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c'era per noioltre la lavagna

15/12/2020

Per ri-esistere

a cura di Rosanna Angelelli

Nonostante gestione e partecipazione dei seminari avvenga per i noti motivi in remoto, abbiamo deciso di mantenere la dicitura "C'era per noi" per i report di convegni e seminari, in parte perché anche seguire on line è un modo, seppur diverso, di "esserci", ma soprattutto per dare continuità col passato e prospettive per il futuro agli incontri in presenza.

“L’idea di costruire un focus, una tavola rotonda attorno alla quale far sorgere un’alleanza nasce dalla nostra storia”, ha affermato in apertura del seminario Mariella Ficocelli Presidente del Cidi di Pescara,  e dunque “dai gruppi di ricerca pedagogica che da anni sono attivi nella nostra associazione, dalla nostra idea di formazione  e dalla consapevolezza che  la scuola così come è oggi non ha le condizioni per realizzare il mandato  affidatole dalla Costituzione. L’esigenza di un confronto fa seguito a una primavera di intensa mobilitazione nata dall’emergenza Covid e in seguito sostenuta dalla riflessione sull'esito negativo dei rimedi posti in atto, tra cui la DAD, una mobilitazione oggi necessaria per costruire un dibattito che si rivolga all’opinione pubblica, alla politica e ai docenti stessi. Pertanto è da leggere in quest’ottica la partecipazione alle iniziative in piazza con “Priorità alla Scuola” e l’elaborazione di importanti momenti di riflessione”.

“Ripartiamo dai fondamenti” è il primo documento di questa primavera calda che si è inoltrato al Coordinamento Nazionale del Cidi. Si tratta di un vero e proprio Manifesto per diffondere il no del Cidi di Pescara alla scuola del progettificio, delle formule pseudo didattiche “usa e getta”, della gestione verticistica e della competizione diffusa. A questo ha fatto seguito il documento inoltrato nell’Assemblea Pubblica di PAS il 7 Settembre scorso, dove si chiedeva di garantire l’istruzione scolastica in sicurezza per la piena attuazione del diritto allo studio e alla salute, si denunciava la totale indisponibilità ad essere davvero ascoltati, per esempio sulla questione dei trasporti, essendo stati interpellati solo a ridosso della riapertura delle scuole, a decisioni già prese.
Infine, c’è stato
l’appello al Festival della filosofia di Modena a cura di Luigia Amoroso, firmato da molti altri esponenti del Cidi e collaboratori di insegnare”, scritto per sollecitare una riflessione sulle conseguenze del massiccio ricorso nella didattica una tecnologia poco verificata da parte della stragrande maggioranza dei docenti.

Per questi motivi gli iscritti dell’Associazione sentono l’esigenza di non limitarsi all’esame dei problemi della scuola sotto il Covid quanto e piuttosto di considerare quelle disfunzioni dell’istituzione antecedenti alla pandemia che essa ha contribuito a far rilevare e aggravare. È ormai noto che le misure prese sulla scuola in emergenza non sono riuscite ad assicurare il rispetto costituzionale del diritto allo studio e non solo perché sia stata prioritaria la tutela della salute di tutti i cittadini tra cui i giovani in età scolare. La scuola è una istituzione molto complessa e delicata, che per poter realizzare il mandato costituzionale del diritto allo studio, ha bisogno di un insieme permanente di servizi concreti ed efficienti, a partire da una edilizia sicura e adeguata per ciascuna sede e una articolata rete di trasporti, servizi questi che in occasione della pandemia hanno dimostrato una carenza o fragilità tuttavia di lunga data. La chiusura delle sedi è stata fatta in modo per lo più disomogeneo proprio perché le misure di sicurezza non si sono potute generalizzare anche per via dell’affollamento delle classi, dell’angustia degli spazi comuni, della scarsità dei servizi.

