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opinioni a confronto

01/02/2018

Tra schermi e normocomande

di Rosanna Angelelli

Tra schermi 

Sabato 20.01.2018. Mentre scrivo al pc ascolto la tv. Alzo la testa sul secondo schermo: stanno intervistando Alberto Angela. La sua trasmissione “Meraviglie. La penisola dei tesori” ha un grande successo, anche tra i giovani - il 30% dello share-, si precisa. Perché questo risultato? Per la bellezza dei contenuti? Per la loro impaginazione? Per la tecnologia molto sofisticata? Certamente sì, ma c’è anche un altro ingrediente: l’abilità del conduttore. Angela jr parla in modo sentito ma non aggressivo, con linguaggio chiaro e una gestualità ampia e accogliente. Che piace molto anche alle donne. Angela, visibilmente lusingato, commenta sornione: ”La conoscenza si fissa in memoria permanente attraverso l’emozione. Suscitare emozioni, curiosità nei ragazzi è dunque un obbiettivo primario per avviare i processi di identificazione e l’immersione necessarie a un apprendimento sentito, che ti fa dire a un certo punto: “Però, vedi...”. ‘Bene, commento tra me, ma…’ e non faccio in tempo a completare il pensiero che una giornalista del “Corriere della Sera” interviene pacata: “Sì, questo è vero, ma i ragazzi hanno poi bisogno di qualcuno che li guidi alla riflessione perché le emozioni non bastano per produrre conoscenza.”

‘Toh, in meno di cinque minuti hanno esposto con chiarezza gli ingredienti di un apprendimento…’ mi dico, e riposiziono gli occhi sullo schermo del computer. Sto leggendo  e schematizzando il documento del Miur  “Orientamento per la redazione della prova d'italiano nell'esame di stato conclusivo del primo ciclo”.
‘Forse si vogliono uniformare le prove che finora ogni scuola elaborava separatamente’, ipotizzo dubbiosa, ‘impartire prescrizioni comuni… Per dare all’esame una ufficialità in linea con il suo… Grande Fratello, l’Esame di Stato del secondo ciclo. Mah, l’obbligo non finisce a 14 anni… E poi, siamo già a metà anno scolastico… e anche il Grande Fratello è in via di ristrutturazione…’
Uffa, questa povera scuola non ha pace… E tutto si cambia a pezzi e bocconi… Così si perde l’orientamento anziché acquistarlo…

Riassunto e tipologie

L’apertura del documento non sembra prescrittiva: ”La Commissione d'esame può liberamente scegliere quali tipologie di prove proporre nell'ambito di quelle previste dalla normativa e può definire le tracce tenendo conto delle indicazioni nazionali e anche delle situazioni specifiche dei singoli istituti scolastici ”. (Il corsivo è mio e lo saranno tutti i successivi).
Ma subito dopo arriva la gragnuola sul riassunto: “Indipendentemente dalle prove d'esame si richiama l'attenzione dei docenti sull'opportunità di fare svolgere, in tutti e tre gli anni della secondaria di primo grado, l'esercizio del riassunto”. Mah, lo stile  è discretamente da predica. Questa insistenza sul riassunto, e lo ripeto, a metà del terzo anno scolastico di un triennio, mi appare davvero forzata, addirittura quasi offensiva… In primo luogo perché non c’è essere umano, dal bambino al vecchio, che dentro e fuori gli ambienti del suo vissuto -la scuola non è l‘unico-  non attivi costantemente le proprie competenze riassuntive, per spiegare, raccontare qualcosa: la narrazione è anche (sempre?) un riassunto.

Bisogna migliorare le competenze riassuntive a scuola? Bene, ma che si sappia che un buon riassunto è tale perché si sono saldate la conoscenza e l’assimilazione profonda degli argomenti,  in primo luogo quelli disciplinari, e si posseggono le parole adatte a esporli. In sostanza, il riassunto non è una pratica specialistica automatica, bensì la costruzione di uno scheletro da avvenuti apprendimenti anatomici.  Che il Ministero ce ne ricordi l’importanza va bene, ma che lo ponga addirittura all’inizio degli orientamenti mi sembra, ripeto, offensivo nella sua scontatezza.

La tirata sul riassunto serve però a proporre la tela su cui costruire gli orientamenti di prova. Il Documento, infatti, in conformità con la norma di legge apptovata a ottobre, snocciola una classificazione, un campionario di “modelli”. Si tratta di  tipi testuali di vario genere:
-  il  testo, narrativo e descrittivo (Tipologia A);
- argomentativo (Tipologia B);
- di comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo scientifico, anche attraverso richieste di riformulazione (TIPOLOGIA C);
- infine a carattere  “misto”, strutturato in più parti, riferibili alle tipologie A), B), C).

