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30/01/2019

La scuola che resiste: un seminario sulla prima prova

di Adriana Passione

Il 19 gennaio a Napoli presso il Liceo Genovesi si è tenuto  un incontro di studi promosso da CIDI e GICEL dal titolo Le nuove prove di scrittura nell’esame del primo e del secondo ciclo, durante il quale si sono succeduti gli interventi di Anna Maria Palmieri, Anna Rosa Guerriero e Mario Ambel.  Il titolo, freddamente tecnico e informativo, può ingannare: è stata una giornata intensa, incentrata sulla scuola “come la vogliamo”, come crediamo che debba essere.
Proverò quindi a tracciare l’identikit della scuola che resiste alle forze che ne stanno demolendo la funzione più alta: quella di educare, dunque portare fuori, portare alla luce.

Per inciso: l’idea che all’atto finale di un percorso di studi, sull’esame che sancisce la fine di un ciclo si riverberi la concezione di cui la scuola è espressione, anche in funzione della congerie storica, non è cosa nuova. Ce lo ha ricordato Anna Maria Palmieri, attraversando con il suo intervento la storia della scuola dell’Italia unita per approdare infine all’oggi, evidenziando - tra l'altro - che anche nel 1969 la riforma dell’esame di Maturità fu introdotta a metà dell’anno scolastico. Il provvedimento, che rispondeva alle istanze espresse dal Movimento studentesco del ’68,  fu accusato da alcuni di aver creato un esame troppo facile e dequalificante, mentre altri lo salutarono come l’atto che sanciva la fine di una concezione nozionistica del sapere.

L’incontro ha quindi aperto la discussione su problemi che, con modalità analoghe e analoga tempistica, la scuola italiana ha già sperimentato.   Cambia però sostanzialmente il punto di vista del legislatore, ci pare.

A proposito dell’inserimento della scrittura responsiva, a sostituzione del saggio breve, nel suo intervento Mario Ambel, per esempio, ha sostenuto che “aver sostituito la scrittura documentata di tipo espositivo e/o argomentativo a partire da più testi con la stesura di una argomentazione in risposta a un solo testo, e quindi a una sola opinione, è un arretramento epocale sul terreno linguistico-testuale, comunicativo, didattico, civile ed etico”. E qui sta il punto.  La scuola che vogliamo e che abbiamo contribuito a costruire è una scuola pluralista e democratica, che consegna le parole per dirlo anche a chi non la pensa come lei: educando così al pensiero critico che ci rende competenti, cioè capaci di argomentare le nostre idee.

A dire il vero, la dichiarazione di intenti della Commissione  diretta dal prof. Serianni sembrava proprio essere questa.  E forse anche le prove proposte per la Scuola Secondaria di I grado sembravano alludere a una scuola capace di rispondere alle istanze di una formazione inclusiva. Peccato che la sciatteria delle esemplificazioni  proposte per la Secondaria di II grado abbia palesato tutta un’altra idea di scuola: una scuola in cui si confonde il bisogno di rispondere alle istanze di tutti con una banalizzazione delle richieste che, lungi dal fornire a tutti strumenti critici, lascia presagire grigi scenari di appiattimento e banalizzazione del pensiero, forgiato su un unico modello espressivo - quello del tema di antica memoria, condito di grammatica normativa. Quindi, tanto per cambiare, siamo di fronte a un vecchio mascherato da nuovo, reso tanto più grave dall’arroganza del nuovo che tale si proclama (e forse ci crede).

D’altra parte, se la riforma del  marzo 1969 corrispondeva alle istanze del ’68, questa riforma del 2018/19, che con quell’altra ha in comune l’analogo inopportuno tempismo, risponde piuttosto alle querimonie del Gruppo di Firenze. E se tanto mi da tanto...

Ma torniamo alla giornata napoletana e alla sua capacità di mostrarci un’altra idea di scuola. Un’idea espressa anche da un bisogno più volte ribadito da Anna Rosa Guerriero nel suo intervento di dare spazio, nella progettazione delle riforme, alla voce delle associazioni culturali che da sempre si occupano di didattica, nel tentativo di tenere insieme la coralità delle istanze per costruire un modello comune e condiviso. Ma, soprattutto, un’idea testimoniata dalla sua più contemporanea  e drammatica icona: il bambino con la pagella evocato da Anna Maria Palmieri, che ci ricorda qual è  la vera funzione della scuola: essere luogo di lancio in avanti, terreno di passo da attraversare, per raggiungere più forti il nostro altrove, con la speranza che questo ci accolga, che non sia feroce come il nostro presente ha imparato ad essere, come la scuola deve insegnare a non essere.

Parole chiave: esami

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