I dati
Negli ultimi anni numerosi e seri studi e ricerche di autorevoli Enti (Istat, Banca d’Italia, Charitas, Save the Children, Unicef, ecc.) ci presentano i dati allarmanti sulla situazione di disagio economico, sociale educativo in cui vive e “cresce” una sempre più grossa fetta di bambini e adolescenti in Italia. Tuttavia, anche se la povertà dei bambini dovrebbe fare scandalo, poco o nulla di tutto ciò “buca” l’indifferenza generale e, oltre a non avere share, l’infanzia resta, come sempre, assente dall’agenda politica italiana.
Si potrebbe pensare che la “distrazione” avvenga a causa della grave e difficile congiuntura politica ed economica in cui versa il nostro Paese, ma sappiamo che non è così. Non possiamo ignorare, infatti, che l’Italia è un paese impoverito che, anche quando si percepiva ricco, aveva consolidate sacche di povertà, forti sperequazioni territoriali (Nord/Sud del paese, centro/periferie), bassi livelli di istruzione, alto tasso di dispersione scolastica, e così via.
La crisi economica (che dal 2007/2008 è andata crescendo per estensione e intensità fino a intaccare il “ceto medio” con la crisi del lavoro espressa dal profilo del “povero”-precario- saltuario-assente, con la crisi dello “stato sociale”/welfare) amplifica le marginalità e le disuguaglianze che tuttavia discendono da anni di politiche disattente ai diritti[1] e ai bisogni dei bambini e degli adolescenti. (cfr le quote di Pil destinate all’infanzia, alla scuola pubblica).
Nel IV Atlante L’ITALIA sottoSopra, a cura di Save the Children, presentato nel dicembre 2013, sono le cifre a parlare:
Sempre nello stesso Atlante, con gli ultimi dati Istat troviamo la riconferma, aggravata nelle percentuali, di dati già noti. Il profilo dei minori in situazione di povertà (sia relativa che assoluta) si conferma sempre lo stesso, solo aggravato nelle percentuali di incidenza. Si tratta di minori che per la maggior parte vive nel meridione e nelle isole; i più esposti al rischio povertà hanno fratelli (2 figli tasso di povertà +4,2%; 3 figli +6,2%); oppure vivono in famiglie sostenute da un solo reddito o composte da un genitore soltanto (madri sole o separate); o in famiglie con una coppia giovane di genitori -al di sotto dei 35 anni- (nel 2012 aumento della povertà di + 2,8%) poiché più colpite dal calo del lavoro e più soggette ad un lavoro povero-precario-saltuario…
Il rischio di povertà ha picchi ancora più elevati se la famiglia è “migrante”. Preciso che questi dati non menzionano i “figli dei campi” cioè i ROM, né i minori “ospitati” nei CIE o nei campi profughi ecc., che spesso vivono in condizioni sub/dis-umane, perché la specificità della loro condizione è presentata in altri tipi di indagini. Va però ricordato che anche questi bambini/adolescenti sono portatori di diritti al pari dei minori per jus sanguinis italiani [2].
Le implicazioni per la scuola
Se tutti questi dati ci dovrebbero mobilitare come cittadini, a maggior ragione dovrebbero attivare la nostra sensibilità e riflessione come insegnanti e per una serie di buoni motivi.
Il primo motivo è dato dal fatto che la povertà in tutti i suoi molteplici aspetti (materiale, culturale, relazionale) si riflette ovviamente sulla scuola pubblica lasciata “sola” (leggasi affidata alla professionalità e alla buona volontà degli insegnanti) oltre che pesantemente deprivata di risorse umane e finanziarie da una politica di dis-investimenti e tagli, “sola” a tentare di dare risposte, a cercare di corrispondere alla mission educativa e far raggiungere il successo formativo a tutti.
Un altro motivo è dato dal fatto che, i neuro-scienziati, non solo gli esperti di scienze dell’educazione, ci dicono che la frequenza di servizi educativi di qualità nell’infanzia, soprattutto primissima (0- 3 anni), può portare vantaggi dovuti all’interazione tra coetanei e con adulti professionisti, poiché lo sviluppo cognitivo, linguistico, emozionale e sociale dei bambini può migliorare e gli effetti possono essere duraturi. Ciò vale per tutti, e in modo particolare per i minori che vivono in un ambiente disagiato e per i bambini “migranti”, per i quali i servizi educativi di buona qualità possono favorire l’integrazione e l’apprendimento della lingua italiana e ridurre lo svantaggio all’ingresso nel sistema di istruzione formale. Ma questi servizi in Italia raggiungono appena il 17% (con alcune regioni vicino al 30% e altre al 3%), sono per di più in lieve flessione, restano ben lontani dal 33% che è l’obiettivo di Lisbona per il 2020. Per gli stessi motivi dovremmo preoccuparci del calo di frequenze alla scuola dell’Infanzia (3-6 anni), scuola che, pur non essendo obbligatoria, registrava, oltre all’alto modello pedagogico, una frequenza superiore al 90%.
