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c'era per noioltre la lavagna

05/06/2017

"Dopo Tullio con Tullio": una giornata GISCEL

di Rosanna Angelelli e Clara Manca

Si sono ritrovati tutti insieme, in un abbraccio ideale con Tullio De Mauro: studiosi, insegnanti, discepoli, estimatori, amici… Il Seminario, tenutosi il 27 maggio scorso presso il Dipartimento di Studi Orientali della Sapienza di Roma, è stato non un semplice ricordo del Maestro scomparso, quanto un’occasione per rivivere insieme la sua lezione e farne un impegno per il Giscel, oltre che una guida per il futuro della scuola.

“Il nostro ‘Intervento e Studio’. Dopo Tullio, con Tullio” è il titolo dell’incontro, orientato sul pensiero di Tullio De Mauro e sull’ampiezza dei suoi intenti. Invece, subito dopo la sua morte, si è scatenato in Italia l’ostile scetticismo di taluni intellettuali, anche accademici, nei confronti della densità delle sue idee e degli orizzonti politici che le alimentavano: sul linguaggio, sulla comunicazione, sull’uso politico della educazione linguistica democratica, in una polemica distruttiva che ha coinvolto anche la figura di un altro Maestro scomodo, don Milani, il “prete di Barbiana”. Di lui si è cercato perfino di rovistare nel privato, con basse e odiose insinuazioni.

La perdita umana, affettiva di De Mauro è grave, perché, come ha notato accoratamente il segretario del GISCEL Alberto Sobrero ad apertura dell’incontro, “egli ci ascoltava, ci sosteneva”, in modo saggio equilibrato ironico; la perdita dello studioso è gravissima, perché continuerà l’attacco alle sue idee, e quindi al modello di scuola da lui delineato, di fronte al quale “il GISCEL non deve cadere in trappole e provocazioni sconsiderate e irragionevoli”.
La migliore risposta è di rimanere “con Tullio”, continuare a coltivare e propugnare teorie e intenti operativi a contatto con chi li ha sempre discussi e valorizzati: nella SLI, come nell’associazionismo scolastico parallelo, tra cui in primo luogo nel Cidi.

Per Francesco De Renzo il “dopo Tullio” è una espressione che turba e che inquieta: è la prima volta che il GISCEL si riunisce senza di lui; ma anche il “con Tullio” è molto impegnativo, perché “ci deve essere una crescente attenzione per l’applicazione nella didattica della ricerca teorica”, si deve superare l’equivoco della scienza pura in cui i linguisti sono caduti. La posizione del GISCEL è comunque equilibrata, ponendosi tra ricerca e didattica, condivise da insegnanti e docenti universitari. Le X Tesi, essendo nate dalla “elaborazione sistematica di un quadro coerente come elemento essenziale della didattica democratica, sono un esempio di inserimento dell’aspetto tecnico in un quadro più ampio di politica educativa”, quella politica che oggi stenta a creare inclusione tra gli immigrati scolarizzati e non, anche per via di taluni limiti della didattica della lingua più funzionale che pragmatica.

