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26/01/2023

Alcuni nostri pensieri sul Giorno della Memoria

a cura di insegnare

Abbiamo deciso di raccogliere alcune impressioni, così a caldo, sulla "Giornata della Memoria" e sulla difficoltà di farne davvero a scuola un momento di emancipazione e di crescita umana, civile e sociale.

 

È avvenuto, quindi può accadere di nuovo

È avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa; incredibilmente, è avvenuto che un intero popolo civile, appena uscito dalla fervida fioritura culturale di Weimar, seguisse un istrione la cui figura oggi muove al riso; eppure Adolf Hitler è stato obbedito ed osannato fino alla catastrofe. È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire

Primo Levi, I sommersi e i salvati

Allora, e questo i docenti lo sanno bene, occorre continuare a interrogarsi e far interrogare i nostri studenti, su come sia stato possibile. E va fatto in classe, attraverso una ri-costruzione storica attenta e documentata, di quegli anni drammatici che portarono all’instaurarsi di regimi totalitari, al mito della razza, alla guerra, ai lager, alla soluzione finale, perché il 27 Gennaio non sia solo un rito.

Tocca a noi insegnanti il compito di sviluppare, nei giovani, quello sguardo critico sul passato e sul loro presente, affinché imparino a diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che scrivono «belle parole» non sostenute da buone ragioni (Primo Levi, I sommersi e i salvati).

Mena Pisciotta, Roma


 

Perché è importante farlo? E come?

Ogni anno, mi chiedo: come posso lavorare con colleghi/e e alunni/e nelle classi, per la Giornata della Memoria? È importante farlo, nelle classi della scuola media, perché sta nel mio compito di insegnante o è un adempimento fondamentalmente vuoto? 
Le domande sono sempre le stesse, e ogni anno, in ogni classe, mi do una risposta diversa. 

Certe volte è bene soprassedere, senza esitazione. Certe volte si può lavorare provando a costruire un breve percorso didattico con parole, immagini, mani, occhi.  A partire da un contenuto “piccolo” (un documento, una breve narrazione, un dato statistico) sempre italiano, mai senza una carta geografica, mai senza qualche data, si procede in classe a un’analisi essenziale per la comprensione, rispettando il  modo di guardare le cose e il  mondo emotivo dei ragazzi/e. 

Poi, la creatività (il colore, la composizione, la ricerca linguistica o formale) per rinarrare un percorso personale di consapevolezza, che può essere più o meno profonda, più o meno attualizzata; vigilo  che sia sempre autentica, “da ragazzini/e”. 

Queste strutture didattiche vivono nello spazio di poche ore, ma lasciano le tracce nel metodo e nella riflessione di ciascun alunno/a: l’ho constatato in occasione di altre giornate memoriali, rispetto alle quali mi faccio le stesse domande e ho gli stessi dubbi, prima di proporre e coordinare le attività delle classi. 

La didattica per il 27 gennaio ha sempre un’unica parola-chiave: “memoria”. Perché ricordiamo le cose tristi, i momenti in cui ci siamo sentiti offesi, invisibili, annientati? Perché, se ricordiamo in tanti qualcosa di brutto che è accaduto in passato, possiamo guardare meglio, insieme, ciò che succede adesso?

Non è facile, in nessun gruppo di alunni e in nessun livello scolare, mantenere questo equilibrio senza snaturare il senso, senza forzare le risposte, curando la tecnica e restando in ascolto.

Non è facile, ma io ci provo sempre. Sta a noi, adulti con-sapevoli e in-segnanti, garantire la vigilanza sulle banalizzazioni e gli stereotipi, pericolosi quanto la propaganda, se non di più.

M. Gloria Calì, Palermo


 

Umiliati e offesi

Qualche giorno fa la nostra amata senatrice Liliana Segre ha espresso il dubbio che, una volta morti i testimoni diretti, e quindi i narratori, delle sciagure della Shoah, sarebbe sempre più difficile mantenere viva la coscienza di uno sproposito umano da non più ripetersi.

Ora noi pensiamo che ella abbia ragione delle sue paure, ma che a fianco della giustificazione di rischio che pone, si possa fare una seconda considerazione un po’ diversa rispetto alla sua. È il presente nel suo snodarsi temporale che costruisce “memoria” del passato per il futuro. E se non c’è consapevolezza, non c’è senso dello “scandalo”, della “vergogna” per certi spropositi del presente del mondo (e ce ne sono tanti, per ogni dove, tollerati e addirittura favoriti da politiche compiacenti o oppressive, sostenute da interessi economici addirittura disancorati dalle società stesse che li hanno fatti nascere), non ci sarà raccolta di memoria consapevole per le future generazioni né si sentirà la necessità civile di un confronto costruttivo e potenzialmente emancipante con le pesantezze del passato. Arriviamo a dire che se non c’è esperienza di riflessione, di pensiero sul portato del proprio vissuto contemporaneo, un giovane non sarà trasportato al ripensamento, al desiderio di cambiamento degli orrori accaduti, nonostante gli adulti possano presentargli di questo passato le immagini più violente, più miserabili, più disgustose.

Andare ad Auschwitz non dovrebbe far parte di “una gita”.

Se si esorcizza, anestetizza, peggio ancora si occulta il presente, si riduce la varietà delle esperienze indispensabili a superare quello stato d’animo di inerzia, di spallucce, di prendersi gioco di tutto, di trovare sempre nel proprio cammino falsi antagonisti, di cercare sempre qualcuno che “ti tolga le castagne dal fuoco” praticando il “cerchiobottismo”. È su questi disvalori che sta avvenendo se non il genocidio materiale quello civile della nostra società. Ci si dirà: “esagerati!”

Cara Liliana, quale memoria civile si può alimentare per la Shoah, quando ci sono voluti 30 anni e la tragica morte di chi voleva legalità e giustizia per individuare e arrestare Messina Denaro?  

Rosanna Angelelli, Roma



Rischi e difficoltà

Più passano gli anni e più cresce il rischio del rituale commemorativo, per il quale la coscienza della memoria e del rifiuto gareggia con la falsa coscienza del fastidio e dell’indifferenza.
Il rischio c’è e rende sempre più complesso combatterlo a scuola, trovando i contenuti adatti a ciascuna età, a ciascun contesto, affinché maturino conoscenze, sensibilità, competenze culturali, capacità critiche (che costituiscono un climax pedagogico e non delle alternative o peggio dei concetti in competizione fra loro).

Ciò di cui sono sempre più convinto è che la memoria a scadenza commemorativa (oltre tutto scandita dalla par condicio del calendario dei posizionamenti ideologici e di parte) serve affinché i fatti non cadano nell’oblio, ma non è sempre utile (quando non dannosa) per costruire una reale coscienza interpretativa e critica. A questo serve un approccio conoscitivo e interpretativo quotidiano, più costante, più faticoso e meno episodico. Un compito estremamente arduo per la scuola, ma che appartiene ed è compito della scuola.

Del resto che non sia facile costruire una cittadinanza capace di evitare i guai peggiori della storia anche recente lo stiamo dimostrando ogni giorno, sia da governanti che da governati. Abbiamo ancora molta strada da fare perché la memoria del passato serva a evitare che il presente costruisca un futuro a immagine e somiglianza di ciò che vorremmo che la storia ci insegnasse a evitare. E in fondo è per quello che dobbiamo continuare a camminare per quella strada, soprattutto quando è in salita.

Mario Ambel, Torino