A questo punto, per una utile verifica legale tra vecchia e nuova normativa, rintraccio dal web e rileggo il  DM 26.08.1981, sulle prove d’esame in terza media, che è ancora in vigore. Mi è subito evidente quanto ci si sia distaccati dalla sua linearità e quanto sia capzioso il nostro Documento. Con esso ci si sente sbalzati da una classe reale, per la quale “Le tracce per la prova scritta, in numero di tre, […]  debbono essere formulate in modo da rispondere quanto più è possibile agli interessi [culturali] degli alunni”, a una specie di camera degli specchi, dove per valersi, un adolescente deve dilatarsi, restringersi, frammentarsi in identità non da lui scelte, ma a lui imposte, applicando traballanti tecniche specialistiche potenzialmente più consone agli studi superiori. 

Narrazione e descrizione

Vado oltre nella lettura. Nell’introduzione teorica alla testualità narrativa si riconosce che “la narrazione e la descrizione vivono in un rapporto di reciprocità”, ma che “Narrare e descrivere tuttavia sono operazioni diverse che presuppongono competenze di scrittura specifiche che le alunne e gli alunni devono apprendere, al fine di utilizzarle con proprietà”. (Sempre per non essere prescrittivi, eh?).

Vediamo allora da dove si intende partire. Da quali contenuti testuali. Ci si aspetterebbero proposte almeno inizialmente accattivanti (anche per suscitare le emozioni, come diceva Alberto Angela), legate a tematiche vicine alla cultura di una classe specifica in quella specifica scuola e per un dato adolescente, e quindi letture più motivanti, più appetibili, e invece no,  la scelta è tutta a favore  di esempi letterari tagliati “al minimo livello”: “La lettura iniziale di brevi racconti dovrebbe essere accompagnata (il condizionale è sempre d’obbligo) da una serie di esercizi che attestino la corretta comprensione del testo…” .
Ma guarda un po’, e se un insegnante di italiano poni caso sta impiegando il suo lavoro su testi di contenuto più vario, anche di carattere tecnico scientifico, o inerenti alla storia contemporanea, alla geografia politica, alle scienze sociali, che cosa dovrebbe fare costui nella seconda metà dell’anno? Interrompere la sua programmazione e passare rapidissimo alla letteratura, pardon, ai racconti brevi?

Purtroppo si vuole mantenere a tutti i costi quel fossato cognitivo/operativo tra i saperi umanistici e quelli tecnico scientifici, che antepone la finzione del “fare letteratura” (in realtà una infarinatura per  studi successivi) alla varietà linguistica di altri approcci e di altri saperi, più consoni invece alla formazione dell’obbligo. Com'era invece evidente nelle indicazioni degli anni Ottanta. Questa riluttanza a (far) valorizzare esplicitamente contenuti e pratiche testuali diversi, è visibile anche in un altro punto del Documento, quando entra in gioco la descrizione di un testo scientifico: lo scopo della prova, si dice,  deve essere “prevalentemente divulgativo.” Che cosa si intende con questo? Che non si deve essere rigorosi? Che gli studenti non debbono appropriarsi di un graduale linguaggio formale, da impiegare in una prova di italiano, che non sia di “letteratura” ma non sia neanche un dépliant commerciale?

Fatta la scelta “letteraria” di partenza, si ritira fuori naturalmente l‘apparato interpretativo delle categorie narratologiche, ma con un limite: “si dovrebbe evitare il ricorso a una tassonomia eccessivamente analitica che rischia di soffocare il piacere della lettura, una delle finalità essenziali dell’azione didattica”. D’accordo, si dovrebbe (anche qui il condizionale è d’obbligo), ma penso che il Documento fotografi un rischio sorpassato da un pezzo. Infatti mi chiedo quali possano essere oggi gli insegnanti “accaniti” su un eccesso di tecnicismo, dal momento che  c’è stata una deriva analitica molto forte e le antologie scolastiche si sono in un certo senso sostituite al lavoro dell’insegnante offrendo di un testo abbondanti apparati esplicativi e interpretazioni belle e pronte.  Cosa molto discutibile questa, anche nel versante dell’apprendimento degli alunni, perché dovrebbero essere loro a imparare a porre le  domande a un testo e a costruirne un possibile senso comprovato.

Gli "esempi"!