Tutte negatività che Luigia Amoroso ha stigmatizzato, per poi porre domande agli altri relatori sull’effettivo valore nell’ambito scolastico delle misure governative intraprese. La DAD, sconfinata in DDI, da misura di emergenza si sta trasformando, con il sostegno del Ministero, in attività didattica vera e propria, sia pure a integrazione di quella in presenza. La pandemia è diventata così il pretesto strumentale per l’inserzione massiccia della tecnologia nella futura didattica, con la presunzione che una competenza tecnica assicuri un apprendimento dei saperi più riflessivo e raffinato, in un pasticcio epistemico e metodologico, per di più valutato alla fine dello scorso anno scolastico con il consueto sproposito del voto numerico.
Gli insegnanti stanno usando in modo separato e passivo uno strumento che per l’appunto è solo un filtro, mentre si avrebbe bisogno di un dibattito serio sui contenuti da scegliere e sulle metodologie da intraprendere per realizzare quella scuola della cittadinanza effettivamente rispettosa del suo mandato costituzionale. Purtroppo quella scuola dell’Autonomia inaugurata negli anni Novanta, che si voleva fosse concreta comunità educante nell’ambito di un suo dinamico e costruttivo radicamento territoriale, si è ridotta in rigida burocratizzazione verticistica delle sue strutture, in un accentramento di potere da parte dei DS, tra loro separati e in competizione, in una polverizzazione di iniziative e di progetti privi di una giustificazione curricolare e di un supporto autenticamente collegiali. Privi insomma di una consapevolezza dei percorsi necessari a una piena visione e soddisfazione dei processi istruttivi/educativi dei giovani. Le critiche che si sono finora mosse a questo andazzo non sono state in grado di penetrare in un tessuto professionale che appare sempre più sfilacciato. Quali proposte politiche di sistema occorrerebbe allora mettere a punto? E con chi discutere di queste disfunzioni? Come far parte di ciò all’opinione pubblica? E per puntare su obbiettivi ri-qualificanti di una professionalità depressa, con quale tipo di formazione si può rafforzare la figura e il lavoro di tutti coloro che operano nella scuola?
Queste le domande poste.

Francesco Sinopoli, segretario della FLCgil, condivide la critica allo sfiguramento dell’Autonomia, motivandola con una riflessione di ordine politico economico: a suo parere l’istituzione è nata con il vizio di fondo dell’essere stata adattata a un modello formativo neoliberista dagli intenti tutt’altro che inclusivi e pluralistici. E a questa autonomia competitiva si è piegato anche il sistema nazionale di valutazione. Condivide anche la necessità di tornare a un dibattito pubblico sulla scuola da cui delineare un’idea molto più ampia di quanto offra il sia pure necessario insegnamento/apprendimento pluridisciplinare, e riguardante ciò che serve per essere effettivamente cittadini in un paese europeo moderno e democratico. Per questo è necessario tornare a ragionare sui differenti gradi di scuola, sui cicli scolastici e sui curricoli, in un riassetto che corregga disorganicità e disfunzioni e allarghi gli obbiettivi formativi specifici, alla ricerca di quella coerenza con il mandato costituzionale della scuola che il sindacato da lui presieduto avrà costantemente presente nelle sue proposte e nuove ratifiche contrattuali. Di cui la formazione è una rivendicazione indispensabile.

Beppe Bagni, presidente nazionale del Cidi, nel rilevare quanto sia significativo che il Cidi non sia da solo nelle sue riflessioni sulla scuola in un periodo reso pessimo non solo dalla pandemia, denuncia la mancanza di uno sguardo di giudizio lungo e ampio che vada oltre l’emergenza. Né si può considerare esauriente e obbiettivo l’esercizio della DAD, per lo più espressa nella forma di videoconferenze, millantate dagli esperti del Ministero come eventi promotori di una sostanziosa agorà telematica. La scuola è contatto, contaminazione, vicinanza, e d’altronde sperare di chiudere la parentesi del covid e tornare al prima sarebbe una scelta del tutto negativa. Anche se sono tanti i segnali se non di un aperto regresso, di uno status quo, in cui buona parte degli insegnanti continuano a caldeggiare la necessità di valutare le competenze con metodi tradizionali tra cui l’uso di una valutazione sommativa costruita su puri dati numerici e per discipline separate. Non ci basterà allora scrivere bei documenti, ma ci vuole da una parte un incremento dei saperi in attività di lavoro, dall’altra una sostanziosa formazione permanente, costruita con criteri diversi rispetto a come ci si è finora mossi negli ambiti, e un grande sforzo collettivo per parlarci insieme.

