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una recensioneoltre la lavagna

20/07/2023

Un’ora sola di lezione (alla e di Zagrebelsky) vorrei

di Pietro Levato

C’è un racconto di Piumini che racchiude tutta la “magia” della lezione, secondo Zagrebelsky, Magia, precisa l’autore – che, come vedremo, si affida spesso alle radici etimologiche delle parole che qui contano–, nel senso di “ingrandire”, “espandere”, come la radice sanscrita mag* fa intendere. Varrà la pena quindi, attraverso la storia di Mattia e il nonno [1], ingrandire appunto come con una lente le preziose riflessioni che Zagrebelsky ci ha consegnato, per ripensare con coraggio a uno dei momenti più significativi dell’esistenza di una persona: la lezione a scuola. No, non è un’esagerazione retorica; anzi, lo scopo ultimo dell’autore è proprio dimostrare, attraverso questa agile esposizione del suo pensiero sulla decisiva centralità dell’insegnamento per tutti, per tutti, che un’ora sola di lezione può “valere per tutta la vita che resta”. A patto però che “professori e studenti non si accontentino di stare in classe ma vogliano essere in classe". Ça va sans dire? Affatto, poiché una volta che ci lasceremo accompagnare in questa breve ma intensa passeggiata in cui il nostro autore-professore ha inteso condurre noi lettori-studenti, quasi nulla sarebbe potuto andare da sé: non la via maestra da perseguire, non le utili digressioni che a quella fanno continuamente ritorno. La lezione come una passeggiata, quindi. E cos’altro è la storia del nonno e di suo nipote Mattia se non una lunga passeggiata tra colui che incammina (l’insegnante che appartiene alla generazione precedente) e colui che si mette in cammino (l’allievo della generazione successiva)? La lezione infatti – e Zagrebelsky qui si affida alle osservazioni di un altro grande intellettuale, Pavel Florenskij [2], “non è un tragitto sul tram che si trascina avanti inesorabilmente su binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a piedi, una gita, sia pure con un punto finale, la meta, senza avere tuttavia un’unica esigenza, un’unica finalità. 
Nel quarto capitolo del romanzo di Piumini, Mattia e il nonno stanno camminando. Il paesaggio è indistinto, di là c’è un fiume, verso destra un monte, in lontananza il mare: insomma, la summa di tutti i paesaggi possibili (o quasi). Ed ecco il nonno rivolgersi al nipote esclamando: “Guarda!”. Poiché è all’insegnante che “spetta di dire la prima parola, la parola da cui dipende tutto ciò che sarà in seguito” Non a caso Zagrebelsky dedica l’intero primo capitolo del suo lavoro alla parola, ovvero alla scuola come casa delle parole. Perché le parole chiamano in vita le cose, “dare i nomi alle cose (…) è un’attività creatrice che ci fa crescere”. E difatti il nonno-insegnante indica al nipote-studente un cavallo bianco, al di là del fiume, invitandolo a dargli un nome. Ecco così avviato il primo movimento della lezione, dell’attrazione dice Zagrebelsky, in cui l’oggetto della lezione (il cavallo del nostro racconto) investe l’allievo per mezzo dell’insegnante; ma c’è un secondo movimento, della passione, che dall’allievo va verso la cosa. “– Ti piace?, – disse il nonno (…) – Eh sì, – disse Mattia”, il quale subito osserva, ormai avviato al secondo movimento della lezione, che “c’è il fiume in mezzo” . È lo scoglio che ogni buon insegnante ha da superare, smuovendo e mettendo in marcia i suoi allievi, promettendo loro, come il nonno fa con Mattia, che forse il cavallo-oggetto della conoscenza potrà essere raggiunto, o forse no . Nonno e nipote allora si mettono a giocare per trovare il nome del cavallo, ne dicono tanti ma non ne va bene nessuno. Un esempio lampante, questo, di lezione non come un momento informativo ma come momento fermentativo, e qui il nostro professore cita ancora Florensky, la cui opera, L’arte di educare, sembra ispirarlo particolarmente. Zagrebelsky tuttavia scava forse più in profondità, smascherando così la pervasiva Scuola-Narciso [3] quando continua il suo ragionamento contrapponendo la lezione come momento riproduttivo, a cui bisognerebbe sempre sottrarsi, con la lezione come momento creativo: come scambio di parole. Mattia infatti, per tornare al nostro racconto-gancio, non si atteggia qui al “bravo studente” chino con la testa sul quaderno in cui trascrive tutto ciò che dice il professore, o “l’imparato presuntuoso” che gareggia con l’insegnante in quanto a erudizione, ma impersona lo studente che annota sul quaderno “il bottino delle parole importanti, soprattutto quelle di cui non si conosceva già il significato”; perché solo così noi diventiamo un po’ padroni delle cose, scopre Mattia, dopo aver trovato il nome adatto al cavallo, cioè soltanto quando assegniamo loro un nome 
Ma anche il nonno di Mattia non è certo il professore erudito, il “mostro di scienza” che “crede di eccellere rovesciando sugli studenti torrenti di nozioni e notizie”: “il professore che si esibisce così non è un buon professore”, ci assicura il nostro autore. E dunque chi è il buon insegnante? Ce lo dimostra il nonno di Mattia, appunto, che usa ciò che già sa per guidare all’osservazione e alla scoperta per accendere la testa dello studente come una candela, come “una catasta di legna che attende una fiammella per incominciare a bruciare”, e non per intasarla come un vaso; che non manovra, non trascina e non incalza, ma che sa aspettare, per dare tutto il tempo al suo nipote-studente “di toccare le cose con le proprie mani e la propria mente”.  Il nome, Mattia lo trova nell’esatto momento in cui il cavallo alza la testa e guarda verso di loro con la criniera che gli batte sul collo, e quando Mattia finalmente lo chiama con il nome che ha trovato – scoperto – per lui, il cavallo drizza la coda, che gli resta sollevata per qualche istante. È questa l’esperienza della relazione, “un momento di alleanza”, che solo chi possiede le parole può vivere, poiché chi ne ha poche è povero, “è meno vivo di chi ne ha tante, ed è esposto alle prevaricazioni di chi ne ha di più”, ci ricorda Zagrebelsky  riportandoci a don Milani [4]. È proprio di relazione è permeato tutto il testo, a partire dall’etimologia del termine lezione che, ci fa scoprire il professore, rinvia al greco légein che non ha a che fare solo con lettura ma anche con “l’atto del raccogliere, del radunare, del mettere insieme” (corsivo mio). E nel nostro caso mettere insieme è prima di tutto riunire persone “presso qualcuno che esercita una funzione magistrale”, ma anche riunire “sguardi in numerose direzioni”. Uno spazio, la lezione, che appartiene in contemporanea a insegnanti e studenti, in cui per poter “ascoltarci reciprocamente” bisogna cominciare non con “Fate silenzio!”, che dimostra già di per sé la sopraffazione dell’insegnante nei riguardi dei suoi allievi, lo squilibrio della relazione, ma più propriamente con un “Facciamo silenzio!”, che invita alla “colleganza”, e qui Zagrebelsky fa il nome di un altro grande maestro del Novecento, Mario Lodi. Lo ha ben compreso Mattia, il quale sceglie per il cavallo, ormai un po’ suo, il nome di “Brigante”che, guarda caso, come il termine “brigata” deriva da “briga” nel significato antico di “compagnia” E allora “brigante”, nella sua accezione scherzosa di bambino monello, è lo/la studente impertinente, che deve invece essere preso/a sul serio e a cui il professore deve perfino la sua gratitudine, poiché è colui o colei “che sa che il suo posto non è seduto, né tantomeno sdraiato, bensì in piedi, ben ritto davanti a ciò che gli scorre davanti durante la lezione” Che si sottrae agli ambigui insegnamenti, a quel “pericolo di indottrinamento” che al nostro autore non sfugge quando cita il documento di indirizzo del 2009 sulla “materia” (il virgolettato è nell’originale) di Cittadinanza e Costituzione; e che, potremmo aggiungere, diventata dal 2019 Educazione Civica, non ha perso affatto tutta la sua carica paternalistica e moraleggiante. 

