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24/05/2016

L'italiano dei nuovi italiani. Parte II

a cura di Clara Manca

FRA INTEGRAZIONE E INTERAZIONE SOCIALE E LINGUISTICA
XIX Convegno Nazionale G.I.S.C.E.L.: “L’italiano dei nuovi Italiani”

Lingue in contatto nel sistema formativo: problemi ed esperienze.

Un grande numero di dati è stato poi offerto dalle comunicazioni riunite nelle Sessioni dedicate a "Lingue in contatto nel sistema formativo: problemi ed esperienze".
Varie indagini sono state condotte - attraverso questionari, interviste, griglie di osservazione, studi di caso, analisi quantitative e qualitative dei dati - sulla percezione delle diversità linguistiche nella società, nelle interazioni verbali in diversi ambiti (compreso quello virtuale) fra soggetti nativi e immigrati (anche fra adulti debolmente alfabetizzati), con la conseguente creazione di uno spazio linguistico e culturale “espanso”. In particolare, numerose le ricerche in ambito scolastico (dalla scuola dell’obbligo fino all’Università) sul plurilinguismo e la sua interrelazione con pratiche educative ancora focalizzate sulla lingua target. L’educazione linguistica, infatti, è ancora fortemente ancorata al paradigma monolingue, secondo il quale le lingue sono entità separate e risorse semiotiche distinte secondo lo standard monolingue, senza la valorizzazione della lingua di provenienza degli alunni e senza occasioni di didattica integrata delle lingue da parte degli insegnanti, anche attraverso l’uso di materiali didattici specifici. Per tutto ciò, quando non è riferita al dato puramente empirico della presenza di alunni alloglotti, l’espressione pluralità linguistica sembra qualificare più una progettualità educativa che una realtà didattica. Un fatto è certo: nei risultati di apprendimento (vd. Certificazione CILS, test Invalsi di italiano e di matematica) emergono difficoltà nella comprensione e nella produzione scritta (dalla gestione incerta dei tempi verbali, al riconoscimento di anafore), così come nella quotidiana attività scolastica si riconosce un gap tra performances di alunni nativi e di alunni stranieri, questi più penalizzati, magari anche solo dalla densità informativa delle domande. [1]

Nella realtà plurilinguistica delle nostre aule, tante le proposte di specifici percorsi didattici. Ecco, alcuni esempi. [2]
Un itinerario metodologico con attività metalinguistiche in una prospettiva testuale è stato proposto (Pugliese – Malavolta, GISCEL E. Romagna e U. di Bologna) in classi di secondaria di I e II grado, partendo da due brevi racconti, con un diverso grado di approfondimento secondo l’ordine di scuola: l’osservazione della varietà interna alla lingua italiana; la comparazione tra questa e le altre lingue, nei loro tratti principali; infine, la traduzione nella lingua nativa – ad opera di piccoli gruppi di alunni della medesima madrelingua – di alcuni frammenti testuali, da illustrare in seguito al gruppo-classe. Nel percorso, le attività hanno riguardato specificamente il lessico (la variazione dei registri linguistici, l’uso di sinonimi, l’individuazione di prestiti e della matrice storico-culturale di alcune parole, ecc.) e gli articoli determinativi e indeterminativi (la presenza/assenza nelle diverse lingue - cinese, rumeno, arabo -, il carattere arbitrario, ecc.). È stato interessante osservare l’interazione fra i gruppi durante le attività riflessive, con dinamiche interattive nuove e la partecipazione attiva di studenti, fino ad allora in atteggiamento silenzioso, per l’esposizione ai loro compagni. 

Docenti di scienze e di lettere della scuola secondaria di I grado (Casenghi et alii) hanno voluto verificare se la spiegazione di un argomento di scienze naturali con un percorso didattico più “narrativo” e più attento all’analisi linguistica facilitasse la comprensione dell'argomento affrontato (“La cellula”). Nella classe sperimentale (17 ragazzi, di cui 4 BES e 2 stranieri) si è così partiti da una narrazione storica delle fasi che hanno condotto alla scoperta scientifica e alla costruzione della teoria, con una analisi del lessico in chiave etimologica e plurlinguistica. Nel gruppo di controllo, invece, l'argomento è stato trattato secondo la più tradizionale modalità espositiva, essenzialmente organizzata su definizioni ed esempi. Il livello di comprensione dei contenuti raggiunto nelle due classi è stato poi verificato tramite un test finale di 20 item, con risultati migliori nel gruppo sperimentale, come se la parte narrativa avesse formato una ‘trama’ su cui appoggiare i concetti teorici.