Mario Ambel, direttore di “insegnare”, conviene sulla necessità di una riflessione tra il passato e un presente diventato già futuro, perché gli orientamenti che emergeranno all’uscita della pandemia si sono già delineati. Appartengono alle discussioni fatte in vari recenti forum e in altri di cui se ne è annunciata l’organizzazione, tra questi ultimi per esempio il Festival della Scuola a cura dell’ANP (in passato apertamente impegnato nella difesa della Buona scuola) e tra i primi, il già realizzato Forum delle Associazioni del III settore sul contrasto alla povertà educativa e alle disuguaglianze. Riguardo ai soggetti del "terzo settore", essi si attivano sul territorio con gli stessi obbiettivi di quella scuola pubblica che non riesce a salvaguardare il diritto allo studio, mirando tuttavia, per conto loro, a un tipo di scuola diversa, diffusa, di comunità, su cui occorre fare chiarezza, dato che il diritto all’istruzione sta diventando quasi un problema di emergenza/assistenza e non di dititto-dovere istituzionale. C’è da chiedersi, infatti, perché il Cidi e la rivista abbiano avuto e abbiano difficoltà a parlare con la scuola reale e non siano riusciti a farsi capire sull’idea di scuola orientata alle competenze culturali di cittadinanza.

Sulle tematiche del terzo settore è intervenuta Valentina Chinnici, presidentessa del Cidi di Palermo, e con dati oggettivi: si stanno estendendo nel Paese i Patti Educativi di Comunità, finanziati ad hoc anche da fondazioni private, oltre che dai fondi europei, in cui si muovono autonomamente rispetto alla scuola pubblica dei "professionisti della dispersione scolastica" (abusando di un parallelo complesso) in iniziative pomeridiane indipendenti da ciò che si svolge o si dovrebbe svolgere di mattina nella scuola vera e propria per abbattere la dispersione scolastica. La scuola pubblica dunque sembrerebbe delegare ad altri le proprie responsabilità in iniziative esterne dotate anche di un finanziamento distinto.

Dell’avvenuta frantumazione della scuola dell’autonomia in mille progetti volti a perseguire risultati di eccellenza trascurando lo sviluppo della dimensione emotiva ed affettiva dei giovanissimi competitor e gli apprendimenti curricolari ha parlato Mauro Baldassarre, insegnante di scuola secondaria di II grado. Sono state da lui inoltrate alcune proposte correttive di questo particolarismo competitivo che si produce anche tra gli insegnanti e tra i territori delle singole sedi scolastiche, a partire dai contratti collettivi di lavoro, dalla redistribuzione dei tempi, dal riconoscimento anche finanziario dello smart working finora prestato.

Su un insegnamento standardizzato, riempito di nozionismo che abbassa le capacità di ciascuno studente nell’analisi della realtà e nel confronto con gli altri si è soffermato Nicola Moretti, studente della facoltà di chimica, individuando la compresenza del fenomeno sia nella scuola che nell’università. Si deve essere efficienti e veloci e pensare costantemente a “farcela” “spaccando” traguardi e colleghi, quando sono invece necessari lentezza di riflessione, cura espressiva, tempi opportuni per connettere insieme i vari saperi.

A sua volta, la studentessa liceale Giorgia Pompei puntualizza che il significato radicale del verbo educare è “trar fuori” (dall’alunno) la sua indole, le sue capacità individuali, le sue personali modalità ed esigenze di apprendimento entro una relazione educativa che dovrebbe essere “inutile”, disinteressata, in una scuola fatta per pensare, per avere un pensiero critico, ben lontana dalle finalità della Confindustria e dall’Agenda di Next Generation EU, come hanno precisato accoratamente anche Corrado Di Santo, collaboratore scolastico e Ernesto Caranci, insegnante di scuola primaria.
Caranci in particolare, nel ricordare le numerose attività del Cidi di Pescara nell’ambito della formazione in servizio, ha invitato il sindacato presente a iniziative di riduzione del potere dei DS riguardo alla composizione delle cattedre orario e alla nomina dei supplenti, e di stimolo alla politica governativa per risolvere il problema del precariato e della sua qualifica, mettendo la scuola e non l’interesse economico al centro dell’attenzione del Paese.

Il seminario si conclude con l’impegno delle varie componenti della scuola a continuare la riflessione e la ricerca di modalità, a partire dalla formazione continua da usare come grimaldello, per far sì che possa svilupparsi nella comunità educante una coscienza della situazione di disgregazione pericolosa della scuola, attraverso la costruzione di una conoscenza critica agita concretamente, che incida per davvero sul senso comune e definisca quale scuola possa cambiare questo paese nell’ottica dell’art. 3 della Costituzione, molto dichiarato ma ancora poco attuato.

 

Si è svolto da Pescara, lo scorso 1° dicembre, in occasione dell'assemblea annuale dei soci, un seminario online dal titolo: Per una Ri-Esistenza della scuola-Oltre le contraddizioni del passato per attuare l’articolo 3”.

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".