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03/07/2023

La serietà è una cosa seria

di Maurizio Muraglia
L'intervento del Ministro Valditara sulla valutazione della "condotta" ci sembra del tutto disallineato rispetto ad un'idea di scuola che debba, secondo Costituzione e secondo norme vigenti, istruire educando.
Lo stesso uso di parole come "condotta", appunto, passando per "direttrici" di intervento normativo (fino a ieri le chiamavamo "indicazioni") ci sembra quanto meno inutile, alla luce dell'esperienza e della cultura professionale e pedagogica che in un sistema moderno dovrebbero prevalere, superando definitivamente in concetto di "premio/punizione". Preferiamo praticare categorie di lettura come "disagio", "relazione educativa", "inclusione", "ambiente di apprendimento", "recupero", che sono segno di visione proattiva, non retroattiva.
Noi adult* di riferimento per giovani in gran difficoltà, più di prima abbiamo bisogno di ricollocarci nei contesti, per riscriverli e garantire alle nuove vite che crescono situazioni dignitose ed emancipanti.
Ricordiamo perciò l'intervento di Mauro Palma al seminario per i cinquant'anni del Cidi, nell'Ottobre del 2022, che mette in relazione senza incertezza il sapere, la giustizia, la concordia. 
Qui di seguito, l'argomentazione di Maurizio Muraglia, che sta a scuola, insegnando, studiando e riflettendo; vi invitiamo anche a leggere i riferimenti al tema che insegnare ha ospitato negli anni, e che trovate elencate nella colonna a destra. 
Non permettiamoci distrazioni dalla cura della nostra autorevolezza insegnante.

 

La vicenda di Rovigo - la prof “impallinata” dai ragazzi con una pistola ad aria compressa - ha incoraggiato la politica a istituire un nesso alquanto avventuroso tra due elementi: l’autorevolezza dei docenti e il voto di condotta. Il nesso seduce il senso comune, perché, se così non fosse, la politica, che di esso si nutre per ottenere consenso elettorale, non lo avrebbe mai istituito. Il senso comune lavora su schemi semplici: il monello che non riconosce l’autorità va punito. Schema elementare inoppugnabile e certamente non estraneo alla cultura pedagogica di gran parte degli insegnanti. Che infatti sui social inneggiano all’entrata in scena del ministro.

A Rovigo quei monelli erano stati promossi con nove e otto in condotta. Tecnicamente vuol dire che non avevano insufficienze nelle materie. I colleghi della prof impallinata erano certamente al corrente del fattaccio, avvenuto otto mesi prima. Si tratta di un fatto che costituisce probabilmente reato e in quanto tale avrebbe dovuto produrre già altri effetti prima dello scrutinio finale. Eppure quel consiglio di classe né ha bocciato né ha dato un voto di condotta al di sotto del nove e dell’otto. Con scandalo dei media locali, del ministro che si è costernato e dei docenti social solidali con la collega mortificata.

Immediatamente la retorica ministeriale ha chiamato in causa un suo cavallo di battaglia molto propagandistico di quest’epoca, ovvero l’autorevolezza dei docenti. Forse avrebbe dovuto usare il termine “autorità”, più congeniale ad un ragionamento sui comportamenti disciplinari. Infatti quei monelli hanno dimostrato non tanto di non riconoscere l’autorevolezza di quella docente (perché se così fosse stato sarebbe stata unanime la condanna da parte del consiglio di classe), bensì di non riconoscere l’autorità di quella docente, consistente nel saper-tenere-la-disciplina. Il che non è per nulla elemento giustificante. Quel che è stato fatto non si doveva fare e andava comunque sanzionato.
Quei monelli sono stati comunque promossi. Con voto di condotta abbassato. Gli stessi docenti che prima avevano dato nove e otto un giorno dopo hanno rivisto la loro posizione. Cioè hanno accontentato la dirigente scolastica che a sua volta ha accontentato il ministro. Ripristinata quindi l’autorevolezza, perché di questa si parla, della collega impallinata? Agli occhi di chi? Dell’opinione pubblica?