Ma le perplessità diventano stupore di fronte agli esempi delle tracce di prova proposte per ogni tipologia: gli argomenti spesso sono inappropriati, perché troppo distanti dal vissuto di un adolescente, o semplicistici rispetto alla realtà; le tracce sono spesso poco chiare, o anticipano il senso del testo, o chiedono difficili (se non impossibili) acrobazie identitarie, alla ricerca di un decentramento critico che a 14 anni non si possiede ancora saldamente. Anche perché la sua acquisizione non  si costruisce tanto attraverso le esercitazioni retoriche, quanto dalle esperienze, dalle relazioni, sulle quali il giovane ha il diritto di parlare direttamente, senza gli orpelli di qualsiasi input artificiale o artificioso.

Scelgo qualche esempio, fra gli esempi.

Primo esempio (testo narrativo)

«A volte capita di trovarsi in un ingorgo mostruoso e di sentirsi come criceti tra le spire d’un serpente di metallo: nelle macchine tutti suonano i clacson, inveiscono contro la vecchia che ha perso il tempo del semaforo verde, contro il vicino che stringe, contro l’autobus messo di traverso, contro il mondo intero».

(Marco Lodoli, Isole. Guida vagabonda di Roma, Torino, Einaudi, 2005) 
Scrivi un breve racconto i cui personaggi siano inseriti nell’ambiente descritto nel testo. Immagina che il tuo lavoro sarà letto ai tuoi compagni nell’ambito di un progetto scolastico che, attraverso ricerche e narrazioni, voglia far emergere i problemi della città.  

Nella prima traccia della sezione A, (testo narrativo), si presenta un brano di cronaca di Marco Lodoli sul traffico cittadino. Il narratore è un automobilista nevrotico, razzista nei confronti di una vecchia che salta il semaforo (si sa, solo le vecchie hanno esitazioni…), e sprezzante con gli altri guidatori sia privati che pubblici.

Lo studente dovrebbe immedesimarsi emotivamente nella situazione d’odio di questo “tipino” senza però condividerla, dato che dovrebbe poi inventare un breve racconto dallo scopo informativo, educativo e propositivo, da diffondere nella sua scuola. Ora, mi chiedo come un adolescente, che scorrazza a Napoli o a Roma con il motorino o che ne desidera ardentemente uno, possa immedesimarsi in un vissuto negativo per lui quasi normale, diventando subito dopo il vigile urbano di se stesso? Si può contare per lo svolgimento solo su una buona dose di ipocrisia, o di schizofrenia. Dunque questa traccia, per essere svolta induce alla menzogna o al luogo comune.

 

Anche gli esempi 1 e 2, della stessa sezione ci appaiono alquanto discutibili.

Primo esempio (testo descrittivo)

Osserva attentamente la riproduzione dipinto di Pierre-Auguste Renoir, Pomeriggio dei bambini a Wargemont. Dopo aver descritto in modo oggettivo uno dei personaggi presenti nel quadro, soffermati sulle impressioni che suscita in te questa immagine.

Nell’esempio 1 (Un quadro di Renoir presentato senza data)  una soave, direi celestiale, intima scena familiare alto borghese tra mamma e due figlie, non solo è lontana dalla vita di un giovane d’oggi, ma anche dalla memoria di quei ragazzi immigrati o figli di immigrati, che, se  appartenenti a culture non europee,  non la considerano arte, perché la famiglia non si mostra, si nasconde e men che meno le donne.

Le consegne: “Dopo aver descritto in modo oggettivo uno dei personaggi presenti nel quadro ecc.. Mi fermo sorpresa: innanzitutto la descrizione di una immagine dovrebbe essere sempre  oggettiva, massimamente quella di una immagine d’arte. L’oggettività è indispensabile  perché l’osservatore possa confrontare le emozioni inizialmente percepite con gli elementi di significato derivati dall’analisi. Inoltre, il senso di una rappresentazione iconica è tratto dalla  relazione interna tra tutti gli elementi che la compongono Che cosa si chiede invece? Una semplificazione con una  aperta sgrammaticatura. Chiedere di prelevare da una scena così organica (fino allo stucchevole) una sola figura su cui proiettare certe impressioni, significa spingere lo studente a dimenticare l’eventuale gusto del quadro e a scribacchiare, invece, qualcosa di sostanzialmente arbitrario e fuori da un contesto oggettivo.

Secondo esempio  (testo descrittivo)

La tua scuola si è gemellata con un istituto di un’altra regione italiana. Ti è stato affidato il compito di pubblicare sul sito web una descrizione del quartiere o del territorio in cui è situata la tua scuola. Il tuo testo è indirizzato agli alunni dell’altro istituto ed ha lo scopo di fornire loro informazioni sugli aspetti urbani/paesaggistici e sui luoghi di socializzazione delle ragazze e dei ragazzi della tua età. 

