Home - la rivista - scuola e cittadinanza - Valutazione, questa misconosciuta…

temi e problemiscuola e cittadinanza

23/04/2024

Valutazione, questa misconosciuta…

di Annamaria Palmieri


Alcune osservazioni a margine del disegno di legge 924 sulla valutazione

Non conosciamo quale sarà il testo definitivo figlio del disegno di legge sulla valutazione  approvato il 18 aprile in Senato, e ci aspettiamo  (anzi auspichiamo) ancora delle modifiche: pur tuttavia questa ennesima “pseudo-novità” ci costringe – da operatori della scuola che ogni giorno se ne occupano perché fa parte del loro lavoro – a proporre ancora una volta  qualche  questione  di fondo, nel metodo e nel merito.

Nel metodo: quando si fa un intervento normativo sulla scuola della Repubblica, nel caso di specie la modifica di una legge preesistente (il d.lgs. 62 del 2017) coloro che materialmente redigono il testo – non credo il Ministro in prima persona- conoscono la realtà della scuola viva e vera e le norme a cui obbedisce o le “ipotizzano” sulla base di  pre-giudizi e pre-concetti?

Mi spiego meglio con alcuni esempi.

Pare che una delle preoccupazioni enfatizzate del nuovo testo sia affermare il principio che “chi offende paga”, ovvero che se uno studente (o un genitore?) commette reati contro il personale (e venga condannato per questo), sia costretto a pagare, al di là di tutto il resto, una sanzione pecuniaria destinata all’Istituzione scolastica che va da 500 euro a 10.000. Ebbene, nel caso di reati contro la persona, credo che la gerarchia delle fonti giuridiche  rendano per lo meno ultronea la norma, visto che spetta ad un giudice stabilire i risarcimenti, sia per la misura che per i destinatari. Siamo di fronte ad una sorta di spot, accattivante, che poco ha a che fare con la legittimità dell’intervento. 

Ma passiamo al più noto e dibattuto passaggio sulla valutazione della condotta. Il disegno si apre con l’integrazione all’articolo 6 del D.lgs. 62 del 2017 riguardo al voto di condotta nella secondaria di I grado: con 5 in condotta non si è ammessi alla classe successiva. Perché ci sembrava di saperlo già? Forse perché nella scuola italiana il 5 in condotta viene da sempre (storicamente)  assegnato in caso di gravissime violazioni comportamentali e queste ultime si correlano, nelle norme vigenti,  all’allontanamento dalla comunità scolastica, che è e resta sempre l’extrema ratio in un contesto educativo.  Ancora,  in particolare sui “lavori socialmente utili” previsti per gli studenti soggetti a sanzione disciplinare grave quale la sospensione,  chi ha presentato  il testo,  in alcune parti,  sembra non conoscere la normativa  che  andrebbe a modificare, ovvero  il D.P.R. 249/98 (ministero Berlinguer) così come integrato dal successivo D.P.R. 235/07 (ministero Fioroni), in combinato disposto con la circolare MIUR n. 3602 del 2008 (ministero Gelmini):  perché nell’ampia e articolata tipizzazione delle sanzioni disciplinari già esistenti, previste in modo graduale e affidate ai diversi organi competenti (dal docente, al Consiglio di classe al Consiglio di Istituto) emergono elementi comuni che, con tutta evidenza, rendono a tratti  superfluo,  per non dire nocivo quale fonte di confusione e  contraddizioni, il nuovo intervento legislativo.

Il primo D.P.R., più noto come "Statuto degli studenti e delle studentesse", all’art.4 relativo alla disciplina recitava infatti che “I regolamenti delle singole istituzioni scolastiche individuano i comportamenti che configurano mancanze disciplinari con riferimento ai doveri (…) , al corretto svolgimento dei rapporti all'interno della comunità scolastica e alle situazioni specifiche di ogni singola scuola, le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento, secondo i criteri di seguito indicati”. Ancora, nello stesso articolo si chiariva che: “I provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica.”  E dunque  che,  mentre “nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto (…)  allo studente è sempre offerta la possibilità di convertirle in attività in favore della comunità scolastica”.

La circolare 3602/2008 del MIUR, all’avvento dell’era Gelmini, nell’esplicitare le ragioni delle modifiche apportate allo Statuto, si spinge più avanti, anche motivando l’intervento del DPR 235/2007 in modo articolato, con ragioni del tutto simili a quelle  spesso fatte proprie  dal Ministro sui media per spiegare la propria  volontà di darsi da fare. Cito un passo della circolare (che risale a 16 anni fa): “I fatti di cronaca che hanno interessato la scuola, negli ultimi anni, dalla trasgressione delle comuni regole di convivenza sociale agli episodi più gravi di violenza e bullismo hanno determinato l’opportunità di integrare e migliorare lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, approvato con DPR n. 249/1998. La scuola, infatti, quale luogo di crescita civile e culturale della persona, rappresenta, insieme alla famiglia, la risorsa più idonea ad arginare il rischio del dilagare di un fenomeno di caduta progressiva sia della cultura dell’osservanza delle regole sia della consapevolezza che la libertà personale si realizza nel rispetto degli altrui diritti e nell’adempimento dei propri doveri. Il compito della scuola, pertanto, è quello di far acquisire non solo competenze, ma anche valori da trasmettere per formare cittadini che abbiano senso di identità, appartenenza e responsabilità. “  
Questa era una circolare del 2008, non sono parole del ministro Valditara! Essa  enfatizzava anche la necessità che i Regolamenti delle Istituzione scolastiche si adeguassero al nuovo contesto sociale,  sottolineando, ancora più nel dettaglio “ la funzione educativa della sanzione disciplinare”  per rafforzare “la possibilità di recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”. Quasi le stesse parole, di certo la stessa matrice culturale e ideologica.
E’ lecito chiedersi: ma il Ministro lo aveva letto questo testo prima di mettersi all’opera? Perché, se così fosse,  non ci sarebbe sufficiente materia per numerosi passaggi del nuovo disegno.  Sembra ancora una volta prevalere la voglia di fare la voce grossa e recitare la parte di chi ripristina “ordine e disciplina” come se si fosse all’anno zero, segnando una discontinuità con il passato; questo modus operandi ha una forte matrice politica, demagogica, non pedagogica.  