Valter Deon presenta otto slide contenenti citazioni significative di opere di De Mauro. Inizia con un brano del 1976 tratto da “Scuola e citta”, dove lo studioso precisava come per una educazione linguistica democratica bisognasse “recuperare non solo l’oralità ma addirittura tutto ciò che vi è di comunicativo nelle nostre possibilità genetiche di esseri umani che non passi attraverso la parola”.
La modernità di questo assunto insieme con una insegnamento non rigidamente prescrittivo della lingua possono giustificare le polemiche dei tradizionalisti contro di lui. Ma forse il fastidio veniva e viene anche da quell’aggettivo “democratico” con cui lui era solito accompagnare il processo d’uso degli strumenti linguistici da parte di tutti. Nella “Filastrocca delle diseguaglianze”, comparsa su “Internazionale” nel 2016, De Mauro difendeva ogni gamma d’uso della lingua e non a caso, osserva Deon, nella “denuncia” dei 600 docenti, come anche in tutti gli altri interventi polemici, si parla solo di scrittura… Si tratta da più segnali, quindi, di un attacco di natura ideologica: basti pensare a quel “donmilanismo” (leggi sottotraccia, “comunismo”) affibbiato all’illustre linguista.
Sempre nella “ Filastrocca” De Mauro segnalava le colpe di una scuola che non eliminava le diseguaglianze ma le acuiva: “Entrano [gli alunni] che a volte paiono e magari sono quasi uguali, escono che sono anche visibilmente disuguali e inchiodati alla disuguaglianza sociale”. In questo senso prendono particolare valore alcuni suoi scritti dedicati a don Milani, come “Don Milani, l’uomo della terza età” (su “Nuovi argomenti”, 1996), dove il sacerdote era definito un non allineato, un “agitatore della sinistra”, e si citava Sciascia per via della considerazione che “la lingua in sé è democratica” e, per dirla anche con Zagrebelsky, che le parole della comunicazione si scambiano in “reciprocità e responsabilità”. Ne “I topolini della Peste di Camus”, De Mauro precisava che la pedagogia tradizionale “è fatta anche di cose innocenti” e che i topolini sono “portatori di un virus pericoloso”, che toglie la capacità di parlare liberamente, e cerca di far dire le cose nel modo migliore per essere graditi alle classi dominanti. Secondo Deon la rivoluzione copernicana nell’educazione linguistica si può dunque riassumere in due date: 1963, la pubblicazione da parte di De Mauro di La storia linguistica dell’Italia unita; 1966-67 quella di Lettera a una professoressa di Don Milani, quando alcune idee di Gramsci diventarono di “sinistra”… una volta riprese da un prete!
E questa istanza democratica alla polisemia e alla trasparenza comunicativa aveva guidato anche la ricerca dell’italiano d’uso a scuola da parte di Monica Berretta (1997) in uno dei momenti più fertili dell’attività della SLI. “Che cosa ci resta allora della lezione demauriana?”, si chiede Deon. A suo parere tre cose: la valorizzazione e il recupero del parlato e del parlare; il tornare al linguaggio (in senso saussuriano) come base per tutta l’educazione linguistica; la sollecitazione alle abilità del parlare e dell’ascoltare attraverso il multilinguismo del territorio e degli individui.

Cristiana De Santis, testimonia che l’essere nata nel 1973 non le ha permesso di assistere criticamente né alla nascita del GISCEL né al passaggio degli studi linguistici da quell’impianto storicistico-idealistico, da lei odiato perché istillava il rispetto della norma come paura dell’errore, alla trasversalità e alla sinergia tra i vari saperi, di cui le X Tesi erano portavoce implicito. Oggi l’ambiente degli studi linguistici è “impoverito e disorientato”, caratterizzato dalla resistenza a molti principi delle X tesi, che si conoscono tra l’altro superficialmente. Allora bisogna riannodare i fili intergenerazionali, in un rinnovato dialogo tra scienza e ricerca nel quale l’insegnante ricercatore si muova esportando le sue esperienze. Tutto ciò comporta un potenziamento della formazione in pratiche e progettazioni innovative graduali, dopo una buona preparazione disciplinare di base.
A scuola si deve favorire innanzitutto il dialogo relazionale tra insegnanti e studenti e quindi un apprendimento cooperativo, agevolato da una metodologia didattica, non solo trasmissiva, mirante allo sviluppo di competenze di base per tutti, anziché a una selezione prematura. Anche nel settore della multimedialità e delle competenze digitali bisogna diventare insegnanti abili, in grado di trasformare gli studenti in utenti consapevoli e critici. Riguardo allo studio della lingua ne va alleggerito l’aspetto tecnico descrittivo, per approfondire invece la variazione storica, con maggiore coraggio di scelte da parte dell’insegnante e un migliore supporto culturale anche da parte dei testi scolastici.