Per far conseguire ai nuovi italiani buoni livelli di competenza linguistica non servono tanto interventi differenziali, ma piuttosto percorsi di educazione linguistica efficace e inclusiva. Questo ha voluto dimostrare la sperimentazione educativa in classi della secondaria di I grado della provincia di Reggio (Pallotti – Fusco, U. di Modena e Reggio Emilia). In un percorso di tre anni sono state adottate le metodologie dell’apprendimento cooperativo e della valutazione fra pari, per proporre attività in piccoli gruppi - eterogenei e bilanciati per livello, in modo che gli alunni più competenti potessero assumere un ruolo di modello nei confronti dei compagni - e a classe intera, con brainstorming e revisioni collettive di quanto elaborato nei gruppi. Le attività erano mirate allo sviluppo e al consolidamento della capacità di pianificazione, produzione e revisione di testi scritti, al fine di accrescere le competenze testuali, in particolar modo quelle relative alla coerenza e alla coesione del testo. Dall’analisi delle prove Invalsi (rispetto alle classi di controllo) sono emersi risultati più positivi nelle competenze di comprensione, parallelamente a un innalzamento delle competenze di produzione, con prestazioni nettamente superiori da parte degli alunni nuovi italiani.

L’apprendimento/insegnamento dell’italiano L2 agli alunni stranieri è stato oggetto di studio per un ventennio all’interno del GISCEL Lombardia.
Il lungo percorso ha portato infine all’antologia multiculturale Lingua, Identità, Cultura in Adolescenza. LICIA (Bertocchi D., D’Apote L., Longoni F., Didoni R.), pubblicata sulla piattaforma didattica digitale Didasfera (www.didasfera.it), con una doppia finalità: aprire a modifiche e integrazioni del canone letterario per adeguarlo alla nuova scuola interculturale e proporre un conseguente metodo didattico di approccio al testo. L’analisi di queste fasi di lavoro ha portato all’individuazione di uno sfondo teorico, il cui impianto (psico-pedagogico, multidisciplinare, ecc.) era stato originariamente fornito da Daniela Bertocchi. LICIA è un libro “liquido”, nato in digitale: i link e i tag suggeriscono una navigazione semantica e una "lettura reticolare". È un testo gratuito, di libero accesso, che pone particolare attenzione agli alunni in difficoltà (DSA, disabili, BES, stranieri), offre alcuni modelli di esercizi facilitati accanto agli esercizi standard, opera, insomma, in un’ottica di didattica inclusiva.  

Una ricerca-azione è stata condotta con alcuni docenti di una scuola secondaria di primo grado di Bari (S. Rossi-Solarino-Valente, GISCEL Puglia), con l’obiettivo di rendere i docenti di italiano capaci di diagnosticare l'interlingua dei loro allievi e le loro esigenze formative, e anche il diritto dei ragazzi apprendenti l’italiano a un “periodo di silenzio”; di conseguenza, si intendeva rendere questi insegnanti in grado di adeguare l’input linguistico, offerto nelle lezioni e nelle interazioni comunicative, allo stadio di interlingua raggiunto dagli allievi di origine straniera, modificandone la tradizionale e sanzionatoria concezione dell’errore. Il percorso è partito dalla registrazione di colloqui informali tra docenti e allievi, relativi alle esperienze pregresse dei ragazzi da poco immigrati, con successive produzioni scritte sugli stessi argomenti del colloquio, realizzate a distanza di una settimana. È seguito un incontro con i docenti, durante il quale vi è stata la presentazione dei dati raccolti e l’analisi delle difficoltà emerse (gli “errori”) causate dalla sovra-estensione delle regole dell’italiano e dalle influenze del background culturale e familiare sull’interlingua, come la morfologia nominale italiana, le regole dell’accordo (aggettivo, articolo e nome) e la collocazione di eventi nel passato.

Forme di plurilinguismo

Infine, un altro gruppo di contributi ha riguardato le "Forme di plurilinguismo".
In alcune situazioni l’acquisizione di italiano L2 comporta non solo l’interiorizzazione di una grammatica e di un lessico, ma anche l’appropriazione di una competenza sociolinguistica variazionale, che include la capacità di adeguare registro e livello linguistico alla situazione comunicativa, in un continuum che va dalla lingua standard al dialetto del luogo (“Italiano più bello italiano e però napoletano mi fa più ridere”, può emergere da un questionario socio-linguistico a Salerno!) (P .Maturi-Vitolo, GISCEL Campania-U. di Napoli). In aree in cui il dialetto è più vitale, come a Reggio Calabria – (M.S. Rati, U. di Reggio C.)- si può assistere nella popolazione immigrata (per lo più di origine rumena) alla formazione di un particolare code mixing, in cui entrambi i codici sono costituiti da varietà di apprendimento: i parlanti utilizzano italiano e dialetto senza che uno dei due codici appaia subalterno rispetto all’altro. 