Anzi, corre il rischio persino di essere esasperata dopo le ultime dichiarazioni del ministro Valditara, che intende adoperare la presunta “materia” come uno strumento di minaccia, se non di reprimenda, a tutto vantaggio, qui sì ça va sans dire, del “bravo studente”: lo “stenografo”, ironizza Zagrebelsky, prendendo bonariamente in giro questa nota e ambita figura di scolaretto compiacente e adattato.

Così come la passeggiata di Mattia e il nonno è un susseguirsi di avventure nel tentativo di raggiungere il cavallo bianco al di là del fiume, anche il cammino di Zagrebelsky, di appena un centinaio di pagine, è disseminato di generosi spunti di riflessione su aspetti dell’insegnamento non certo secondari, come l’uso dei manuali e dei voti nella valutazione, ma a cui dovranno necessariamente ricondursi altri contributi in altri momenti. Per avviarci alla conclusione, però, dobbiamo prima tornare a quelle “etimologie spericolate” che ci hanno indotto a pensare, e a cui il nostro professore ci ha abituato. Come non soffermarsi quindi sull’etimologia di “professore”, che completa in un certo senso quella di “lezione”. Infatti, professore viene da profaíno, “faccio apparire”, “proferendo, faccio luce”, o “faccio venire alla luce”. Quando ciò accade, non teme di affermare il nostro professore, anche solo in un’ora di lezione, “un’oretta di amore”, “è un dono di lunga durata”.

 

Note

[1]  Il racconto si dipana lungo brevi capitoletti in cui Mattia, un bambino di sette anni, e suo nonno vivono diverse avventure simboliche che, imperniate sempre sullo scambio reciproco di osservazioni e riflessioni, in un vero e proprio dialogo socratico, condurranno Mattia a scoprire il significato dell’esistenza e ad accettare infine la morte del nonno.

[2]  Pavel Florenskij fu un filosofo e matematico russo, fucilato nel 1937 “non perché fosse un politico dissidente, ma perché era uno fatto a modo suo, incompatibile con il pensiero irreggimentato che è l’ideale di ogni dittatura”

[3]  Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino, 2014.

[4]  In occasione del centenario della sua nascita, potete leggere, tra moltissimi altri, due contributi su insegnare (Il don Milani dimezzato di Mario  Ambel e Lettera a una professoressa. Rilettura per il tempo di un oggi qualunque di M. G. Calì, A. Caruso, A.C. Monardo, R. Corsi.)

 

Gustavo Zagrebelsky

La lezione

 

Giulio Einaudi, 2022

ebook

pp. 120, euro 7,99

Scrive...

Pietro Levato Docente di Italiano della scuola secondaria di primo grado; membro del direttivo del CIDI di Pisa, collabora con il CIDI di Firenze; componente della redazione di Insegnare.