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scuola e cittadinanza

25/09/2023

Il voto di condotta: un governo e un ministro da bocciare

di Simonetta Fasoli
Già nel 2018 si era proposto un "inasprimento delle pene" per i "colpevoli" minori, come leggiamo nel pezzo di Jacopo Rosatelli linkato nel banner a destra. 
L'autore aveva sottolineato, già in quegli anni che ormai ci sembrano lontani, come anche qualche esponente dell'area di sinistra aveva salutato con favore la stretta rigoristica. 
Allora, difronte alla deriva di regime che analizza benissimo Simonetta Fasoli in questo pezzo, facciamo autocritica, con la stessa fine lucidità che sappiamo praticare facendo critica. 

Mi accingo a scrivere questo contributo dopo un’attenta lettura dello Schema di DdL di matrice governativa, che al Capo II, articolo 3, prevede la Revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti. Le anticipazioni degli organi di stampa e in generale dei “media” già contenevano significativi spunti di riflessione: spesso arricchite dai primi commenti di esperti e soggetti variamente interessati, alcuni dei quali particolarmente apprezzabili per la pertinenza e incisività dei ragionamenti critici.

Per parte mia, sono solita farmi un’idea sulla scorta di una ricognizione diretta dei testi, per consuetudine consolidata (e per deformazione professionale). Il motivo di fondo di questo approccio, nel caso specifico, è però un altro: cercare di evitare la scorciatoia delle posizioni moralistiche, delle invettive inevitabilmente generiche, che non aiutano ad affrontare efficacemente le questioni, per contribuire al necessario dibattito pubblico, che ci si augura esca dai confini degli addetti ai lavori.
Dunque, lo schema di disegno di legge. Ad una disamina complessiva, mi sembra da considerare con atteggiamento intellettuale di estrema vigilanza, culturale e politica. L’esecutivo, infatti, ha scelto di dare al suo intervento non un carattere di tipo esortativo-orientativo (sul modello, per intenderci, di una Raccomandazione o di Linee guida) ma di operare “chirurgicamente” sulla normativa esistente, partendo dal decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62 (quello che disciplina la valutazione didattica) e individuando gli articoli su cui apportare modifiche, integrazioni o sostituzioni di interi periodi. Un metodo che trova conferma in tutti i passaggi. Dopo il decreto appena citato, è la volta (comma 2)  della Legge n. 92/2019 (quella che ha istituito l’insegnamento dell’educazione civica). Qui troviamo un’integrazione lapidaria: alla parola “attiva” (n.d.a. riferita alla cittadinanza) è aggiunta “e solidale”. Confesso che, nel leggere, ho pensato all’ironia involontaria di un termine adottato da un governo che tutto sta facendo meno che politiche “solidali”, in tutta la gamma delle sue azioni…

La declinazione di dettaglio che ispira il testo prosegue nei periodi (commi) successivi, a cominciare dal 3: dove si entra nella previsione di fasi attuative, con i relativi “regolamenti” volti alla revisione della disciplina in materia di […] come da titolo dell’articolo. Qui vale la pena sottolineare almeno due passaggi, perché mi sembrano non solo rilevanti, ma significativi della postura intrinsecamente contraddittoria assunta dagli estensori del testo. Il primo, riguarda “l’autorevolezza dei docenti delle istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado del Sistema n azionale di istruzione”. Il secondo dei passaggi (comma 4) afferma che i regolamenti sono adottati “nel rispetto dell’autonomia scolastica” […]. Segue una concisa ma particolareggiata rassegna riguardante “l’istituto dell’allontanamento dello studente dalla scuola”.
Mi chiedo, rispetto a quest’ultimo rilievo, come si possa salvaguardare l’autonomia scolastica, nella sua più piena ed ahimè spesso disattesa accezione (quella che non riduce l’autonomia ad una mera gestione burocratica dei processi) a fronte di un intento così plateale di “normare” i singoli casi, per di più con un’ottica puramente quantitativa che fissa le soglie delle sanzioni al numero dei giorni da comminare, innescando automatismi discutibili. Quali margini di ponderata considerazione restano alla scuola, agli insegnanti, per calibrare la natura e la rilevanza del provvedimento? Per inciso, a questo criterio in definitiva si deve ispirare un’istituzione educativa che non si voglia identificare al ribasso con un organismo giudiziario. Quale valore e incisività assume, nel quadro che si prefigura, il regolamento di istituto, espressione di governo democratico della scuola in tutte le sue componenti rappresentative? In mano agli insegnanti-educatori, nella loro responsabilità individuale e collegiale, il processo decisionale è garanzia di scelte certo discrezionali, ma in linea di principio non arbitrarie. E qui si innesta la prima sottolineatura che proponevo: il richiamo solenne all’autorevolezza “dei docenti delle istituzioni scolastiche”. Questione dibattuta, ed esposta al rischio di semplificazioni banalizzanti, alcune delle quali ho visto ricorrere in qualche commento scritto a caldo sugli annunciati provvedimenti. Ma qui il punto è un altro: quale autorevolezza si può esercitare se si viene ridotti al ruolo di “esecutori” di indicazioni puntigliosamente declinate in modo centralistico, per definizione “fuori contesto”? Cosa ne è della scuola e dei docenti (e, aggiungo, di tutt* coloro che nella scuola svolgono un compito di tipo pedagogico comunque inteso) espropriati della funzione educativa per eccellenza che consiste essenzialmente nel mantenere operante la relazione, più che mai  nelle situazioni in cui il comportamento manifesto la “reclama”, seppure nelle forme ambivalenti del rapporto oppositivo o disfunzionale? Operare con la “carta millimetrata” sulle sanzioni, come nel suo insieme sembra suggerire il provvedimento, è allora la dichiarazione certificata di un’impotenza delle istituzioni, di una rinuncia ad esercitare responsabilmente un ruolo che non sta scritto sull’ultimo e più “aggiornato” provvedimento del governo di turno, ma nella Carta costituzionale, cui ogni governo giura fedeltà.