E vengo a questo punto alla più seria questione sollevata dal merito del provvedimento.

In primis, al netto di tutto quello che si è detto, il nuovo testo interviene  con determinazione e in modo centralistico nelle competenze degli organi collegiali e dell’autonomia scolastica: questo si evidenzia sia quando apporta modifiche alle modalità di valutazione della scuola del I ciclo, attraverso l’introduzione dei giudizi sintetici finali,  sia quando, per la secondaria di II grado, ridefinisce i criteri con cui assegnare il punteggio più alto nell'ambito della fascia di attribuzione del credito scolastico correlandolo, in  forma di automatismo, con  il voto in condotta.
Certo, riguardo alla questione del credito,  forse è  complicato provare a spiegare ad un pubblico generalista quel che bene sanno invece i docenti quali addetti ai lavori:  in una valutazione che si dica davvero formativ,a  i voti finali, quelli sulla cui media si assegna la fascia del credito, e anche i criteri  con cui si definisce l’oscillazione interna alla fascia,  non  dovrebbero nascere dalle medie dei voti alle prestazioni degli studenti, ma sempre da una considerazione per così dire “olistica” del soggetto che apprende:  se è così -  per quanto il voto numerico sia un descrittore piuttosto impoverito e insufficiente -   è  molto improbabile, se non impossibile,  nella realtà scolastica,  che i buoni voti e  il punteggio del credito prescindano dal modo più o meno maturo, serio  e consapevole  in cui l’allievo si rapporta al contesto scolastico in toto. In altri termini, che si dia il massimo a chi si comporta male. L’enfasi sull’automatismo tra  credito scolastico e il 9 o 10 in condotta appare come  un tentativo di condizionamento imposto dall’alto dei criteri di valutazione della comunità scolastica, cosa che appare piuttosto inquietante.  E non meno straniante è quanto accade nel I ciclo, dove, col ripristino dei giudizi sintetici, ci si ritrova a sommare, come diceva la mia vecchia maestra delle elementari, le mele con le pere.

Le Indicazioni Nazionali del 2012 , che sono e restano la strada che la scuola del nuovo millennio ha intrapreso per sviluppare una nuova idea dell’apprendimento per competenze, non consentono equivoci:  come valutiamo i risultati dei ragazzi se non attraverso una valutazione processuale, formativa e non sanzionatoria? Una valutazione che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita mal si concilia con il cosiddetto giudizio sintetico tanto caro al nuovo governo. Cito il compianto Giancarlo Cerini: “Noi dobbiamo conoscere capire, accompagnare, non dobbiamo sanzionare…non è il nostro compito quello della sanzione…” Ancora: “l’idea di fondo  è che si valuta per stimolare e accompagnare il miglioramento, non [per] giudicare. (…) Noi quando valutiamo dovremmo addirittura sospendere il giudizio”.

Il nuovo provvedimento intende dunque metter mano a questi principi? Se è così, lo si dica, senza tirare in ballo demagogicamente l’esigenza di semplificare le comunicazioni con i genitori. Comunicazioni nelle quali pesano in modo ben più grave i danni  fatti da una malintesa idea della trasparenza e della digitalizzazione  a mezzo registro elettronico.
Se le cornici di riferimento pedagogiche che reggono l’impianto delle Indicazioni vengono rimesse in discussione, se si vuole farlo,  allora il punto non è quanto sia facile o difficile per i genitori capire il linguaggio della scuola, ma quanto e in che modo  si voglia ritornare ad un’altra idea di scuola, peraltro attraverso un neocentralismo che restringe sempre di più gli spazi di  autonomia delle scuole della Repubblica.  E saranno  i docenti, a questo punto, a non capire più dove stiamo andando,  visto che l’ambito della valutazione è stato negli ultimi 20 anni letteralmente massacrato e stravolto da una perpetua riforma.

Cui prodest? viene da chiedersi: non di certo ai bambini, per i quali un “insufficiente” ma anche un “ottimo” non costituisce né un chiarimento, né uno stimolo né un bel  premio. Forse, tristemente, solo una posizione in classifica, come piaceva a Tremonti e a Gelmini, al tempo della reintroduzione dei voti numerici;  e,  sicuramente, si tratterà di una classifica “dispettosa”, perché  ancora una volta finirà per mettere all’angolo  i più fragili, ratificando  le differenze preesistenti.

Scrive...

Annamaria Palmieri Laureata in Lettere, collabora con la cattedra di letteratura italiana dell'Università Orientale di Napoli, già Presidente del Cidi Napoli e successivamente per due legislature Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli; attualmente dirige un istituto professionale a Torino.

sugli stessi argomenti

» tutti