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29/02/2016

Solo gli insegnanti possono

di Franca Manuele

Queste riflessioni sono nate in margine al fertile incontro di alcuni insegnanti con l'autrice di Non avevo sei anni ed ero già in guerra. La presentazione del libro autobiografico di Tilde Giani Gallino ha infatti offerto l’occasione di confrontare guerre e comportamenti di bambini coinvolti con il problema educativo di minori che approdano alle nostre scuole portandosi il bagaglio di orrore degli attuali conflitti.

La bambina protagonista del libro vive un’infanzia in guerra, la città sotto attacco, le sirene “segni sonori di pericolo nella notte”, i rifugi soffocanti ma nulla è paragonabile alle guerre di oggi, dice l’autrice. La sua esperienza richiama comunque situazioni del presente: i bombardamenti degli alleati sulla città occupata dai tedeschi sono quelli che la devastano e la bambina si chiede come i liberatori possano portare morte. Così nei territori tormentati dalle guerre “asimmetriche” i bombardamenti uccidono civili delle zone che si intendono liberare.

I bambini che fuggono dalle guerre hanno negli occhi traversie per noi inimmaginabili ma, arrivati nelle nostre classi, si mimetizzano, nascondono il proprio disagio perché intravedono la possibilità di una vita normale e non vogliono rinunciarvi. Un’inchiesta riferita da una maestra presente al dibattito riporta un dato molto interessante a questo proposito: alla richiesta di indicare quale futuro i bambini desiderino per sé, gli stranieri (immigrati) rispondono: una vita normale, una casa, un lavoro, dei figli, mentre gli italiani vogliono viaggiare.

Il disagio latente non si può ignorare perché crea disadattamento e sofferenza. E si può recuperare con esperienze in cui il bambino si trova in una condizione paritaria con i propri compagni, afferma un’altra maestra. Insegnamenti non convenzionali, come la musica, “la classe come un’orchestra”, dove tutti hanno il loro posto, nessuno escluso, possono facilitare il racconto delle storie di ciascuno e insegnare a chi vive una vita normale quel che normale non è, come le guerre così vicine, eppure solo avvertite come virtuali.

Tilde Giani Gallino, autrice di Non avevo sei anni ed ero già in guerra, è stata ordinario di Psicologia dello Sviluppo nell’Università di Torino, si è occupata per tutta la vita (almeno per quella accademica e professionale) della psiche dei bambini.
Il suo è un libro autobiografico, dove la narrazione attenta alla spontaneità infantile si intreccia con la riflessione sui ricordi stessi, per separare e ricomporre lo sguardo del bambino da quello dell’adulto.
La guerra è la dimensione in cui si muove la protagonista: dalla dichiarazione del giugno 1940, alle bombe su Torino, allo sfollamento,. alla Liberazione. In questo arco temporale avviene il suo passaggio da un’infanzia felice e protetta, alla perdita e allo sradicamento.
E’ interessante sottolineare il racconto che Tilde fa dello sfollamento: un’esperienza negativa, di spaesamento, piuttosto che un incontro con la natura e la libertà dei giochi di coetanei.
Attraverso la guerra Tilde ragiona e paragona il suo mondo con quello degli adulti, fino a ritrovarsi sola, a guerra finita, su una strada di campagna, per raggiungere i genitori, “Da bambina iperprotetta, adesso ero (in un certo senso, finalmente) padrona di me stessa, ma in una situazione di assoluta precarietà, su una strada dove non ero mai stata.”

I bambini, nella storiografia, compaiono più come categoria, e spesso si tratta di bambini in condizioni estreme di sofferenza, povertà, oppressione. Non parlano e non scrivono di sé e nessuno si aspetta che lo facciano (Anne Frank è un’eccezione). Invece in questo libro troviamo l’esperienza di una bambina relativamente privilegiata per condizione familiare, censo,ambiente culturale che racconta quel che le succede, che agisce piuttosto che subire, osserva e ragiona sulla sua infanzia “rubata” e il suo mondo andato in pezzi.
Tilde soffre per tutto questo, ma la sua è una storia in cui le difficoltà materiali, pur forti, non sono schiaccianti come in altre situazioni, e questo ci consente di comparare le diverse esperienze.
L’assenza dell’abbrutimento da fame freddo paura forse può aiutarci a vedere la guerra nella sua violenza strutturale, in cui possono mancare le pressioni materiali, ma la distruttività colpisce comunque. (f.m.)

La condivisione delle esperienze è così importante se si tiene conto che l’infanzia e l’adolescenza, fa notare  Tilde Giani Gallino, sono età in cui i bambini sono aperti a mondi differenti, non hanno pregiudizi che vengono da abitudini cristallizzate, prerogativa degli adulti, e questa predisposizione permette di imparare a ragionare e non giudicare. Modelli valoriali possono essere confrontati, e se i bambini vivono a scuola esperienze di parità di genere, essi possono discostarsi dall’educazione sessuale impartita dalle famiglie.

Ancora la professoressa sottolinea il ruolo decisivo della scuola primaria, dove i giochi non sono ancora fatti. Superata l’adolescenza, si va verso l’assunzione tradizionale di comportamenti trasmessi per consuetudine dalla famiglia.
Se questo vale per tutti i bambini, possiamo comprendere l’importanza che assume la scuola per coloro che vengono da culture differenti, con conflitti esplosivi in particolare sulla differenza di genere.

Tilde Giani ricorda che nel paese in cui era sfollata, negli anni ’40, i maschi erano violenti, le femmine sottomesse, ma solo apparentemente, perché si fingevano meno brave a scuola, per non incorrere negli scherzi pesanti dei maschi che non tolleravano di essere surclassati.
Oggi, a scuola, le femmine sono, in genere, più studiose, e con successo, e questo è un dato acquisito. Il bambino di cultura musulmana "deve" guardare con sospetto bambine che si propongono come pari, ma se fa esperienza di questa condizione  può acquisire un comportamento diverso dalla cultura famigliare.
Questo dato, di cui sono consapevoli le maestre, carica di un’enorme responsabilità la scuola, che meriterebbe di essere aiutata come non avviene. Solo la scuola può creare la condizione di un’integrazione possibile, portare alla luce conflitti come quello del bambino che non vuol parlare con la maestra perché femmina e del padre che lo rafforza con il suo esempio.

La parità di  genere, così importante e fondante per una società non violenta, la si impara a scuola nella prima età: questo è stato il messaggio più incisivo che Tilde Gallino ha lasciato nell’incontro. E la partecipazione al dibattito così calda e coinvolgente è sottolineata dalla lettera che insegnare ha ricevuto e pubblicato nell'ultimo editoriale, a testimoniare la necessità di un dibattito che costruisca la "buona scuola"  non nelle leggi ma nei comportamenti.

E  questo è di conforto.

Tilde Giani Gallino, Non avevo sei anni ed ero già in guerra, Milano, Feltrinelli, 2016, pagg. 208, euro 22,00.

Scrive...

Franca Manuele Ha insegnato italiano e storia nelle scuole secondarie di II grado, componente del Direttivo del Cidi Torino.

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