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08/10/2023

I "no" che aiutano a cambiare

di Pietro Levato

Lo stato d’assedio dei giovani contro gli insegnanti e la scuola è giunto al capolinea. Finalmente un lungimirante e coraggioso Consiglio dei ministri ha approvato senza se e senza ma il decreto tanto sospirato. Confidiamo a questo punto nella celere approvazione dell’altrettanto illuminato Parlamento che, ne siamo certi, non tarderà ad arrivare. Così l’autorevolezza degli insegnanti è fatta salva, i giovani siederanno al loro posto, e i no che aiutano a crescere[1] saranno all’ordine del giorno.

Ma cosa resta invece di quei no che aiutano a cambiare, di cui a quanto sembra i più degli insegnanti non hanno mai inteso farsi carico? No a stigmatizzare chi è oppresso, facendolo passare per oppressore [2] no ai voti che servono solo a classificare e a selezionare; no alla bocciatura, anche alle scuole superiori, che serve ad allontanare non a redimere; no agli esami di riparazione, che perpetuano l’ottusa solitudine dell’apprendimento; no a una scuola, anzi filiera!, tecnico-professionale che sforna tecnici [3] per le aziende e non forma cittadini per lo Stato; no all’affermazione di un rapporto di potere tra insegnanti e studenti, che spinge a sottomettere non a emancipare. E se fossero proprio questi no ad aiutare a crescere, veramente? E non solo i giovani, ma anche gli adulti, che si illudono di essere cresciuti, ma sono solo ingranditi. Perché per crescere, si cresce insieme, e si cresce sempre.
E invece vogliono farci credere che il voto in condotta, triste summa dei no che aiutano a crescere, sia una conquista di responsabilità per lo studente e di autorevolezza per l’insegnante, quando sappiamo (eccome se lo sappiamo!) che è solo una deprecabile conquista dell’altro. È il dialogo interrotto, l’alleanza spaccata, l’imposizione di una presunta verità. È salire sul tram con i binari fissi per non correre il rischio di incamminarsi insieme nell’impervio sentiero dell’educazione [4]. È interventismo, azione pura, che schiaccia solidarietà, comprensione e riflessione, riducendole a inservibili strascichi. È la serenità di chi domina, la desolazione di chi è dominato.

«Il punteggio più alto nell’ambito della fascia di attribuzione del credito scolastico spettante sulla base della media dei voti riportata nello scrutinio finale può essere attribuito se il voto di comportamento assegnato è pari o superiore a nove decimi.».
In passi come questo del disegno di legge, dov’è finita l’esperienza della relazione [5]? La sola che possa condurci non a dominare ma a denominare le cose del mondo, anzi il mondo intero, per trasformarlo e liberarlo. Cosa resta dell’insegnante-testimone che sa aprire mondi, che non ha l’ultima parola, non detiene la sola verità, se il mondo intende espugnare con l’imperituro ideale dell’insegnante-padrone [6]? Quale solidarietà o ravvedimento possibile lo studente-randagio dovrebbe dimostrare, persino agire, con un elaborato critico (critico!) settembrino [7]? Che colpo da maestro pretendere l’ennesimo compitino di retorica a buon mercato, imbottito dell’ideologia del più forte che, se valutato positivamente, anzi misurato con un voto, da un corpo docente speriamo rabbonito dopo il riposo estivo, permetterà il superamento dell’anno scolastico. Eh già, perché alla fin fine non è questo che conta, non è questo lo scopo che induciamo a perseguire, che gli insegnanti stessi si propongono di raggiungere? Superare l’anno, accumulare crediti, ingraziarsi chi sta dall’altra parte, lavorare senza intoppi, contraffare i rapporti. Nessun inciampo, nessuno strappo, nessun conflitto. Nessuna crescita. Uno schermo protettivo per non essere nella relazione, che si fa con la furia dei corpi non a furia di elaborati e voti. E sì, anche con i corpi stanchi, vilipesi, mortificati degli insegnanti. Che, ahimè, non hanno ancora capito da quale parte stare, se dalla parte degli oppressori o degli oppressi.

E se invece lo scopo autentico della scuola fosse liberare non gli uni dagli altri, ma gli uni e gli altri? Che autorevolezza allora, cari colleghi, conquisteremmo!

 

Note

[1] Il riferimento non è solo al noto libro di Asha Phillips (Feltrinelli, Milano, 2013), ma anche e soprattutto all’articolo di Eraldo Affinati dal titolo “Il voto in condotta e l’importanza di un ‘no’” (Repubblica, 20 settembre 2023), a cui il mio contributo vuole idealmente replicare, non sui principi esposti con cui sostanzialmente concordo, ma sul metodo da adottare.

[2]  Cfr. Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano, 1971.

[3]  Questo il tenore nello schema del disegno di legge dove al Capo I si trova scritto: “Al fine di rispondere alle esigenze educative, culturali e professionali delle giovani generazioni, e alle esigenze del settore produttivo nazionale secondo gli obiettivi del Piano nazionale «Industria 4.0», è istituita, a decorrere dall’anno scolastico e formativo 2024/2025, la filiera formativa tecnologico-professionale”.

[4]  Cfr. Pavel Florenskij, L’arte di educare, Editrice La Scuola, Brescia, 2015.

[5]  Cfr. Gustavo Zagrebelsky, La lezione, Einaudi, Torino, 2022

[6]  Cfr. Massimo Recalcati, L’ora di lezione, Einaudi, Torino, 2014.

[7]  “ prevedere che per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado che abbiano riportato una valutazione pari a sei decimi nel comportamento, il Consiglio di classe in sede di scrutinio finale sospenda il giudizio senza riportare immediatamente un giudizio di promozione, subordinandolo alla presentazione da parte degli studenti, prima dell’inizio dell’anno scolastico successivo, di un elaborato critico in materia di Cittadinanza attiva e solidale assegnato dal consiglio di classe in sede di scrutinio finale, la cui mancata presentazione o la cui valutazione, da parte del consiglio di classe, non sufficiente comportano la non ammissione dello studente all’anno scolastico successivo.”

 

Scrive...

Pietro Levato Docente di Italiano della scuola secondaria di primo grado; membro del direttivo del CIDI di Pisa, collabora con il CIDI di Firenze.

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