Anche il CIDI è stato presente a questa giornata con Mario Ambel, che ha ricordato il legame tra le due associazioni, a partire dal 1974 e dalle X Tesi, e poi via via negli anni Ottanta, nel tempo delle sperimentazioni e dei convegni comuni "nel campo dell'educazione linguistica". Le univa la volontà di rinnovare i modi di fare scuola, come scrivevano De Mauro e Lombardo Radice nell’Introduzione ai Programmi della Scuola Media nel 1979, dove tra l’altro si legge: “Insegnare secondo Costituzione, lavorare perché la scuola sia parte viva della Repubblica democratica, ieri era solo al massimo una possibilità, da oggi è un dovere. Ieri era intuizione, oggi va trasformata in routine, in fibra umile e anonima di cui siano tessute le giornate e i lavori della nuova scuola italiana”.
In questo impegno “umile” e costante De Mauro accomuna Don Milani a Gianni Rodari, mettendo in evidenza nel primo la parola complessa come porta d’accesso al dominio critico e al superamento della discriminazione sociale, nel secondo il “consegnare ai ragazzi tutti gli usi e le possibilità della lingua, anche e soprattuto quelli in cui la lingua gioca con se stessa (“Cancelati dalla dotrina”, 1974). Ai due maestri De Mauro affianca un terzo, Pasolini, sulla base del fatto che tutti e tre fanno una critica alla tradizione e la trasgrediscono sul terreno della più ovvia quotidianità, verso "sentieri nuovi, migliori, più umani".
Nel presente così problematico viene dunque da chiedersi se quelle Indicazioni funzionino ancora e che cosa sia possibile salvare della loro ricchezza. Da un lato, grande è il senso di fallimento, dall’altro, il bilancio, inesorabile, forse potrebbe diventare l’agenda del futuro. Ecco per Ambel le maggiori criticità: parlare/ascoltare continuano ad essere la cenerentola dell’educazione linguistica; riguardo al binomio lettura/comprensione non è stata superata la contraddizione tra il piacere dell’atto e le competenze interpretative da sviluppare analiticamente; tra l’acquisizione e la verifica, la scuola attualmente potenzia le verifiche nell’illusione che esse giovino all’apprendimento; riguardo alla scrittura, la ventata di innovazione, per altro datata al 2000, nei confronti delle prove scritte dell’Esame di Stato sembra essersi affievolita nell’ambiguità della L. 107, dove si è rischiato il ritorno al tema argomentativo, quando invece “avremmo bisogno nella plurivocalità dell’oggi di reinventarci tutti i modi e i registri di scrittura”. Riguardo alla grammatica essa urta contro l’uso della lingua, in una separazione che non è stata a oggi supereta. Per finire, vanno affrontate le nuove sfide del multimediale, ma sarebbe più agevole farlo se la didattica delle "quattro abilità" non registrasse ancora quei ritardi e quelle contraddizioni.
Quali allora gli atteggiamenti per ridurre il disagio? Ambel è convinto sulla scia di Gramsci che “la Questione della lingua è sempre di carattere politico”; che vada accettato l’inquinamento linguistico cercando però di non abbassarne troppo il livello, in una risposta al cambiamento che si sostanzi di teoria, pragmatica e politica. L’insegnante di lingua non sa più da quale base disciplinare può partire e verso quale tipo di lingua andare. A fronte dei "conservatori" della lingua e della realtà che rimuovono il cambiamento e sono servili allo establishment deve resistere un gruppo di "progressisti" che cercano di individuare gli strumenti linguistici tra passato e futuro con cui interpretare la realtà e anche migliorarla: senza ritornare al pennino, senza demonizzare il tablet.

