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04/06/2021

Note sull'articolo di Rita Bortone

di Ezio Menchi

Salve.

Ho avuto occasione nel tempo di leggere diversi interventi di Rita Bortone, apprezzandone sempre, indipendentemente dalla condivisione di questa o quest'altra considerazione, la lucida e insieme appassionata capacità di analisi  e la coerenza intellettuale nel saper guardare alla realtà dei problemi della scuola e del mestiere di insegnare, non perdendo mai di vista l'orizzonte culturale e politico. Ho quindi letto con attenzione la sua lunga riflessione sulla tentazione di rinunciare, che può nascere in chi, anno dopo anno, tenta di convincere, con i fatti, con il suo impegno concreto, un collegio di insegnanti  o un suo sottoinsieme, della necessità di esercitare la responsabilità costante della riflessione critica, individuale e collettiva, su cosa e come insegnare, sulla innovazione didattica unicamente intesa ad assicurare il miglior contesto educativo per chi cresce ed apprende, cittadino a pieno titolo, ora più che mai, di un mondo in continua, implacabile evoluzione.
Non intervengo su questo tema, né su altre considerazioni significative contenute nell'articolo, più o meno condivisibili. Ringrazio Rita Bortone  per  le preziose sollecitazioni che ci aiutano a riflettere e a meglio capire il momento che la scuola sta vivendo.

 

Credo però che il problema che presenta, nell'attuale contesto, non abbia soluzione.
Segnalo una mia antica convinzione, certo non originale, ma avvalorata da  esperienze vissute in altri paesi. Credo che l'unica strada per costruire la Scuola per cui Rita Bortone, o Barbara o Valeria si sono impegnate, sia quella che sindacati ed associazioni professionali degli insegnanti riescano nell'impresa storica di conquistare  due ore settimanali di Ricerca Didattica (le maiuscole sono intenzionali), regolarmente pagate ed obbligatorie, nel contratto di lavoro di chi insegna, almeno per 10 mesi su 12.  Credo anche che a convincersi del valore strategico di questa conquista dovrebbero essere prima di tutto gli stessi sindacati e le stesse associazioni professionali, dal momento che non è garantita un’adesione entusiasta  da parte della categoria. Per contrappeso, in contemporanea si dovrebbero conquistare un taglio drastico dei tanti "progetti" collaterali dedicati ai temi più diversi (magari utili, ma secondari rispetto ai fondamenti dell'insegnare e dell'apprendere, e  ai metodi e agli "ambienti" che li favoriscono), oltre che la riduzione della marea crescente di incombenze di puro omaggio alla burocrazia.
Parlo di Ricerca Didattica obbligatoria (di cui i Laboratori del Sapere Scientifico della Regione Toscana sono un esempio significativo, anche se perfettibile e certamente non esaustivo), non di generico "aggiornamento" obbligatorio. Le due funzioni sono profondamente e geneticamente diverse, anche se non è questo il contesto per approfondire la questione. Qualcosa di meno, forse, ma anche qualcosa di più delineato, più cogente, di quanto, positivamente, richiede Rita Bortone: "
 ....penso che. al docente vadano garantiti anche lo spazio e il tempo per interessi e frequentazioni professionali che vadano al di là degli adempimenti e che gli consentano di coltivare affinità intellettuali e ideali, e di costruire insieme ad altri percorsi liberamente scelti: in un comune senso di cittadinanza e di responsabile appartenenza al Paese, oltre che all’Istituto".

Dunque: due ore settimanali di Ricerca Didattica, in dimensione collettiva, di cui rendere pienamente conto e valutabile documentazione alla fine dell'anno. 

Quindi:  piani annuali di riflessione critica, di evoluzione metodologica, di sperimentazione in classe,  di didattica in movimento. Obbligatoria la documentazione e la verifica collegiale. Molto ci sarebbe da dire per rendere "efficace" una funzione permanente di Ricerca Didattica integrata alle attività di insegnamento, anche proprio per mettere tutti gli insegnanti (proprio tutti), di fronte alle proprie responsabilità di progettisti della didattica, facendo venire allo scoperto attitudini, competenze, apertura mentale, motivazioni, etica professionale. In un contesto in cui la Ricerca Didattica fosse struttura stabile della professione insegnante, coerentemente documentata e verificata collegialmente dagli stessi protagonisti, si è portati a scoprire le carte e (uso un’espressione che mi è antipatica), ognuno “ci mette la faccia”. Barbara e Valeria passano dalla parte del diritto e chi le considera, magari affettuosamente, fastidiose rompiscatole passa dalla parte di chi non rispetta il patto sottoscritto con la società che gli paga lo stipendio. Mi  fermo a queste indicazioni sommarie.

 

Senza questo passaggio strutturale, temo che  sarà sempre un drappello di Barbare e Valerie e di tanti altri colleghi diffusi nelle scuole del paese a "tirare", a cercare di convincere, a consumare passione ed impegno, a fonte di chi (la maggioranza), si adatta, più o meno decorosamente, a svolgere il proprio lavoro tenendo il motore della loro responsabilità professionale  al minimo. E rimarrà, non si sa per quanti,  la tentazione di rinunciare.

Un caro saluto.