Un altro motivo ancora è rappresentato dai dati della dispersione scolastica. Si legge ancora nell’Atlante L’ITALIA sottoSopra: “Nel quinquennio 2002-2007 la percentuale di giovani con un basso livello di istruzione si era ridotta di 4,5 punti in percentuale, quasi un punto all’anno; dal 2007 al 2012 i cosiddetti "Early School Leavers" fermi alla sola licenza media hanno preso a scendere al ritmo ben più lento dello 0,4%, passando in 5 anni dal 19,7% all’attuale 17,6% per un esercito di 758 mila giovani con bassi titoli di studio, e fuori dal circuito formativo: 5 punti percentuali in più della media europea e quasi 8 di distanza dagli Obiettivi di Lisbona.” E ancora: “Secondo l’Ocse soltanto 1 giovane su 10 tra i 25 e 34 anni con genitori che non hanno completato la scuola secondaria superiore ottiene il diploma universitario (la media Ocse è del 20%) e quasi 1 giovane su 2 (il 44%) non consegue a sua volta il diploma. In un paese caratterizzato da una ridotta mobilità sociale (anche tra le giovani generazioni la partecipazione all’istruzione secondaria superiore e post-secondaria e il successo scolastico variano significativamente tra le diversi classi), “il titolo di studio dei genitori - conferma l’Istat con abbondanza di dati - è elemento fondamentale nel percorso di istruzione dei figli per tutte le classi sociali”.
Sempre lo stesso Atlante ricorda i dati forniti dall'Invalsi nel 2013, che offrono una stima dell’effetto dello status socioeconomico-culturale (ESCS) a livello aggregato di classe per uno studente tipo del Lazio: “un incremento di un punto dell’indicatore di status medio della classe si associa a variazioni positive del punteggio di italiano e matematica, di oltre 13 punti nella scuola secondaria di primo grado e di oltre 15 nella secondaria di secondo grado. Nella scuola primaria, invece, si riscontra un incremento di oltre 10 punti in italiano e di oltre 7 in matematica”.
Bisogna anche segnalare che “il fenomeno della dispersione scolastica continua a colpire maggiormente i figli degli immigrati rispetto a quelli italiani. Nella scuola secondaria di I grado, la percentuale di alunni di origine straniera a “rischio di abbandono” è tre volte più alta rispetto a quella degli alunni con cittadinanza italiana (0,49% contro 0,17%, in percentuale degli iscritti nell’anno scolastico 2011/2012) mentre il dislivello è più che doppio nella scuola secondaria di II grado (2,43% rispetto all’1,16% degli italiani). L’85% degli alunni di cittadinanza straniera “a rischio” è formato da bambini e adolescenti nati all’estero e ricongiunti in Italia, mentre gli alunni di origine straniera nati in Italia – le famose seconde generazioni – incontrano minori difficoltà nel percorso di studi e mostrano crescenti livelli di integrazione, come confermano anche i test Invalsi sui livelli di apprendimento".
Ancora un’ultima segnalazione per completare il desolante quadro: i ragazzi “nomadi” per i quali lo stesso MIUR dice, riferito all’a.s. 2010-11: “la scolarizzazione dei Rom presenta, alcuni nodi problematici specifici, esasperati dalle condizioni di povertà ancora assai diffuse e dall’emergenza abitativa che contraddistingue molte famiglie, e dagli stereotipi negativi diffusissimi nella percezione dell’opinione pubblica. Tali nodi si possono sintetizzare in una serie di elementi “tipici” della scolarizzazione Rom: ….”. Fra questi il MIUR cita espressamente:
Il dato pur non essendo aggiornato è significativo e, di certo, non è stata la politica degli sgomberi a migliorare la condizione di questi ragazzi.
Raffaela Milano, Direttore del Programma Italia -EU Save the Children, nelle "Conclusioni" dell’Atlante scrive “Manca ancora, probabilmente, una piena cognizione della posta in gioco e dell’entità del danno che l’inerzia sta infliggendo alle biografie dei singoli così come alla comunità nazionale nel suo complesso. Speriamo che la lettura dell’Atlante possa contribuire ad una crescita di consapevolezza dei rischi e delle opportunità che oggi abbiamo davanti.”
Non possiamo che condividere le sue parole auspicando che i bambini e gli adolescenti compaiano finalmente nell’Agenda della politica italiana e che alla scuola pubblica venga finalmente riconosciuta quella “centralità” che sempre le si attribuisce a parole, ma le si nega nei fatti.
[1] Vedi Assemblea ONU, a cura di, Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza , 20 novembre 1989; ratificata dall'Italia con la Legge n. 176 maggio 1991.
[2] Cfr. Assemblea ONU, citata.
Il testo integrale dell' Atlante l'ITALIA SottoSopra è scaricabile a questa pagina di Save the Children-Italia; dalla stessa fonte sono tratte le due "mappe".
Per le immagini credit: Foto Francesca Leonardi per Save the Children.
Il video "Bambini italiani a rischio di alto tasso di povertà infantile.flv", a cura di AGSCOSMO è tratto da www.youtube.com