Home - la rivista - scuola e cittadinanza - Senza condotta, ovvero del condurci insieme

temi e problemiscuola e cittadinanza

20/07/2023

Senza condotta, ovvero del condurci insieme

di Pietro Levato

Ha mostrato i muscoli, il ministro Valditara. E con l’impacciata urgenza di chi pensa di essere stato chiamato a trovare soluzioni “immediatiche” a realtà scolastiche per fortuna ancora autentiche e complesse. Peggio: lo ha fatto inseguendo l’estemporaneità della cronaca. Soluzioni effimere, quindi appetibili. Come si spiegherebbe altrimenti l’improvviso ritorno al voto in condotta nella scuola secondaria di primo grado, oltre che l’auspicio di una sua maggiore rilevanza nella secondaria di secondo grado? E proprio quando molti istituti superiori intendono finalmente sperimentare il giudizio descrittivo al posto del voto decimale in pagella (di cui è ormai conclamata l’inadeguatezza)! Oppure, il che non è da escludere affatto, la cronaca diventa il pretesto per affermare un’idea di mondo, in questo caso del mondo dei giovani. Tutto è cominciato col rave di Modena, per proseguire con le proteste degli ambientalisti di ultima generazione che imbrattano i monumenti (ma, ebbene sempre precisarlo, con vernici lavabili), e approdare adesso al comportamento da tenere a scuola, naturalmente dopo la vicenda dell’insegnante di Rovigo. Sotto accusa è una triade inaccettabile, persino insostenibile per il mondo ingessato e ipocrita degli adulti: trasgressione, provocazione, disagio esistenziale. Tutta roba da falcidiare, o da nascondere sotto il tappeto, con misure moralistiche, infarcite di paternalismo che, avendo fatto ormai il suo tempo, a riesumarlo a ogni piè sospinto oggi risulta non solo impotente ma anche e soprattutto grottesco.

