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04/04/2021

Esame di Stato: allenarsi a tennis per fare la partita di calcio

di Maurizio Muraglia

Quando l’allora ministro Berlinguer, ormai un quarto di secolo fa, mise mano agli esami di maturità e cambiò la legge trasformandoli in esami di Stato, il filo conduttore che sembrava ispirare quella stagione normativa era quello del dialogo tra le discipline (multi- pluri- inter- trans-disciplinarità? Fate voi). Soprattutto il percorso introduttivo (un elaborato dell’allievo - sì, era un “elaborato”, cosa volete che fosse, un “improvvisato”? - che venne chiamato volgarmente tesina), la terza prova ed il colloquio apparivano come il banco di prova della capacità degli studenti di integrare i saperi, mentre le due prime prove avrebbero saggiato le competenze di scrittura in lingua madre e la padronanza delle discipline di indirizzo.  
Le cose non sono andate secondo quegli auspici. La trasversalità si è rivelata più una sommatoria di approcci disciplinari che non un vero e proprio habitus mentale. D’altra parte nessuno poteva sorprendersi. Un impianto disciplinarista a canne d’organo difficilmente avrebbe potuto approdare ad abiti mentali versatili, cioè in grado non tanto di muoversi tra i saperi quanto di trascendere gli stessi in una visione culturale a largo raggio. 
Quando si è constatato il fallimento dell’istanza trasversale della terza prova, ormai ridotta a sommatoria di quiz disciplinari in oltraggio alla stessa sua legge istitutiva, la si è abolita senza sostituirla con nulla e ci si è concentrati, a partire dall’esame 2019, sul colloquio “tematico”. Nel frattempo anche l’altro avamposto di trasversalità, cioè la “tesina” introduttiva, andava in soffitta. Dunque il colloquio con i materiali in busta. Dinanzi a quel che avrebbe trovato in busta, l’alunno avrebbe dovuto inventarsi una sua capacità integrativa. È stato il trionfo dell’improvvisazione, com’è noto. Il materiale in busta il più delle volte veniva partorito dalle discipline stesse (ognuno portava il suo “pezzo”), e l’allievo quindi era indotto a ragionare all’interno del dominio disciplinare individuato, ma se aveva prontezza di spirito e buona preparazione culturale mostrava anche di saper navigare tra i saperi.

Insomma, dai tempi di Berlinguer il mantra è stato uno solo. La capacità di collegare. Ricordiamo tutti che a partire proprio da quell’anno scolastico 2018-2019 cominciò la corsa alla mitica Tematica. Tutti i documenti del 15 maggio si sforzavano di contenere tematiche. Ma non esiste l’ora di Viaggio o di Potere o di Bellezza nelle classi delle superiori. Esiste l’ora di Inglese, di Fisica o di Arte. L’esistenza nella programmazione di classe di alcune tematiche obbligava i docenti a far loro spazio tra capitoli e paragrafi disciplinari. A “disturbare” il programma da svolgere. Un po’ come adesso avviene per le 33 ore annue di Educazione Civica. I due ultimi anni scolastici, segnati dalla pandemia, non hanno perso di vista la vecchia istanza berlingueriana. La parola “competenza” oggi si usa con più pudore, massacrata com’è dallo sterile dibattito ideologico che l’ha accompagnata negli ultimi venti anni, sebbene proprio quella parola potrebbe fare giustizia dell’altrettanto sterile alternativa tra disciplinarità e trasversalità. Ma occorrerebbero altre sedi per approfondire.

Dunque anche l’esame 2021 centrato sul solo colloquio. La musica non cambia. La prima parte del colloquio invoca, attorno ad un “elaborato” (rieccolo), l’alleanza delle discipline alla corte di quelle caratterizzanti (che garantisce anche la possibilità di affidare gli alunni a commissari che capiscano qualcosa di quel che viene elaborato), la seconda resta affidata al docente di Italiano, la terza richiama la famosa danza tra i saperi di fronte al misterioso “materiale” predisposto dalla commissione, la quarta chiama in causa i Percorsi per le Competenze (eccole!) Trasversali e l’Orientamento, che per definizione non possono che essere trasversali perché riguardano la vita e non i banchi di scuola. 
La buona volontà ministeriale è da elogiare. Ma la partita non è giocabile. Non si capisce infatti perché gli allievi del 2021 dovrebbero avere imparato a fare quel che non sapevano fare i loro predecessori. E questo per il semplice fatto che non si può chiedere di giocare a calcio di domenica quando tutti i giorni si è giocato a tennis, facendo magari un po’ di calcio a ricreazione. Dalle classi di concorso, all’impostazione dei concorsi a cattedra, agli impegni contrattuali, agli orari delle lezioni, ai libri di testo, alle pagelle, alle tradizionalissime attese delle famiglie e potrei continuare all’infinito, tutto è fatto perché il sapere che entra nella testa dei ragazzi sia un sapere disciplinare. Cioè l’acquisizione piena di ingredienti. Assolutamente necessaria e imprescindibile. A scuola ogni allievo, se bravo, può e deve acquisire una perfetta conoscenza delle proprietà di tutti gli ingredienti. E con questa presentarsi al Masterchef dell’esame di Stato, dove la giuria, almeno a quanto le norme auspicano, non gli chiederà di esporre le proprietà degli ingredienti. Gli chiederà di cucinare. Perché in quella sede il destino degli ingredienti è quello di “scomparire”. Per far posto alla pietanza, che sarà tanto più buona quanto meno qualcuno degli ingredienti prevarrà sugli altri. Insomma, non potrai cucinare bene se non hai cucinato tanto in precedenza, e se non avrai fatto tanti errori senza aver paura di prendere quattro. 
Ma occorre intendersi. Gli ingredienti in realtà non scompaiono. E cucinare senza ingredienti è impossibile. Si tratta allora di capire come gestirli, affinché non restino canne d’organo ma comincino a far suonare l’organo. E a questo punto la partita si sposta dagli allievi ai commissari, che a loro volta si allenano a tennis per fare la partita di calcio. Capiranno che è cambiato lo sport da praticare? Che non è più il caso di chiedere quel che è scontato l’allievo sappia, per il semplice fatto che lo si è ammesso a “utilizzare” quel che sa, come recita la norma? Due sono le strade che si presentano. La prima è quella di annegare le discipline nella Tematica; l’altra è quella di restare nel dominio disciplinare sollecitando lo studente a problematizzare e interpretare quel che sta dentro la disciplina (i famosi “nodi concettuali”), affinché la sua capacità di andare a fondo assuma un respiro culturale e perciò stesso trasversale. Nulla vieta che entrambe le strade possano essere percorse. Ma nessuna delle due si può improvvisare in una calda mattina di giugno.

Scrive...

Maurizio Muraglia Docente di Lettere nei licei, formatore, già Presidente del Cidi Palermo

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