Nicola Grandi, attuale segretario nazionale della Società di Linguistica Italiana, si chiede se chi oggi lancia segnali di allarme sulla competenza linguistica dei giovani (il Gruppo di Firenze, con la lettera dei 600 universitari) sappia di che parla. Sembra proprio di no. Innanzitutto, perché fra i firmatari del documento in questione, la quota dei linguisti è davvero irrilevante; e poi perché la denuncia non si fonda su dati (quindi falsificabili), ma su impressioni soggettive fornendo così una fotografia confusa (come si evince dalla confusione che fanno fra ortografia e grammatica, tra espressione orale e scritta!). 
Su questi temi all’Università di Bologna si è pensato a un questionario rivolto a un centinaio di studenti iscritti alla laurea triennale. Si sono presentate una serie di frasi con tratti “substandard” (a me mi, che polivalente, assenza di congiuntivo…) e tratti “neostandard” (alcuni usi del pronome relativo, accordi a senso, uso del gli generico,) chiedendo quali di quelle frasi risultassero per loro strane. Si è così scoperto che erano sentititi ancora “strani” dei tratti considerati ormai neostandard, mentre non venivano rilevate come tali frasi del tipo: “il ragazzo che gli ho prestato il libro”. E, fatto ancor più rilevante, erano invece sentite come fuori norma frasi come “sono stato superato da un collega di cui sono più vecchio” appartenente alla lingua formale. Quindi nella lingua degli universitari sembra mancare la consapevolezza delle varietà di registro e la capacità di passare da una all’altra. Ciò, indipendentemente, dalle solite variabili sociolinguistiche: tipo di studi, classe sociale, ecc. se non per la provenienza regionale tanto che le tradizionali griglie analitiche dei fenomeni linguistici andrebbero modificate.. Non si deve, infatti, dimenticare che oggi ci troviamo di fronte a una nuova varietà diamesica dell’italiano, con tratti tipici dell’oralità nella scrittura, conseguenza evidente dell’uso della messaggistica e dei social: WhatsApp, per esempio, ha trasferito le forme dell’oralità tra amici in scrittura, per cui formule come xke, nn transitano anche nella scrittura dei giovani. Inoltre i “social” hanno innovato creando un parlato grafico in modalità visiva. 
Gli iscritti all’università fino agli anni Settanta non avevano bisogno di un miglioramento linguistico dal momento che l’accesso era già stato selezionato. Oggi, invece, l’università non ha saputo adeguare l’offerta formativa all’allargamento del contesto sociale dei suoi iscritti e questo è stato un errore, perché “la lingua va allenata e le acquisizioni non sono per sempre”. Il GISCEL, la SLI e il DIL devono fare un percorso comune, dove l’educazione linguistica sia rivolta a tutte le facoltà, sulla scia del Documento inviato da Sobrero nel maggio scorso all’Accademia della Crusca, e l’allenamento deve disporsi sulla scrittura funzionale, sulle riscritture, sul riassunto, sulle variazioni di registro.

Proprio sulla formazione degli insegnanti è tornata Anna Rosa Guerriero ricordando una riflessione di De Mauro: “Mi pare che, non solo in Italia, ci sia un immenso lavoro da fare per raccogliere e tradurre in prassi i punti nodali delle Dieci Tesi”. A ben guardare in tutti questi anni continuano a prevalere metodi e pratiche tradizionali di insegnamento della lingua. La formazione in servizio, se c’è stata, è avvenuta attraverso altri canali, quali un certo tipo di editoria (che ha fornito stimoli e supporto) e l’associazionismo, come il GISCEL, che nei suoi Convegni nazionali e nell’attività dei gruppi regionali ha commisurato la teoria con la prassi didattica. Con tutto ciò, le Tesi non sono mai diventate cultura “diffusa”.
Per questo occorre una progettualità di sistema (finita nel 2009 con la le SSIS), basata su ipotesi di linguistica educativa e sperimentazione didattica, come era avvenuto con i Laboratori di scrittura grazie al protocollo di intesa fra MIUR e GISCEL, o come, da più di 15 anni, l’offerta di moduli didattici per corsi di Italiano L2, nati dalla collaborazione fra Ministero e una ventina di università con le Sovraintendenze scolastiche. Questo significherebbe ripensare a delle figure professionali specifiche, identificando un’area di studio in cui discipline linguistiche, sociologiche e didattico- pedagogiche convergessero per lavorare sulla trasversalità della lingua. Intanto, però, i “Quaderni del GISCEL” possono fornire materiali per una formazione iniziale e in servizio. Tale accesso ai materiali oggi è reso difficile dalla reperibilità di volumi ormai fuori commercio; ma si intende digitalizzarli in una struttura ipertestuale, così da permettere ai gruppi regionali di ritrovarvi le diverse tematiche che vorranno affrontare coi docenti e, insieme ai materiali per la discussione, le questioni e le esperienze didattiche. Per esempio il tema “Ascoltare e Parlare” potrebbe articolarsi in più sottotemi: a) ricerca, descrizione, modelli teorici; b) Interazione verbale; c) tipi di parlato; d) confronti scritto/parlato.
Infine, sarà opportuno per un’innovazione didattica, organizzare lavori di gruppo con gli insegnanti (i quali, spesso, davanti a nuove metodologie e all’aggiornamento dicono: sì molto bello, ma non ho tempo…) su pratiche semiotiche in classe, di cui siano responsabili l’università e la scuola, magari con la figura di supervisori di tirocinio.

