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28/01/2023

Descrivere e narrare: è così difficile quando si valuta a scuola?

di Maurizio Muraglia

Questo contributo non ha alcuna intenzione di addentrarsi in complesse questioni normative o docimologiche, che in questi anni sul tema della valutazione sono state ampiamente trattate, ed in larga misura anche da questa rivista. E che pertanto sono da esso presupposte. Qui mi interessa esplorare due voci verbali quali vere e proprie virtuose azioni valutative in ogni ambito della vita, e pertanto anche in ambito scolastico: descrivere e narrare. Si tratta di azioni che definirei naturali, fin da quando si è bambini. Come è possibile esprimere un proprio parere su un oggetto, un evento, una relazione se non in termini descrittivi? “Come ti pare quell’appartamento?”. Come si può rispondere ad una domanda del genere senza introdurre nella risposta elementi descrittivi? “Come ha giocato quella squadra?”. Come si può rispondere ad una domanda del genere senza introdurre nella risposta elementi narrativi?

Non sfuggirà come nel primo caso, trattandosi di un oggetto statico, sia preferibile la descrizione delle caratteristiche dell’appartamento visitato, nel secondo, invece, diventi necessario mettere in sequenza cronologica le fasi, o alcune fasi, della partita cui si è assistito. Descrivere e narrare, dunque, sembrano i connotati di quel che definirei l’istinto valutativo primordiale. È anche vero che dappertutto tale istinto si avvale di etichette quantitative per risultare più efficace, il che non vuol dire più comprensibile. Infatti, se l’etichetta quantitativa (attribuita per esempio ad un appartamento, un hotel, un ristorante o ad una squadra o ancora alla prestazione di singoli giocatori) fosse l’unica valutazione presente, avremmo probabilmente due generi di fruitori: il fruitore sbrigativo, che non ha interesse ad argomenti e spiegazioni e che si ritiene appagato dell’etichettatura numerica o voto che dir si voglia; ed il fruitore ponderato, che vuole capirci di più ed entrare nel merito del ragionamento che ha condotto a quell’etichetta.

Questo secondo fruitore cerca descrizioni e narrazioni. Perché vuole capire. La valutazione può essere capita soltanto a fronte di descrizioni e narrazioni, perché è un processo umano, e come tale si avvale delle coordinate spaziali e temporali. In ambito di valutazione scolastica, esistono i descrittori ma non esistono i narratori. In realtà un descrittore valutativo mette in scena un soggetto che è capace di fare qualcosa a certi livelli. Si chiama descrittore, ma in realtà chiama in causa una storia, che poi magari gli insegnanti narrano. A chi? Ai colleghi in sede di confronto oppure ai genitori in sede di colloqui scuola-famiglia o, auspicabilmente, agli studenti per restituire loro la storia.

Restituire la storia. Cosa può significare per un bambino o un ragazzino ascoltare la narrazione di se stesso in azione? Significa che la maestra o la prof lo ha visto all’opera, si è fatta un’idea e di quest’idea ne fa una storia, che coinvolge tutto quel che fa scuola, la maestra o la prof, i compagni, le cose che si sono imparate. Che storia può essere quella narrata? Una storia di cadute e di successi, ostacoli, sconforto, gioia, insomma, come in tutte le storie ci sono le luci e ombre di tutti noi. Anche in una storia tutta sconfitta e fallimento c’è qualcosa che prelude ad un riscatto, perché mettersi davanti alla propria fragilità insieme ad un'altra persona che la vede e la mette a tema (il tuo insegnante) è tutt’altro che ricevere una misura oggettiva, dal carattere freddo e atemporale. La storia, la mia storia e la tua, è antidoto alla solitudine. È alleanza, possibilità di rimettersi in movimento insieme.

È tutto un altro gioco e tutta un’altra scuola. Forse tutta un’altra vita. Chi non lo riconoscerebbe? Eppure la stragrande maggioranza degli insegnanti non associa a questo riconoscimento razionale un colpo di coda del proprio essere profondo, una rivolta interiore, un’obiezione di coscienza. Di fronte alla necessità delle etichettature numeriche, la gran parte, anche quella che tende a descrivere e narrare, si rassegna non mostrando agli stessi allievi l’indignazione liberatoria che fa pensare a tutti, in classe, che quella dei numeri è una finzione convenzionale, che col vivente in movimento ha scarso legame.

Non voglio neppure prendere in considerazione la parte di insegnanti che addirittura si compiace dell’etichettatura numerica e considera superfluo il descrivere e narrare, perché qui si parla di scuola e non di turismo professionale all’interno delle aule scolastiche. Il pensiero va a chi riconosce il primato del descrivere e narrare su quello del misurare e sommare, ma professa rassegnazione al “sistema”. Ovvero rassegnazione all’artificio. Così come quando si fanno corsi di aggiornamento ai docenti sull’importanza delle emozioni nell’esperienza di apprendimento. Cioè si va ad imparare ciò che è naturale, a tal punto l’artificiale è diventato una seconda natura: come si può fare scuola, o meglio come si può vivere ad una sola dimensione, quella cognitiva (ammesso che sia isolabile, e non mi pare che lo sia)?

Così nella valutazione l’istinto primario del descrivere e narrare soccombe all’artificio del misurare e sommare, la vita è risucchiata nella forma e nessuno ha il coraggio di squarciare il cielo di carta o di dire che il re è nudo.

Parole chiave: valutazione

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

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