Avviandomi alla parte conclusiva di questo contributo, vorrei ritornare sul tema dell’autorevolezza: tutt* possono convenire che non va confusa con l’autoritarismo (malattia infantile o senile del potere). Fin qui siamo nel terreno del buon senso: sempre utile, certo, ma insufficiente a contrastare sul piano politico-culturale le derive che su diversi fronti emergono, e non solo nel nostro Paese. Per andare oltre questa prospettiva, mi sembra interessante esplorare le radici della lingua, attingendo alle riserve di senso dell’etimo. Qui troviamo l’antico sostantivo “auctoritas”, nella radice accomunato al verbo “augere” (“far crescere”). Nella tradizione giuridica ha un significato relativo al linguaggio settoriale, da considerare rigorosamente. Ma è la suggestione del verbo che mi sembra legittimare qualche sconfinamento sul terreno, più congeniale a me e a chi mi legge, dell’agire educativo. In questo senso, chi insegna/educa (e tutta l’istituzione che da almeno tre secoli incarna, con alterne vicende, l’atto dell’educare) è autorevole in quanto “fa crescere”: si assume la responsabilità di accompagnare-stimolare-sostenere la crescita. La presa di consapevolezza delle proprie azioni, nelle loro intenzioni non meno che nelle conseguenze, fa parte integrante del percorso di crescita, nella direzione di una socialità aperta e davvero “solidale”. Sappiamo, per l’esperienza maturata sul terreno impervio dell’educazione, che nessuno cresce davvero sotto il pungolo della punizione, per effetto di un sistema sanzionatorio e men che meno repressivo. Le istituzioni “totali”, quali quelle carcerarie e comunque basate su condizioni più o meno esplicite di “detenzione”, producono uno stato di minorità permanente, che è l’esatto contrario di una crescita responsabile e di un’umanità adulta. Il fine ultimo dell’educazione è, infatti, il superamento dell’asimmetria della relazione, sotto qualunque forma si presenti.

La scuola, e l’istruzione/educazione, ha un ruolo decisivo in questo processo, anche se non deve commettere l’errore di pensarsi da sola o autosufficiente. Per questo, ho trovato decisamente discutibili, tra i provvedimenti prefigurati nel Ddl, le indicazioni sulle forme di “riparazione” destinate ai comportamenti che hanno determinato una valutazione insufficiente della condotta. Come l’assegnazione di “un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale da trattare in sede di colloquio dell’esame conclusivo del secondo ciclo” (art. 3 c. 1, punto c) 1). Analogamente, il “coinvolgimento dello studente in attività di approfondimento sulle conseguenze dei comportamenti che hanno determinato il provvedimento disciplinare.” (c. 4, punto a) 1. Immagino le conseguenze nefaste che può avere questa impostazione sulla formazione dei ragazzi e delle ragazze, incoraggiati per questa via ad esercitarsi in atti di “pentitismo” bugiardo, di “abiure” strumentali, come incalliti esperti del ramo. Fino ad arrivare, al comma 4, punto b) 3, a quel “capolavoro” di distorsione didattica che è la sospensione del giudizio in sede di scrutinio finale, in caso di voto nel comportamento “pari a sei decimi” (scuole secondarie di II grado) subordinando la promozione alla presentazione, “prima dell’inizio dell’anno scolastico successivo, di un elaborato critico in materia di Cittadinanza attiva e solidale assegnato dal consiglio di classe […]”. Con l’inevitabile bocciatura nel caso di mancata presentazione del suddetto elaborato, o di valutazione non sufficiente. Ma questo è anche il risultato di una legge, la L. 92 del 2019, che ha, a mio avviso malauguratamente, ridotto l’educazione alla cittadinanza ad una disciplina a sé stante, sottraendole il ben più sostanziale valore educativo-didattico come insegnamento trasversale a tutte le discipline.

Insomma, da oggi in poi, si può essere rimandati, o bocciati, in condotta non per la condotta: siamo di fronte ad un ulteriore segnale per chi ha a cuore una scuola e un’educazione democratica. A me richiama l’idea inquietante di una scuola di regime.

 

immagine a fianco: F. Casorati, "Gli scolari" (1927/28). 

Scrive...

Simonetta Fasoli Dirigente scolastica, educatrice.

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