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08/03/2014

Curarsi con i libri?

di Rosanna Angelelli

Che la letteratura possa avere funzioni edificanti è un fatto, e noi italiani abbiamo due vistosi (e splendidi) esempi in Dante e in Manzoni. Che l’istruzione in Italia abbia dato e dia grande importanza alla funzione morale e civile dell’arte, e in particolare della letteratura, è rintracciabile in tutte le Indicazioni programmatiche più o meno aperte e libere rivolte agli insegnanti a partire dal Regno d’Italia fino alla attuale Repubblica. Anzi, oggi fiorisce un’abbondante offerta culturale (a partire dai librini per l’infanzia) mirata alla formazione del cittadino per curare e salvaguardare  lo studente italiano da quei mali morali e sociali di cui certo il nostro Paese non è privo.
Non è certo però quanto la letteratura possa diventare uno strumento autonomo di “cura” da parte dei giovani sia all’interno del loro percorso scolastico che una volta usciti. A giudicare dalle statistiche gli italiani leggono poco e i giovani ancor meno, o meglio, l’approccio alla lettura privilegia testi diversi da quelli ritenuti essere buona letteratura. 
Al di là dell’impegno e della volonterosa attenzione degli insegnanti, lo studente medio sembra applicarsi a quei contenuti letterari che enucleano aspetti e problemi della propria crescita, non tanto per convinzione quanto “per quieto vivere”, come precisa maliziosamente un mio giovanissimo amico, cioè per tranquillizzare i genitori e gli insegnanti sul normale andamento del proprio studio e per avere invece libertà su altre frequentazioni e su altri percorsi..

In fondo, ricordiamocelo, anche noi insegnanti quando eravamo giovani studenti abbiamo avuto almeno una volta nella nostra esperienza scolastica atteggiamenti utilitaristici di questo tipo. Anche allora ci si scatenava su altre opportunità di conoscenza dei nostri malanni  adolescenziali, tra cui, in primo luogo la musica e il cinema, per non parlare dell’attenzione alla politica, oggi scemata o trasferita in rete. Si poteva anche praticare una così detta letteratura minore, che entrava a scuola con la complicità degli insegnanti più giovani e più vicini a noi. Forse anche loro erano segretamente affaticati dal dover propugnare e difendere contenuti altissimi che si possono assaporare, anche come “medicina dell’animo”, solo in età più avanzate. Altrimenti, a insister troppo, potrebbe ancora succedere ciò che mi capitò agli inizi del mio insegnamento, quando, fresca di studi universitari, alla mia proposta temeraria di avviare la lettura di Svevo partendo da Senilità, un ragazzo con aria sorniona brontolò: “Proffa, mi lasci almeno il tempo di invecchiare… ” O come quando mi accorsi che gli splendidi tormenti morali di Petrarca risultavano una complicazione “astrale” in sedicenni già largamente esperti in amore.

