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24/07/2022

Pasolini nella biografia di (almeno) una generazione

di Marcantonio Annalisa

In più passaggi della raccolta di saggi Per una pedagogia emancipante [1]  vengono ricordate le prime esperienze compiute da Pasolini come educatore a Casarsa e a Roma.
Immediatamente, anche per richiami specifici presenti in questo testo, la memoria è riandata a un’opera presente nella mia biblioteca sin dagli anni settanta, un’antologia di poesie pasoliniane [2]. Penso in particolare allo struggente componimento poetico “Il pianto di una scavatrice”.  Nel rileggere oggi quei versi è riapparsa l’emozione provata molti anni fa; le sottolineature e i commenti, da me vergati negli spazi a lato delle pagine, mi hanno fatto ripensare a come anch’io, allora, partecipassi alle passioni politiche, strettamente unite alle esperienze biografiche, dell’autore.

Quell’impressione ha portato con sé il ricordo dei miei primi anni di insegnamento da precaria, quando era presente in me una spontanea disponibilità all’ascolto e quando sperimentavo al massimo grado la gioia derivante dal tentare di instaurare un rapporto positivo e creativo con gli adolescenti (in piena convergenza con le riflessioni presenti nella sezione “Pasolini e la scuola” dell’opera sopra citata). Mi chiedo quanto hanno contato per noi giovani, prima studenti poi docenti, negli anni ‘70-’80, le suggestioni di intellettuali come Pasolini, con cui abbiamo condiviso letture e influenze quale, in primis, quella di Antonio Gramsci.
Evidentemente, in quella fase, in me e molti altri colleghi e colleghe si manifestava la spontanea, naturale ricerca di un rapporto educativo teso a trasmettere/suscitare conoscenza e costruire consapevolezza.

Nei decenni successivi è avvenuto un cambiamento rispetto a questa disponibilità, in precedenza abbastanza diffusa tra gli educatori? L’esperienza più recente mi suggerisce che certamente il clima nelle classi si è modificato nel tempo, per diversi motivi. In primo luogo è cambiato il background iniziale di molti/e insegnanti. Rifletto brevemente su questo giudizio. Se intendiamo con questo termine il bagaglio che indirettamente concorre (condizioni, circostanze, idee, ecc.) alla formazione culturale, sociale, psicologica di un individuo o di un gruppo, il cambiamento intervenuto nelle pratiche dei soggetti che fanno parte del mondo della scuola va considerato in gran parte inevitabile. Il mutare delle condizioni storiche, soprattutto a partire dall’ultimo ventennio del “Secolo breve” [3], ne costituisce un fattore decisivo.

Al centro della questione relativa all’approccio educativo rilevabile oggi pongo quindi il rapporto (personale e collettivo) con la storia. L’interpretazione dei processi storici appare in sé controverso e da alcuni analisti ne è stato addirittura messo in discussione l’oggetto [4]. Se è vero che posizioni come queste sono state in seguito corrette dagli stessi ideatori, sicuramente esse hanno lasciato un segno sul piano globale, non solo tra gli intellettuali, contribuendo all’allentamento dell’autentica tensione etica e critica che animava la parte migliore del corpo docente. Tale disposizione, a mio avviso, ha ceduto e cede ancora il posto a scelte, pratiche pedagogiche e didattiche considerate funzionali e normativamente corrette, ma solo “di maniera”. Esse, presenti trasversalmente, sono tali da produrre in molti casi l’effetto di trasmettere acriticamente nozioni, dati e informazioni, ma non sempre orientare consapevolmente le giovani generazioni.

Considerando che nelle professioni intellettuali, di cui quella dell’insegnante è parte integrante, la trasmissione di convinzioni personali e sociali e la capacità di vero dialogo tra le generazioni costituisce un patrimonio necessario e inestimabile, da tutelare con cura e rispetto, mi chiedo anche se negli ultimi decenni questa attitudine si sia potuta promuovere, con il supporto di attività di formazione richieste e praticate diffusamente all’interno e al di fuori delle comunità scolastiche, in modo incisivo. La risposta non può che essere negativa, se guardiamo all’intero territorio nazionale e alle istituzioni a ciò preposte. Ne consegue che la mancata possibilità per i docenti di fruire di attività formative efficaci, non deputate quasi esclusivamente ad ottimizzare le prestazioni burocratiche che gravano su di loro, sta producendo gravi danni.

La necessità di ridurre la spesa pubblica è dichiarata causa principale dei mancati investimenti e della riduzione dei fondi destinati alle scuole. Ma la sterilità e povertà delle attuali (istituzionali) attività di formazione per i docenti è soprattutto parte integrante delle sconsiderate scelte di politica scolastica adottate dagli ultimi governi. Nasce il sospetto che tali scelte abbiano contribuito a delegittimare il desiderio stesso di aggiornamento e formazione continua, prima vivace ed evidente tra i docenti. Purtroppo, l’effetto perverso ne è anche il graduale sfilacciarsi dei necessari legami umani e professionali all’interno della comunità scolastica, assieme all’incentivo fornito a personalismi e forme di deregulation in crescita costante, con in rischio di una ricaduta negativa sui modelli educativi e di vita civile di cui necessitano bambini e adolescenti.

Note

1. A. Palmieri e A. Tredicine, a cura di, Per una pedagogia emancipante. Pasolini, con rustic amòur, Guida,  2022.
2. P.P.Pasolini, Poesie, Garzanti, 1970.
3. Definizione coniata nel titolo di un saggio del 1994 dello storico Eric Hobsbawn (sottotitolo: 1914-1991: l'era dei grandi cataclismi).
4. Vedi F. Fukuyama, La Fine della Storia e l'ultimo uomo,  saggio scritto nel 1992, dopo lo sgretolamento dell'Unione Sovietica.

Credits


Immagine a lato del titolo: Prima pagina de "Il Contemporaneo", Settimanale di cultura, Supplemento al n. 4, Roma, 8 giugno 1957.
 

Sul volume citato vedi anche la recensione di L. Grossi,  Per una pedagogia emancipante. Pasolini, con 'rustic amòur' , "insegnare", 15.05.2022.

Scrive...

Annalisa Marcantonio Ha insegnato Filosofia e Storia nei Licei; fa parte del direttivo del CIDI di Pescara e partecipa alle iniziative di formazione della Società Filosofica Italiana (SFI), sezione di Francavilla al Mare.