Non illudiamoci, però, Valditara sa di essere capito, poiché la nostra scuola di paternalismo e ipocrisia è ancora molto imbottita. Prova ne è l’ideologia della meritocrazia, vanto dell’attuale ministro e presenza carsica da decenni della nostra scuola, in cui, a dispetto delle bandiere che sventolano con la parola "inclusione", si esaltano la competizione, la prestazione individuale, il risultato, la classifica Invalsi. Ci domandiamo quindi, seguendo l’ammonimento di Mario Ambel, come può una scuola così fatta, lontana dall’essere “autenticamente democratica e inclusiva”, ambire a impartire lezioni di cittadinanza e proprio ai cittadini di domani? [1]
Evidentemente può, visto che molti insegnanti avranno di sicuro tirato un sospiro di sollievo alla reboante dichiarazione, quasi come un risarcimento alla stanchezza che, unita alla frustrazione di molti, accompagna come sempre la fine di ogni faticosissimo anno scolastico (guai, invece, a provare già dal giorno dopo la nostalgia delle alunne e degli alunni, del loro vivido contatto). Ci si abbandona in questo modo al miraggio di un cambiamento purché sia; e per la scuola italiana cambiare significa ormai o inseguire le mode o tornare a una presunta età dell’oro. Altre vie, più meditate, più impegnative, non sono date. Dunque, ecco che per quest’estate gli insegnanti avranno la loro quattordicesima, il ritorno agognato all’autorevolezza, che chissà quando è stata sottratta loro (ma una data c’è, rumoreggia nei corridoi delle scuole, si fa largo nelle riunioni collegiali: 1974, l’anno famigerato dei decreti delegati, sempre quelli; per non parlare del ’68, origine di tutti i mali). Poco importa se il voto in condotta impone l’obbedienza, liquida il conflitto, mina la responsabilità della relazione reciproca, dell’allievo e dell’insegnante. In fondo è l’autorità che si cerca, non l’autorevolezza (come ha opportunamente chiarito Maurizio Muraglia nel suo recente contributo). Gli insegnanti conoscono la differenza, fingono di sovrapporre le due dimensioni: sanno bene quanto sia più allettante la prima, che non ha bisogno di giustificazioni; e quanto invece la seconda costi sforzo e pazienza. L’autorità infatti si impone, pretende di essere riconosciuta e temuta, è sostenuta dalla tradizione non dall’individuo; l’autorevolezza invece si conquista, offre prima di chiedere, è nelle mani del singolo e per questo deve inventare sé stessa ogni giorno, anche a costo di perdersi di tanto in tanto. L’autorità si protende verso l’alto, l’autorevolezza si tende verso l’altro
"La Costituzione non si insegna, ma va vissuta"[2]. Non abbiamo dubbi che il ministro abbia preso spunto dall’affermazione di Anna Sarfatti per far vivere con rigore e fino in fondo i principi costituzionali, esibendo l’altro spauracchio: la minaccia di essere rimandati in educazione civica. Ce l’aspettavamo, il babau, era dietro l’angolo fin da quando nel 2008 era stata inventata la “materia”. Cittadinanza e Costituzione [3], sul momento ancella delle discipline storico-sociali, poi emancipatasi come “materia” a sé diventando nel 2019 Educazione Civica [4] mantenendo la lampante parentela con il comportamento. Ed ecco quindi un’altra sempiterna e impropria sovrapposizione che circola all’interno delle mura scolastiche: l’istruzione e l’educazione. Ne ha parlato Zagrebelsky nel suo intenso recente saggio "La lezione", in cui l’autore si chiede, tra le altre cose, se tra l’istruzione come trasmissione e l’educazione come ammaestramento non possa esserci spazio per “una diversa concezione della ‘moralità’ dell’apprendimento”. Poiché, diciamolo senza indugio, il peso che si vuole dare alla condotta intende sottrarre la moralità all’apprendimento, determinandone una indebita frattura. Ma l’alternativa esiste, afferma l'autore, è “il camminare insieme guardandosi intorno, sempre e di nuovo”. E continua, andando ancora più a fondo: “Non c’è forse moralità in questo atteggiamento attivo, esplorativo, attento a ciò che c’è costantemente da scoprire e imparare nell’opera di costruzione della propria identità?”. Allora invece di farci scudo con il voto in condotta – che ammaestra, sottomette, impigrisce, neutralizza – dovremmo riappropriarci del verbo da cui l’insinuante termine deriva, ovvero condurre. Anzi, meglio, condurci , insieme.

Note

[1]  Cfr. la prefazione di Mario Ambel ai due volumi collettanei, curati dallo stesso, "Una scuola per la cittadinanza. Idee, percorsi, contesti," PM edizioni, Varazze, 2020.

[2]  Anna Sarfatti, "La Costituzione spiegata ai bambini", Mondadori 2009.

[3] Uso il virgolettato sull’esempio di Zagrebelsky ("La lezione, Einaudi 2022") citato dopo, che ha dedicato alcune condivisibili osservazioni sulla legge 169/2008, coincidenti con l'assunto di fondo dei successivi volumi  Una scuola per la cittadinanza. Idee, percorsi, contesti, cit.
La tesi sostenuta è chiara: l’educazione alla cittadinanza è già insita nelle discipline scolastiche e nell’intero progetto formativo della scuola; separarla, anzi relegarla, a un monte ore preciso, ad alcuni nuclei tematici e metodologici selezionati e a una valutazione ridotta al voto numerico, significa esporla a un sistema valoriale che sa di indottrinamento.

[4] “(…) una legge sbagliata perché superficiale, inadeguata e controproducente dal punto di vista delle esigenze e delle prospettive educative, fragile e pasticciata dal punto di vista della coerenza culturale, presuntuosa e al contempo ipocrita dal punto di vista della progettualità politica”, afferma Ambel, con un giudizio severissimo e inoppugnabile, a proposito dell’introduzione dell’educazione civica come “materia” nella scuola. Cfr. M. Ambel, (a cura di), Una scuola per la cittadinanza. Idee, percorsi, contesti, cit.

Scrive...

Pietro Levato Docente di Italiano della scuola secondaria di primo grado; membro del direttivo del CIDI di Pisa, collabora con il CIDI di Firenze.

sugli stessi argomenti

» tutti