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13/10/2022

Educare o istruire: un falso dilemma di fronte alla guerra

di Mario Ambel

Su “La Stampa” dell’11 ottobre scorso, Massimo Recalcati, in un intervento dal titolo “Perché la scuola salva dalle bombe”, parlando del ruolo della Scuola (che non a caso scrive con la maiuscola) nelle attuali contingenze difficili della guerra, ripropone un dilemma antico. E nello svolgerlo attraversa molte questioni che riguardano anche la sostanza ultima dell’essere insegnanti, a partire da una domanda di fondo:

Il grande compito della Scuola, in un tempo traumatizzato come il nostro, consiste nel praticare attivamente un’etica della pluralità e dell’inclusione. Come? Educando o istruendo?

La domanda pone “ un dilemma al centro di un classico dibattito pedagogico”, tuttora ricorrente: la contrapposizione (quando non il conflitto) fra istruzione ed educazione, fra istruire ed educare. Giustamente Recalcati ricorda che le due tensioni opposte andrebbero entrambe superate perché c’è una parte di ragione in entrambe, ma soprattutto perché

 nella pratica viva della didattica educazione e istruzione non sono mai, in realtà, disgiungibili. Questo significa che nell’educazione c’è già istruzione come nell’istruzione c’è già educazione.

La questione è dibattuta da tempo: per esempio, Riccardo Massa, un  pedagogista dei cui insegnamenti abbiamo dovuto purtroppo far a meno troppo presto, ribadiva la necessità del superamento di questa contrapposizione e ammoniva sui rischi di un prevalere dell’uno sull’altro corno del dilemma [1].  

Eppure la contrapposizione ritorna periodicamente e di recente è riuscita a dis/orientare (o a distogliere) il dibattito su questioni cruciali, quali: il ruolo dell’extracurricolare e del terzo settore nella teorizzazione di mezzi efficaci contro la dispersione o sulla scuola diffusa o ancora sulla natura e il ruolo della comunità educante; o la congruità, l’efficacia della L. 92/219, che ha reintrodotto l’educazione civica. E la contrapposizione  è da sempre sottesa anche ai dibattiti sull’innalzamento dell’obbligo, sulla canalizzazione più o meno precoce, attorno al prevalere della formazione della persona e/o del cittadino (per alcuni) e/o del lavoratore (per altri), i cui destini futuri si modificano a partire dai 16 anni o più spesso, in virtù di una legge burla [2],
fin dall’orientamento messo in atto a partire dal secondo anno della scuola secondaria di I grado; o ancora, da ultimo, sulla natura e il ruolo di quelle che alcuni chiamano le “competenze non cognitive” o delle declinazioni di una spesso fantomatica “trasversalità”.
Come, del resto, è legittimo rilevare, che quella contrapposizione, se mantenuta tale, è ovviamente centrale nella alternativa fra scuola pubblica laica e scuola privata confessionale, separazione cui si è creduto o sperato di porre rimedio con l’invenzione della scuola “paritaria”.  
In questi confronti si consumano  differenze di non di poco conto, di priorità e indirizzi, anche tra chi sostiene di portare a sintesi le due ipotesi, proponendone visioni, nelle quali, però, finiscono col confrontarsi, di nuovo, le diverse soluzioni di istruire educando oppure di educare istruendo, dove l’infinito indica il fine ultimo e prioritario e spesso implicito e il gerundio il supporto progettuale, strumentale e ambientale.
Noi, per esempio, riteniamo che la scuola abbia il compito di affrontare la realtà con un taglio e priorità conoscitivi, interpretativi, problematici, critici (che si possono ascrivere all’istruzione) e che nel farlo essa miri comunque, ma implicitamente, a finalità etico-valoriali, come l’emancipazione di tutti e di ciascuno (che si può ascrivere all’educazione) [3] o, meglio, a perseguire, mentre si persegue l'acquisizione di un sapere critico, anche quelli che possiamo definire “abiti mentali” o ai diversi livelli di apprendimento teorizzati da Bateson e che attengono a principi fondanti dell’identità, oltre che della competenza (Baldacci [4]). Non pensiamo, invece,  a insegnare direttamente e in modo esplicito (men che meno dogmatico o catechistico, ancorché di un catechismo laico) i valori, l’etica, i comportamenti, mentre si consegue (come risultato complementare anche se importante), l’acquisizione di conoscenze, abilità, competenze disciplinari o più spesso professionali.

***

E allora  è certamente vero, come afferma Recalcati,  che per noi insegnanti la via maestra è

garantire la vita sempre plurale della parola.

Ciò comporta  l’educazione alla plurivocità, al multilinguismo, alla multicultura, alla pluralità delle storie culturali dei popoli  e delle origini, nel rispetto reciproco dentro la stessa classe, dentro lo stesso spazio di quell’apprendimento sintesi implicita e vitale di istruzione ed educazione, dove l’una non prevarica sull’altra assolutizzandosi. Ovvero è il rifiuto della presunzione autoritaria, ricorda ancora Recalcati, della “Torre di Babele” che sfida in verticale  il cielo, soprattutto quando lo fa in nome di un solo cielo.
Per fare questo, tra l’altro

L’educazione, […] nella vita della Scuola, non può essere una materia, una disciplina fra le altre, ma è sempre l’effetto di una didattica che sa coltivare insieme al proprio sapere la crescita collettiva di un gruppo e lo sviluppo delle particolarità di ciascuno.

