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24/05/2019

Perché ne dobbiamo parlare

di Un gruppo di insegnanti di secondaria di I grado

La recente vicenda della sospensione dal servizio di una collega palermitana, vicenda ormai nota grazie ad articoli, servizi, interviste ed eco mediatica, ci colpisce con forza e ci spinge a cercare un confronto con tutta la comunità educante. Si inserisce infatti tra riflessioni e pensieri sul tema della libertà di pensiero, della reale portata della parola “democrazia”, sulla scuola, che costantemente occupano i pensieri di noi insegnanti, e non solo in questi ultimi mesi.

Due sono i dati dai quali possiamo partire per riflettere: la presenza di un pensiero filo-fascista tra alcuni giovani (anche tra i nostri studenti) e il tema dell’impegno e della partecipazione alla vita della collettività.

Quante volte ci siamo trovati nelle nostre classi di fronte a ragazzi o ragazze che sostenevano di essere filo-fascisti? Sappiamo che soprattutto nelle classi terze della scuola secondaria di I grado, come del resto  nella secondaria di II grado, è capitato spesso.

La risposta didattica di fronte a queste posizioni può andare in diverse direzioni. Una strada più volte battuta è quella di orientare i ragazzi nella contestualizzazione storica del fenomeno fascista, delimitandone i limiti spaziali e temporali. Quindi verificando che abbiano “compreso” il significato del lessico utilizzato e infine stimolando una discussione, chiedendo, ad esempio, se davvero desiderino ritornare indietro nel tempo e vivere la loro gioventù come i loro coetanei del ventennio. E sappiamo tutti, a questo punto, che è difficile trovare dietro a questi slogan una reale preparazione, una conoscenza storica dei fatti e degli argomenti sufficienti per sostenere un vero confronto dialettico. Tuttavia, almeno come slogan, queste posizioni sopravvivono e bisogna prendersene carico.

Il secondo tema è quello dell’impegno e della partecipazione attiva alla vita della collettività. La parola “collettività” è una parola su cui lavorare, raramente conosciuta. Normalmente ci arriviamo partendo dalla parola “classe”, passando poi alla parola “comunità”, e facendo dei confronti con il significato del termine “società”. Alcuni studenti, infatti, sappiamo che possono trovarsi in situazioni ambigue, sentendo fuori dalla scuola discorsi basati su valori differenti, che non credono nel confronto e nella condivisione, valori su cui si devono basare tutte le società.

In quale altro luogo una discussione “politica” di questo genere viene condotta senza insulti, offese, slogan? Dove c’è lo spazio per tempi distesi che favoriscano il maturare di una posizione e non lo schieramento acritico? Parlare a scuola è un modo per farsi correggere, chiedere spiegazioni, dire la propria. Ma non è facile, perché spesso i ragazzi si ritraggono, si vergognano, temono le reazioni dei coetanei e degli adulti, hanno bisogno di tempo, incoraggiamento; a volte comunque tacciono.

È per coerenza con quello che diciamo e che facciamo in classe che oggi dobbiamo parlare. Dobbiamo dire che quanto accaduto alla collega di Palermo è inaccettabile. Dobbiamo dire che non può essere sospesa dal lavoro una professionista che compie il proprio mestiere con coscienza e senza contravvenire ad alcuna norma. Dobbiamo dire che non può esserle decurtato lo stipendio in maniera così arbitraria. Dobbiamo dire che l’esposizione mediatica che ora segue a questo episodio non è il lavoro per cui noi docenti siamo preparati. Dobbiamo dire che se questo spazio di confronto libero scompare dalla scuola non sappiamo dove i ragazzi potranno mai trovarlo. Dobbiamo dire che facciamo parte di una comunità di insegnanti e che la nostra appartenenza si basa, sì, sulla condivisione di obiettivi, metodi, strategie ma anche e soprattutto su valori educativi. Dobbiamo dire che questi valori sono chiaramente espressi in documenti ministeriali ai quali i docenti fanno riferimento.

Dobbiamo dire che mostreremo alle nostre classi il video dei loro compagni siciliani, per invitarli, ancora una volta, al dialogo, alla riflessione e all’esercizio del pensiero critico.

E infine dobbiamo dire che i ragazzi e le ragazze che frequentano le nostre scuole devono continuare a sapere che a scuola esiste la possibilità di esprimersi e di dire la propria. Dobbiamo dire che questo valore è irrinunciabile per noi e per la comunità di insegnanti di cui facciamo parte. Dobbiamo dire che la scuola è un pezzo della società e che questa vicenda ci riguarda tutti e tutte.

Pertanto dissentiamo con forza dal provvedimento di sospensione applicato alla collega, alla professoressa Rosa Maria Dell’Aria, e intendiamo promuovere un’azione di espressione di questo dissenso rispetto al provvedimento emesso nei suoi confronti e di condivisione pubblica dei principi ispiratori del lavoro della Scuola.

Angela Arceri, Valentina Baravalle, Patrizia Brussino, Bruno Castellucci,  Raffaella Corsi, Cecilia Di Giovanni, Annamaria Edera, Francesca Elia, Barbara Fassetta, Ruggero Gallo, Marina Garbellini, Elena Giacosa, Enrico Giordano, Alessandro Manno, Laura Marando, Rita Mineo, Tiziana Musacchio, Mariella Racca, Roberto Rizzo, Maria Roero, Monica Romano,  Simona Tua, Rosanna Vicari, Simona Zammito, Cinzia Zonnedda

 
Parole chiave: il caso 05.19

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