Terzo esempio (testo descrittivo)

C’è un oggetto che desideri avere da tanto tempo, ma temi che i tuoi genitori non siano propensi ad acquistarlo. Cerca di convincerli con una descrizione che metta in luce le qualità dell’oggetto ed insieme contenga un'efficace e convincente argomentazione circa i motivi per cui vuoi averlo.  

 

Anche nell’esempio 2 le consegne sono fumose, almeno riguardo al destinatario del report assegnato: “un istituto di un’altra regione italiana”, e dunque una entità anonima, senza  un profilo. Un compito pubblicitario (perché lo scopo della traccia è questo) dovrebbe tener presente innanzitutto il target di destinazione, per risultare accattivante nella réclame del proprio “prodotto”. Ci si chiede come uno studente in mezzo al degrado ambientale spesso circostante alla sua scuola (se non appartenente anche alla medesima), possa inforcare le lenti azzurre dell’ottimismo e scrivere uno spassionato... compito di realtà.

Nell’esempio 3 la traccia è chiara, ma la situazione richiesta potrebbe provocare risposte inautentiche o discutibili. Alcuni oggetti del desiderio giovanile potrebbero consistere in beni di consumo legati al denaro e alle mode. Lo studente, per dare di sé una immagine virtuosa, potrebbe mentire nascondendo i suoi veri desideri.

 

Il testo argomentativo

Ma è sul testo argomentativo che si addensano le perplessità più forti. Innanzitutto a partire dalla spiegazione del suo significato. Poiché si è resuscitato dal liceo il così detto tema argomentativo, per lo più di contenuto letterario, nel documento ci si arrampica sugli specchi per sostenere che sì, questo esercizio è del tutto praticabile in III media. E come? Difendendo con motivazioni una propria tesi.

L’argomentazione naturalmente è ben altra cosa. Anzi, a nostro parere, tirando in ballo la motivazione, si rischia di alimentare un vizio tutto italico: quello di sostenere una opinione senza prove oggettive verificate. La motivazione infatti non è una prova, ma una giustificazione. Mi chiedo allora che cosa significhi usare argomenti efficaci. A meno di smentita, l’efficacia argomentativa (di cui erano maestri i sofisti) deve appoggiarsi su elementi concreti di persuasione indipendentemente da un riscontro oggettivo. Ora io spero che la scuola non voglia allevare sofisti, ma ragazzi leali e onestamente pensanti. E un tempo, se proprio vogliamo fare i nostalgici, la scuola del liceo classico, se obbligava uno studente a una prova di critica letteraria, gli chiedeva non la motivazione ma il riscontro di quanto sostenuto attraverso citazioni puntuali e l’autorità dei critici. Ebbene neanche questo era argomentazione, ma certo era una attività “civile” a metà tra la conoscenza e l’obbedienza.

 Primo esempio (testo argomentativo)

Leggi il seguente brano tratto dal Marcovaldo di Italo Calvino. 
 
«Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d’altre terre. Un giorno, sulla striscia d’aiola d’un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi. Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo che proprio lì prendeva ogni mattina il tram. Aveva questo Marcovaldo un occhio poco adatto alla vita di città: cartelli, semafori, vetrine, insegne luminose, manifesti, pur studiati che fossero a colpire l’attenzione, mai fermavano il suo sguardo che pareva scorrere sulla sabbia del deserto. Invece, una foglia che ingiallisse su un ramo, una piuma che si impigliasse ad una tegola, non gli sfuggivano mai; non c’’era tafano sul dorso d’un cavallo, pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Marcovaldo non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento; scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza» (Italo Calvino, Romanzi e racconti, Milano, Mondadori) .

Per Marcovaldo, la vita in campagna permette di seguire il ciclo delle stagioni, di amare la natura, di evitare il traffico e la frenesia della città: per questo egli pensa che sia meglio vivere in campagna piuttosto che in città.  Rispetto alla affermazione è meglio vivere in campagna piuttosto che in città esprimi la tua opinione e argomenta il tuo assenso o il tuo dissenso. Nel testo devi indicare una tesi di partenza, le ragioni o gli argomenti a sostegno della tua tesi e gli eventuali riferimenti a testi o autori che aiutino a sostenere questa tua tesi. 