Il re è nudo. Il gioco delle parti è in scena, e suggerisce poche semplici osservazioni. La prima è che quel consiglio di classe non ha proprio rivisto un bel niente: ha scelto il quieto vivere e stop. La seconda è che quei ragazzi e le loro famiglie hanno tirato un sospiro di sollievo perché poteva, e forse doveva, andare peggio (ma da Ottobre ad ora nessuno ha fatto nulla...).
La terza osservazione è che a quella povera collega, se l’autorevolezza non ce l’ha, non può certo darla un voto in condotta più basso per i monelli. La quarta è che si è verificato un precedente intollerabile, cioè l’invito arcigno di un ministro, ad una scuola che è autonoma e ad un organo collegiale che è sovrano, di rivedere una delibera.

Ci si è pensato a quanti consigli di classe in Italia agli scrutini finali deliberano promozioni, bocciature e quant’altro? Il ministro ne è al corrente? Immagina il ministro quanta roba simile o anche più incresciosa di quella avvenuta a Rovigo passa sotto il suo naso? E immagina come i criteri di valutazione della condotta siano onorati in tutta Italia? Insomma, la strada dell’ invito a riconvocarsi e dell’invio di ispezioni così, un po’ random, è strada che non spunta. Sia perché è in sé lesiva dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e delle delibere dei suoi organi collegiali che solo un giudice può impugnare, sia perché non può escludere che una dirigente scolastica sia determinata a non riconvocare proprio nessuno (e quindi a non “autotutelarsi”), sia perché non può escludere che gli stessi docenti siano altresì determinati a confermare il voto di condotta. In ultimo, cosa più importante di tutte, perché questo tipo di inviti non ripristinano l’autorevolezza di nessun docente, che si gioca su altri ben più seri terreni che non siano il voto di condotta.

E qui si torna all’assunto iniziale, ovvero il nesso avventuroso, ma mediaticamente molto efficace, tra autorevolezza e voto di condotta. Cosa rappresenta quest’ultimo? In che rapporto si situa con la valutazione degli apprendimenti, considerato che trattasi di scuola, e a scuola la condotta è sempre condotta dentro i contesti di apprendimento? Gli alunni di Rovigo, non dimentichiamolo, sono stati valutati sufficientemente nelle discipline. E pertanto promossi. Il che vuol dire che l’azione “invitante” del ministro non ne ha procurato la bocciatura, e forse non voleva procurarla. Perché? Forse perché l’alunno valutato positivamente in tutte le discipline e negativamente nella condotta rappresenta un’ipotesi irrealistica. Quanti allievi si contano nel nostro Paese che hanno conseguito la promozione nelle discipline e sono stati bocciati solo per la condotta?

Cosa può indurre un ragazzo valutato positivamente sul piano degli apprendimenti a compiere azioni palesemente scorrette e a violare tutti i regolamenti? Lasciamo alla sociologia simili rare circostanze, e concentriamoci invece sulla circostanza di gran lunga più diffusa e realistica a scuola, che chiama in causa l’altra fisionomia di alunno, quello valutato negativamente nella condotta e altrettanto negativamente negli apprendimenti (quel che volgarmente viene chiamato “profitto”). E consideriamo fin da adesso che il consiglio di classe di Rovigo non ha dato insufficienza né all’una né agli altri. Come dire che l’intervento del ministro non ha prodotto nulla di rilevante. E l’autorevolezza, o autorità che dir si voglia, di quella docente non si è mossa di un millimetro, nel migliore dei casi.

Diciamolo con chiarezza. Quello col voto basso o addirittura insufficiente in condotta è con tutta evidenza l’alunno che vive male l’esperienza scolastica. La pagella di questo tipo di alunno conterrebbe certamente, accanto alla valutazione negativa in condotta, le valutazioni altrettanto o maggiormente negative nelle discipline di studio. Palesemente egli proietta tutto il suo malessere cognitivo sul piano dei comportamenti, e ciò avviene - come insegna l’esperienza dei docenti - perché le relazioni che egli instaura nell’ambiente scolastico sono segnate negativamente dall’irrilevanza della sua esperienza di apprendimento. Egli non può riconoscere alcuna auctoritas culturale in uno o più insegnanti perché essa - nel rispetto dell’etimo, giacchè auctoritas deriva da augeo - non lo fa crescere.

