materiali scaricabili. |
|
Su insegnare puoi leggere la recensione di Mario Ambel a Scritture intertestuali, 2015 e le riflessioni di Maurizio Della Casa... A proposito di forestierismi | |