Cristina Lavinio ha aperto il suo intervento ricordando i primi appunti di De Mauro sull’insegnamento della lingua italiana del 1965, qualche anno dopo per la SLI, in cui denunciava l’organizzazione degli studi insufficiente per formare sia i ricercatori sia i futuri insegnanti di scuola. Allora, la Linguistica era presente solo in qualche sede universitaria e oggetto di studio erano le categorie di universalità della lingua. Da qui, un excursus sulle questioni e sulle tematiche a lui care.
Il mito platonico di Theuth e Thamus per riscoprire la centralità dell’oralità (priorità filogenetica e ontogenetica) e la dimensione diamesica della scrittura; le pratiche grammaticali sanzionatorie della scuola da superare in nome di scelte linguistiche rispetto alle circostanze; la necessità di rapporti speculari tra scuola e università (specialmente quella dell’infanzia e la primaria, che non interessavano, a torto, gli ambienti universitari, vista la precocità dell’apprendimento linguistico); la centralità delle lingue di scolarizzazione; la trasversalità dell’educazione linguistica, oggi diventata centrale nei documenti dell’Unione Europea; e più di recente, l’educazione degli adulti, visto il grave analfabetismo di ritorno; l’attenzione alle biblioteche per sostenere la lettura; la necessità di intervenire sulle competenze degli insegnanti; dal 2003, la linguistica educativa, che prende dalle scienze del linguaggio quanto può essere necessario per l’insegnamento nelle classi; l’importanza del “metodo Scandicci”: lavoro di gruppo fra università e docenti di scuola, per condividere letture e risultati delle sperimentazioni in classe (quello che sarà lo spirito del GISCEL).
Ed è da qui che bisogna ripartire, in un momento in cui è venuto meno l’impegno civile e politico, da incontri, seminari di studio con momenti di riflessione, invece degli inutili momenti di formazione imposti dai dirigente, sparsi, isolati, affidati a esperti esterni e per lo più curvati sull’uso delle nuove tecnologie. Anche perché non sembra che facciano ben sperare le ultime disposizioni ministeriali in materia di nuovi concorsi, dove nell’area cosiddetta “comune” non vi è riferimento alla pedagogia linguistica! Non resta pertanto che ripartire da De Mauro, con impegno e studio delle sue opere.

"Tante idee e tanti problemi con tante risposte possibili." Questa la sintesi del segretario Sobrero, che, entrando nel dettaglio ha presentato i punti nodali della giornata seminariale:

  • Conferma del compito fondante del GISCEL: intervento e studio, al fine di trovare le modalità migliori per l’attuazione dell’articolo 3 della Costituzione.

  • Impegno centrale: assicurare a ciascuno tutti gli usi della lingua.

  • Presenza, sullo sfondo, della questione della lingua come questione politica.

  • Problema della realtà linguistica: da dove partire e dove arrivare? Una questione aperta.

  • Direzione degli interventi, quella di superare i muri che dividono: italiano e altre materie; verbale e non verbale; lingua e varietà linguistiche; lingua e letteratura; intervento e studio; ricerca e didattica; insegnanti e ricercatori; GISCEL e altre associazioni.

  • Ricerca: partire dalla ricerca per fare didattica; riscoprire la ricerca di gruppo; scattare una fotografia aggiornata su insegnanti e studenti, per partire dalla conoscenza della realtà (anche usando i dati Invalsi).

  • Formazione: il più attuale dei problemi. Anche alla luce dei decreti attuativi della L. 107 si devono recuperare le sperimentazioni innovative già proposte per inserirle nelle “gabbie” proposte dalle griglie ministeriali.

  • Problemi aperti: la centralità del parlato e dell’ascolto, le varietà linguistiche; le nuove forme di scrittura , il “parlato grafico” (scrittura con i tratti dell’oralità) prodotto della media sfera; studio per una didattica innovativa e non solo trasmissiva, che si fonda su motivazione, responsabilità, coinvolgimento.

Un programma di lavoro che ripropone e rilancia verso il futuro un impegno che ha radici antiche, da riconfermare con nuovo vigore, "dopo Tullio con Tullio".

 


Immagine a lato del titolo di Rosanna Figus, Giscel Sardegna

Parole chiave: educazione linguistica

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