L’argomentazione, invece, è figlia di un pensiero dialettico, deriva dalla dialogica orale, richiede la presenza fisica di più interlocutori con cui “duellare”, in memoria, cultura, astuzia, prontezza comunicativa, ma anche con onestà intellettuale. Messa per iscritto, l’argomentazione si spegne, perde di vivacità. Si pensi ai Dialoghi platonici. Ne viene fuori un Socrate capzioso, ostinato, balzano, privo di naturalezza. È questo quello che vogliamo che i nostri giovani creino? Fingere di aderire a una realtà che non è tale? Che è bolsa costruzione retorica? O peggio ancora è ipocrita difesa di valori non condivisi? Ciò che inquina alla base questo tipo di esercizio è la sottrazione della dinamica dialogica alla libera espressione delle proprie idee, anche perché, non dimentichiamolo, l’insegnante sta lì a valutare la prova finto libera con un voto, e quale voto: numerico!

E ora vediamo l’esercizio proposto, il numero 1 (il n. 2 è nominato ma non inserito). Il brano è tratto da I racconti di Marcovaldo di Italo Calvino. Nella traccia si svela in prima battuta l’atteggiamento di Marcovaldo, rendendo così del tutto superflua una lettura analitica del testo da parte dello studente. Perché questo? Forse per un aiuto interpretativo? Certamente no, si bruciano le tappe dell’analisi per passare subito alla finta dialettica tra città e campagna. Dialettica ci sarebbe stata se lo studente avesse potuto rispondere a un’altra traccia, del tipo: “Discuti con Marcovaldo sulle differenze tra città e campagna e difendi una tua scelta”, ma il compito sarebbe stato comunque costrittivo per lo studente, perché, per attivare la dialettica, lui avrebbe dovuto scegliere subito la città, in quanto a Marcovaldo piace la campagna… 


La Tipologia C 

La "Comprensione e sintesi di un testo letterario, divulgativo, scientifico, anche attraverso richieste di riformulazione", contiene tra gli  esempi di prove di Comprensione e sintesi un testo dal Diario notturno di Ennio Flaiano. Anche qui allo studente (delle "medie"!) si chiede di fare una doppia capriola: all’indietro, verso l’ amore quasi negativo per il viaggio dello scrittore (un anziano, impaurito dal tempo che passa), e poi, hop, con un colpo di reni spostarsi in avanti, sul proprio punto di vista.
Le consegne sono lambiccate: all’inizio, lo studente deve restituire il succo del testo, poi gli si chiede di immedesimarsi  nell’autore, giustificando il suo pensiero a partire da un input dato. La formulazione di questo input è poco rispettosa del testo e quindi potrebbe diventare fuorviante per uno studente perspicace. Infatti gli si scrive: “Il viaggiare mi fa capire che…” alterando il testo di Flaiano, che dice: “Per la verità non amo molto viaggiare”, una cosa ben diversa. Non sarebbe stato più semplice chiedere direttamente allo studente: “Perché all’autore ‘non piace molto viaggiare’? Rispondi utilizzando il più possibile le parole del testo.”

Ma ciò che mi sgomenta  è l’ultima attività, sempre su Flaiano: si chiede allo studente di sostituire alcune parole del testo, del tutto comprensibili, mantenendo il senso del testo. Questa pretesa è assurda e l’esercizio, spacciato per riscrittura, è senza senso. Se, per esempio, si sostituisse in Leopardi “ermo” con “solitario”, “vago” con “trascorrente nel cielo” e/o “ di incerta fisionomia” e/o “leggiadro”, “oblia” con “dimentica”, realizzando una parafrasi, da una parte sfigureremmo il testo, ma con una intenzionalità didattica: semplificare provvisoriamente il registro aulico del lessico per allenare lo studente a una sua graduale comprensione. Ma qui si chiede una sostituzione di parole a un testo dal registro medio. Con quale scopo? Lo vogliamo rispettare il senso del testo letterario, tanto evocato e altrettanto bistrattato?
Se chiedessi: cancellate la testa della Venere di Botticelli e metteteci quella della giornalaia di via Lorenzo il Magnifico, biondina e con gli occhi azzurri, riuscireste a mantenere il senso dell’opera? Certo che no, magari verrebbe fuori una figura dadaista, ma con tutt’altro senso.

Immagine


Ovviamente tutti i lettori avranno riconosciuto l'autore dell'aforisma ritratto nell'immagine a lato del testo, in quanto trattasi di autore assai frequentato nella scuola secondaria di primo grado, se non proprio nel triennio, almeno nelle raccomandazioni ministeriali per l'esame! [NdR]

Parole chiave: esami

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".

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