Ci può essere un modo più leggero (che non vuol dire superficiale) per indurre i ragazzi a entrare nel mondo interiore di un’opera letteraria e giovarsene a livello psicologico oltreché a quello estetico. Per esempio, ho letto recentemente un libro-antologia-dizionario, che propone addirittura rimedi letterari “per ogni malanno”. Si tratta di Curarsi con i libri-Rimedi letterari per ogni malanno, Sellerio editore, Palermo, 2013. Le autrici dei riferimenti di area anglosassone sono Ella Berthoud e Susan Elderkin, mentre quelli in italiano e la prefazione sono a cura di Fabio Stassi.
Il libro è così scanzonato che inizialmente ho pensato agli irresistibili rimedi cantati da Dulcamara nell’Elisir d’amore! La proposta, invece, a un esame più accurato è molto ampia e bene articolata: se ricetta c’è, il primo ingrediente è l’ironia. Il secondo, la qualità e la larghezza degli esempi letterari. Il terzo, l’intelligenza dell’averli associati a un ampio campionario di nevrosi, tic, cattive abitudini ecc, sempre presentato in modo amichevole e sornione. Alla fine, sulla base di tutto questo, l’antologia può davvero essere utile per una (ri)lettura di testi noti e impegnativi con occhi divergenti, più acuti ed efficaci, più liberi, ma non per questo arbitrari.
 Le due autrici hanno fatto studi letterari a Cambridge, dove si scambiavano abitualmente quei libri per loro efficaci nel focalizzare proprie incertezze e sofferenze esistenziali. Non sono certo libri spazzatura, ma tra gli esempi che si fanno ci sono anche libri “da edicola” o pubblicazioni a spese dell’autore. E questo incontro tra “alto” e “basso” letterario è segno di grande saggezza culturale (e di vita).
La storia successiva ha portato Ella Berthoud a diventare una pittrice e un’insegnante di storia dell’arte, Susan Elderkin una scrittrice, ma entrambe, insieme con Stassi, bibliotecario e scrittore anche lui, non hanno dimenticato che il primo segreto di una lettura riuscita è l’identificazione delle esigenze del lettore con la materia narrativa di un autore. A libro aperto, ci si dovrebbe togliere le scarpe mentali e tuffarci senza riserve in acque sconosciute, prescindendo dai salvagente della critica, soprattutto di quella ufficiale, che può limitare gravemente  l’immediatezza (e il piacere) del nuoto. La letteratura è pur sempre una sirena che sfida il lettore incantandolo con il suo canto.
Successivamente, dovrebbero sopraggiungere il distacco e la rielaborazione del percorso fatto, per non rimanere affogati nelle insidie della finzione, rischio che facilmente accade se non c’è una robusta consapevolezza dei confini tra  l’immaginazione artistica e l’identità del lettore. Un po’ quello che oggi succede massicciamente tra i ragazzi e la rete, di cui noi adulti parliamo con curiosità, con sgomento, con disprezzo, con ipocrisia, certamente non con pensosa e consapevole affabilità.

I malanni appartengono sia allo spirito che al corpo e vengono dettagliatamente classificati e distribuiti. Ecco qualche esempio di associazione divergente: con Emma di Jane Austen si individuerebbe la problematicità dell’essere “le predilette di papà”, mentre  con Ragione e Sentimento si può neutralizzare un divorzio che dia insonnia o un partner che deplorevolmente russa. Questi sono casi limite di irriverenza, ma vi sarebbe venuto in mente di leggere  L’innominabile di Samuel Beckett per guarire dalla paura della perdita della memoria?

Anche Stassi non è da meno nelle sue spiritose associazioni: per esempio Il barone rampante di Calvino è proposto alla voce “Alberi, paura di arrampicarsi sopra gli”, che comincia così: «Non so se vi è mai capitato di osservare il mondo da sopra un mandorlo o un vecchio olivo. Circola più aria che di sotto e tutto appare più vasto.[…].Ma salire fino ai primi rami, per alcuni, può risultare un’impresa e il tronco di un albero…trasformarsi in uno specchio impietoso.» Seguono dei consigli per diventare fisicamente agili e prensili e quindi un delizioso riassunto del romanzo che ne raccoglie comunque gli elementi più originali e importanti.

 Qual è allora la visione di salute  che deriverebbe dalle buone frequentazioni letterarie? Si potrebbe rispondere: una condizione di più o meno solida accettazione delle proprie nevrosi, se alla fine del libro non venissero elencati quei “disturbi della lettura” provenienti proprio dalla stessa terapia adoperata. Un buon farmaco riesce a curare il malanno, ma c’è comunque il rischio di danni collaterali, così pensano gli autori. Allora un feedback è salutare proprio per proteggere da se stessi quei lettori troppo ingenui che pensano di essere del tutto guariti  a chiusura di un libro.

 

Immagine  a lato

Reworking of the famous 16th century painting by Giuseppe Arcimboldo (1527–1593), 'The Librarian', da http://www.flickr.com/

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