In altre parole, non percepisce in sé alcun nesso tra esperienza culturale e crescita personale.

Questo mancato riconoscimento dell’auctoritas culturale del contesto di apprendimento, finisce per determinare quel che possiamo definire, con Gregory Bateson, l’esito paradossalmente positivo del deuteroapprendimento (o apprendimento del contesto). Come dire che a scuola, mentre si imparano le cose, si imparano in modo più incisivo i contesti delle cose. E se i contesti sono insensati ed inefficaci, i ragazzi imparano insensatezza ed inefficacia. Queste sì che le imparano, le cose, no. Insomma, il monello ha imparato la monelleria proprio perché non impara le cose, per dirla sbrigativamente. E così si spiega anche come mai lo stesso allievo sia irreprensibile in una disciplina e una peste in un’altra. Facciamo media?

Ora, isolare il voto di condotta dal processo di insegnamento e apprendimento che ne costituisce l’humus e snocciolare misure repressive è retaggio di pedagogia autoritaria e in quanto tale anacronistica. In realtà se ci sono dieci discipline ci sono dieci condotte. Mentre il voto attualmente è unico. Ma questa unicità propone un mostro valutativo perché media tra condotte figlie di setting contestuali differenti. È il setting contestuale che rende significativo il sapere della scuola. Di esso fa parte tutto l’armamentario utilizzato per produrre apprendimento, dall’assetto degli alunni al materiale utilizzato, agli obiettivi individuati, alle relazioni instaurate, alla filosofia valutativa adottata, al tasso d’inclusività di questa o quella didattica disciplinare. Per questo il voto unico di condotta andrebbe abolito, altro che ripristinato alla secondaria di primo grado e addirittura “fare media”! Andrebbe abolito per la sua insensatezza pedagogica. Per la sua impossibile collegialità. Ciascun docente nella sua disciplina incorpora tutto. C’è poco da “abbassare” con le ispezioni.

Non sfugge a chi scrive che il contesto (o ambiente) di apprendimento scolastico non va considerato impermeabile all’influenza degli altri contesti in cui vive l’alunno. Contesto familiare, contesto ambientale e contesto amicale certamente intrecciano con il contesto scolastico un rapporto così stretto da far ritenere sempre necessaria un’attenta analisi delle ragioni che inducono un allievo a produrre certi comportamenti.
Ma non possiamo (non dobbiamo, nella scuola della Repubblica) dare un voto di condotta alla famiglia, al quartiere o alla città.

I giri di vite, per non essere semplicistica propaganda muscolare, devono fare i conti con la complessità delle questioni pedagogiche che stanno dietro i comportamenti dei ragazzi ed i comportamenti dei docenti. C’è poco da annunciare trionfalmente il ritorno della serietà. Periodicamente i ministri la annunciano. Gli anni del ministro Fioroni, 2006 e 2007, contengono pronunciamenti assolutamente sovrapponibili a quelli che leggiamo in questi giorni sul sito del ministero. Chi qui scrive ha facile gioco nel riproporre questioni già trattate sedici anni fa. E ne troveremo di simili andando a ritroso nel tempo fino a De Amicis.

La serietà è una cosa seria, e non sta nelle ordinanze “libro e moschetto” o “legge e ordine” che dir si voglia. La serietà sta nell’assumere criticamente le questioni di devianza e di trasgressione giovanile, nel non dare soluzioni da slogan a problemi profondi e complessi, e, forse, anche nel tenersi distanti da indebite invasioni di campo.
Se un consiglio di classe cessa di essere, istituzionalmente, il massimo esperto degli alunni che incontra ogni giorno, si apre un fronte molto insidioso, che con la scuola democratica ha scarso nesso.

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

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