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13/03/2015

Chi c'è in classe?

di M. Gloria Calì

È facile amare chi impara, come faceva la maestra citata nella dedica dell’ormai celebre libro di Massimo Recalcati, L’ora di lezione.
Il bello è amare quello che non riesce o non vuole, il distratto, quello lento, quello oppositivo, quello che s’è strafatto in discoteca il sabato e il lunedì ancora è un fantasma, quello che non ha comprato i libri perché “c’è crisi”, quello che non parla la tua lingua, quella che si controlla le sopracciglia nello specchietto attaccato alla copertina del diario… Insomma: amare quelli veri, gli alunni, le classi normali. Là si gioca la partita del docente, che deve superare il suo bisogno di centralità e scendere a patti con il vissuto degli alunni. Non c’è erotica che tenga, quando la famiglia non c’è, i soldi non ci sono o sono troppi, non ci sono le giuste reazioni chimiche nel cervello o ce ne sono in direzioni diverse da quelle dell’insegnante. È una questione di priorità, e non possiamo impedire che gli alunni abbiano le loro, come dichiara con semplicità “anerotica” Eraldo Affinati, nel suo “Elogio del ripetente”, storia vera della difficoltà di essere ripetenti, misconosciuti, “difficili” e di essere il loro “nuovo” insegnante. 
Non possiamo e non dobbiamo violare le priorità degli alunni, ma possiamo e dobbiamo proporci a loro come collaboratori nella gestione di queste priorità, consegnando loro opportunità e strumenti, forniti dagli ambiti disciplinari specifici, dalle loro connessioni e dalle loro possibilità di sviluppo. Non siamo amici, né mentori, né dobbiamo farci “amare”: siamo insegnanti. 

La collaborazione tra docente ed alunni è ovviamente lontanissima dall’elargizione di conoscenze o saperi, per fascinazione uditiva o per contiguità tra maestro e discepolo, che andava bene solo ai tempi di Platone e per Platone; simili atteggiamenti trasmissivi non fanno altro che marcare una differenza quantitativa e qualitativa tra insegnante e alunni, che è foriera di inevitabili fallimenti per entrambi.
La lezione frontale in realtà è solo uno degli assetti di lavoro in classe, e spesso è gratificante prepararla e tenerla: l’insegnante ha un po’ la piacevole sensazione di essere un matematico, o un musicista, o un filosofo, ed è una buona occasione per studiare un po’, noi che ci lamentiamo che gli alunni non studiano mai abbastanza... Una volta entrati in classe con la nostra bella lezione sull’aoristo, su Chopin o sul sistema solare, bisogna ricordarsi di lasciare a casa lo specchio e aprire gli occhi sui ragazzi, e in questo può aiutarci l’animo e qualche attrezzo professionale: la capacità di dosare i tempi, l’articolazione degli argomenti e gli agganci con ciò che gli alunni già sanno e, guarda un po’, la loro esperienza di vita, la scelta delle parole, il tono di voce, la postura e i gesti.
Guai a perdere di vista “la classe”: ci sarà certamente Alessio che resterà affascinato dai “cerchi paralleli e concolori” del Paradiso dantesco nell’ora di letteratura, ma nel frattempo Sharon trattiene le lacrime a stento perché sua madre e suo padre litigano giorno e notte, e ha bisogno di una strategia didattica che la coinvolga e la aiuti a cercare il senso delle sue giornate, attraverso i versi di Dante o attraverso il primo principio della termodinamica. 

Ci sono tanti strumenti per creare in classe un clima di comunità, più che di lezione: la cattedra deve scendere dal piedistallo, ammesso che nelle scuole vere ci siano ancora le cattedre sui piedistalli, con tutti gli occhiuti responsabili per la sicurezza che girano per i corridoi... “Ambiente di apprendimento”, si chiama la classe nelle Nuove Indicazioni Nazionali per l’Infanzia e il Primo ciclo, e non sono solo gli alunni ad apprendere, ma con loro l’insegnante, che deve conoscerli e accettarli per quelli che sono, come prima cosa; se lui è lì con loro, nella sua ora e in classe, la sua professionalità, il suo apprendimento e la sua volontà lo aiuteranno a scegliere se insegnargli ad usare il congiuntivo con il libro di grammatica o con una fiaba; se spiegargli la prospettiva con le immagini proiettate alla LIM o facendogli costruire un teatro con le scatole di scarpe. 
Le scatole di scarpe, i pennelli, la Marcia di Radetzky, l’area del pentagono, il salto in lungo, i ragù di cinghiale,… quanti territori del sapere e della crescita sono poco popolati da voci affascianti di insegnanti e di pagine di libri, eppure sono pieni di alunni contenti: perché inchiodarli alla voce del professore, e al libro? Perché escludere dal loro patrimonio espressivo i linguaggi delle discipline in cui loro possono provare a trovare la loro via, in cui possono “formarsi” come personalità creative, autonome, responsabili? Non uso la parola “competenti”, va bene, ma chiamo in causa gli stili di apprendimento, che persino il MIUR acquisisce nella sua normativa: “gli individui apprendono in maniera diversa uno dall’altro secondo le modalità con cui ciascuno elabora le informazioni” (MIUR, Linee guida sui DSA, 2011)

Rovesciando il punto di vista, essenziale, per i suoi alunni, è Giorgio che li porta nel parcheggio della scuola a disegnare a carboncino le loro sedie, in giorni diversi, per “consegnargli” il chiaroscuro e l’ombra; è essenziale Giuseppe, che segue i suoi bambini di 9 anni con loro a distanza, il pomeriggio, usando un’applicazione sul web per la condivisione di testi ed immagini.
Se tutti gli insegnanti sono in condizioni di cambiare la vita agli alunni, gli stessi insegnanti sono in condizioni di essere pressoché ininfluenti: ci sono tutte le persone, le voci, i “saperi”, che gli alunni ascoltano e incontrano dopo il suono della campanella e sono magari molto meno affascinanti di quelli scolastici, ma molto più forti e cogenti. Bisogna accettare i limiti della propria capacità d’intervento così come i limiti dell’ampiezza apprenditiva degli alunni: solo così si possono cercare strumenti più efficaci per superare tutti questi ostacoli, porsi le domande giuste, senza cadere in facili tentazioni di valutare se stessi come “geni incompresi”, inevitabilmente frustrati. 

Non credo che la scuola italiana, oggi, abbia bisogno di insegnanti “da amare”: credo che abbia bisogno di insegnati “osservatori” [1] , di "insegnanti riflessivi" [2], di insegnanti “complessi” [3]: in altre parole, di insegnanti motivati e competenti, gli unici a poter ambire ad avere alunni che apprendono e che desiderano farlo, ancora. 

Note

1. G. Zunino, “Docenti/osservazione”, in G. Cerini, a cura di, Passa… parole, Homeless Book, Faenza, 2013.
2. D.A. Shön, Il professionista riflessivo, Dedalo, Bari, 1999.
3. M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti,  Formare alla complessità. Prospettive dell’educazione nelle società globali, Carocci, Roma, 2003.

 

Video

Video a lato: Momenti di scuola, videogc©insegnare2015

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