Per noi, come gruppo redazionale che si è molto speso per contrastare la L. 92/219, questo concetto di educazione strettamente contessuto con l’istruzione vale anche, e anzi ancor più, a proposito della così detta “educazione civica”. Come abbiamo più volte e in modi diversi tentato di argomentare nelle nostre azioni di contrasto della legge, essa si è rivelata così maldestra - sia nella formulazione originaria sia nelle linee applicative della sua sperimentazione - da trasformare finalità e intenti di alto profilo di Cittadinanza, propri di una Scuola conforme alla Costituzione, in una pletora di azioni frammentarie e contraddittorie, per di più valutate in decimi. 

Ma nella frase sopracitata, come del resto in tutto il contributo di Recalcati, c’è anche il riconoscimento, per noi molto importante, della natura e della funzione della “didattica”, ancella spesso negletta e che sta invece in quel misto di essere insegnanti (come dicevano Don Milani e Pasolini [5] e ricorda spesso lo stesso Recalcati [6]) e contemporaneamente di predisporre ambienti e occasioni per fare scuola per tutti/e e per ciascuno/a (come dovrebbe indicare una buona ricerca culturale e didattica finalizzata all’apprendimento collaborativo ed emancipante).
Quanto spesso invece la scuola lo dimentica, ergendo i suoi saperi a verità assoluta, escludente e selettiva, con pratiche che inducono di conseguenza individualismo e competizione!

***

Sulla guerra, tema centrale del contributo di Recalcati, ovviamente, tutto è assai più complesso, tanto più ora. Raramente (o forse come accade tutte le volte che si apre e si consuma un conflitto letale) le ragioni della pace sono state così rinnegate dall’essere sconfitte in una ennesima guerra, forse peggiore delle precedenti. Forse mai come in questo caso (ma nelle guerre è spesso stato così), il diritto della difesa dalla violenza dell’aggressione illecita si è mescolato con la pretesa di estendere oltre il lecito le proprie ragioni.
Certo, per i doveri della Scuola e la sua "didattica", Recalcati ha ragione, delineando “il punto di massima convergenza fra istruzione ed educazione”:

C’è didattica formativa solo quando c’è lutto dell’idea totalitaria che esista una sola lingua e un solo popolo” […] Non c’è sapere che pretenda di essere il solo sapere come non c’è valore che pretenda di essere il solo valore. […] Non è un caso che in tutti i regimi totalitari la Scuola venga trasfigurata in una macchina di uniformazione, di plasmazione del pensiero e di eliminazione del difforme. È una tentazione che attraversa ogni ideologia: ritenere la propria visione del mondo superiore a quella rivale.

E vale per tutti e, per noi, a partire dalla messa in discussione del sapere e di alcune pratiche della democrazia occidentale, soprattutto se pretendono o accettano di essere esportati con le armi, così come quando si sono generate e rinforzate anche in virtù dell'oppressione di altri popoli; oppure dalla messa in discussione della visione tecnocratica ed economicistica, soprattutto quando si camuffano e assumono le parole dell’inclusione, dell'emancipazione e del bene comune, non per accoglierle, ma per trasfigurarle. 

Il compito democratico di ogni Scuola dovrebbe essere invece quello di mostrare la natura implicitamente autoritaria di questa tentazione riconoscendo nella pretesa di possedere la verità la forma più acuta di ignoranza.

Anche la scuola, per salvare dalle bombe, non può brandire verità assolute ed ergersi a giudice e vindice,  ma, purtroppo,  può tenerci lontani dalle bombe solo o soprattutto prima che si scatenino i conflitti, seminando davvero i germi del rifiuto di ogni tipo di assolutismo e di prevaricazione e delle guerre che ne conseguono e non già i preparativi della prossima. Mentre le bombe scoppiano e la gente muore è assai difficile ritrovare la via e il senso della pace, che spesso comporta la perdita e la sconfitta, la rinuncia e la vergogna da parte di tutti.

Note

1. R. Massa, Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, Roma-Bari 1997.
2. D. L. 104/13 convertito nella L. 128/13.
3. "
La scuola educa istruendo": vedi Cidi Torino, "Partire dal senso della scuola", Documento, 2020.
4. M. Baldacci, Per un'idea di scuola. Istruzione, lavoro e democrazia, F. Angeli, Milano, 2014; M. Baldacci, La scuola al bivio. Mercato o democrazia?, Franco Angeli, Milano, 2019; vedi anche "Parole di (r)esistenza: Cittadinanza", a cura di "insegnare", articolo e video , 5.05.2022.
5. V. Roghi, La lettera sovversiva, Laterza, Bari, 2017; A. Palmieri e A. Tredicine, a cura di, Per una pedagogia emancipante. Pasolini con rustic amóur, Guida editore, Napoli, 2022.
6. M. Recalcati, L'ora di lezione, Einaudi, Torino, 2014.

Credits


Immagine a lato del titolo:  © insegnare, s.a., 2016.

Per le azioni e le proposte di "insegnare" sull'educazione alla cittadinanza

M. Ambel, a cura di, Una ascuola per la cittadinanza, 2 voll., PM edizioni, Varazze, 2021.

Una scuola per la cittadinanza, sulla rivista in rete: contributi, strumenti per la consultazione dei volumi, video delle iniziative di formazione.

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".

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