 

Secondo gli ultimi dati Istat (2014), per il 38,5% dei nuovi italiani dai sei anni e più l’italiano costituisce la lingua prevalente in famiglia, a fianco di un uso diffuso delle lingue di origine. Sono soprattutto i minori (6-17 anni) a parlare italiano in famiglia, seppure con evidenti differenze legate alle specifiche provenienze e ai percorsi migratori. Perciò, appare interessante il progetto di ricerca-azione attivato in un istituto comprensivo della provincia di Matera (E. Cognigni-M. Viale, U. di Macerata) col quale, a partire dai risultati di un questionario socio-linguistico si sono discusse con i docenti le linee di indirizzo della progettazione dei percorsi didattici elaborati, nei quali esplorare alcune potenzialità dell’italiano lingua di scolarizzazione rispetto all’educazione plurilingue e interculturale. 

Se la percentuale di alunni stranieri (o “con cittadinanza non italiana”) nelle scuole del nostro Paese è del 9%, (che può salire mediamente al 12-13% in alcune aree come quella veneta), la natura delle classi è composita anche per tanti altri tipi di diversità: BES, ragazzi che provengono da nuovi contesti familiari (affido, comunità…), da situazioni socio-culturali deprivate, o, all’opposto, da realtà familiari eccellenti, DSA, accomunati tutti dal rischio di sentirsi estranei al vissuto scolastico. Ne deriva, all’interno delle classi, una forte varietà culturale e un vivace plurilinguismo caratterizzato dalla stratificazione sia di lingue diverse, compresi i dialetti locali, sia di diversi registri interni alla lingua italiana. Una realtà linguistica molto più complessa di quello che è ipotizzabile in un continuum L1 – L2.

Un lavoro di ricerca-azione (GISCEL Veneto) centrato sull’autobiografia linguistica degli studenti (e di alcuni docenti) ha reso evidente la necessità di un cambiamento nella relazione docente-studente, funzionale alla trasformazione della relazione studente-studente e, in definitiva, del clima di classe. I risultati sono relativi alla capacità di ascolto, alla scoperta della varietà linguistica individuale (con annotazioni di varianti fonetiche, morfologiche, relative ai registri e ad alcune strutture linguistiche), della ricchezza linguistica di ogni componente e della classe in generale, confermando come “uno dei bisogni umani più profondi sia quello di essere riconosciuto”. Una volta soddisfatto questo bisogno, anche attraverso la cura che deriva da queste forme di scrittura, è possibile aprirsi all’accoglienza e alla pluralità. 

Con una simile attenzione al più ampio contesto linguistico-culturale della classe, è nata una ricerca sulla consistenza del proprio vocabolario, da parte degli alunni di una quarta primaria di Bologna, composta da diciannove bambini, con famiglie per lo più di basso livello di istruzione, di cui cinque di madrelingua italiana, cinque stranieri nati all’estero, nove nati in Italia da genitori stranieri, e con casi di ritardo negli apprendimenti, dovuti a particolari situazioni familiari e sociali. (N. Zuccherini). L’esperimento è consistito nell’elaborazione di una scheda con un campione di cento parole. I bambini potevano spiegarla, illustrarla con un disegno o usarla in una frase. Sono risultati valori medi di 9-14 mila parole conosciute: plausibili per un gruppo di bambini di 9 anni regolarmente scolarizzati. L’esperienza ha fornito un gran numero di informazioni significative sulla competenza linguistica dei bambini, ben al di là dell’accertamento (aleatorio e poco utile didatticamente) del numero di parole conosciute: informazioni sui loro stili cognitivi, sulle loro capacità di esporre, su loro preferenze e orientamenti nella comunicazione, sui fenomeni linguistici che trovano più facili e più difficili da gestire.  

A conclusione di questo Convegno emerge chiaramente una certezza: la scuola e la società più in generale possono e devono fare ancora molto perché i “nuovi italiani” diventino a tutti gli effetti “italiani”.

 

Note

1. Nella sezione  già segnalata del sito del Giscel, vedi, in proposito, i contributi di Giscel Sicilia; E.M. Duso (U. di Padova); C. Giberti-M. Vitale (U. di Trento e di Bologna); S. Scaglione (U. di Perugia); Z. Toth (U. di Vienna); A.M. Arruffoli-Strambi; C. Bagna –Machetti–Masillo; V. Carbonara; G. Grosso; K. Raspollini; L. Ricci; A. Scibetta; D. Troncarelli- Villarini -La Grassa (U. di Siena).
2. Si rinvia, ovviamente, alla pubblicazione degli Atti del Convegno, che permetteranno di accedere a una completa rassegna degli interventi e alla ricca Bibliografia che li accompagna.