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18/01/2014

I benefici della scolarizzazione dell'infanzia

di Antonella Bruzzo

Pierino, 4 anni, è abituato ad avere tutto subito, sembra sicuro di sé, a volte quasi arrogante, di fronte a una minima frustrazione, a un “no”, va in tilt urla, piange , tira oggetti e non è facile calmarlo. Rosina, 3 anni, sta in un angolo gioca sempre sola con dei pupazzi, non parla, sembra evitare il contatto con gli altri, ha paura dei bambini, quando qualcuno le si avvicina sembra terrorizzata; prima di frequentare una scuola dell’infanzia è stata sempre con la mamma o la nonna, non ha mai avuto occasioni di incontro con coetanei. Simone, 3 anni, ha un linguaggio ricco, parla molto, parla continuamente per richiamare l’attenzione su di sé, se si trova a dover fare un gesto minimo da solo, tipo lavarsi le mani, ecc. è disorientato e diventa ansioso. Samir, 5 anni, è molto autonomo nei gesti di vita quotidiana, ripete di continuo frasi ascoltate alla tv, è arrivato da poco in Italia con la sua famiglia, fuggiti da un paese devastato dalla guerra. Mattia, 4 anni, spesso morde e picchia gli altri, per il possesso di un gioco, per dividere uno spazio o anche solo perché se li trova vicini; a casa passa molto tempo solo davanti ai videogiochi. Stefania, 5 anni quando parla urla; quando si è seduti insieme in cerchio e ci si racconta vissuti e storie, vuole sempre parlare lei e si arrabbia, quando non è assecondata… questo elenco potrebbe continuare a lungo.

In questi anni m’è capitato spesso di scambiare e condividere con altre insegnanti alcune considerazioni: la rapidità dei cambiamenti, le trasformazioni che hanno riguardato e riguardano i contesti sociali (la molteplicità delle sollecitazioni, la frettolosità, i tempi contratti, il contatto con mass media e nuove tecnologie, la prevalenza, a volte, della dimensione “virtuale” su quella “fisica”, la globalizzazione, le migrazioni, la crisi, l’aumento della povertà, ecc.) hanno modificato i modi del vivere e del crescere di bambini/e, rendendoli, per certi aspetti, più difficili e complicati: bambini che, in alcuni casi, hanno più cose, che, a volte, sanno più cose, ma che spesso sono più fragili, meno ascoltati nei loro bisogni profondi, meno “contenuti”, che hanno sentito pochi o nessuno di quei “no” che aiutano a crescere; d’altro canto, bambini provenienti da situazioni di povertà, a cui, in alcuni casi, è stato addirittura negato l’accesso alla mensa scolastica, perché i genitori non potevano pagare la retta, bambini che, se non hanno frequentato l’asilo nido, spesso arrivano alla scuola dell’infanzia avendo avuto pochissime e solo sporadiche occasioni di incontro con i coetanei, bambini cui è stato impedito lo sperimentare con le mani, il correre, lo sporcarsi, bambini che sono stati deprivati di stimoli importanti per crescere, bambini provenienti da storie famigliari complicate o socio-culturalmente svantaggiate, bambini i cui diritti spesso sono calpestati e negati. Eppure è ormai acquisita l’importanza cruciale dei primi anni di scolarizzazione, fondamentali nel percorso di vita, nella costruzione della propria identità, anni basilari in cui attraverso le esperienze vissute si costruiscono appunto le basi per gli apprendimenti successivi, in cui si attivano competenze da sviluppare gradualmente, per poter ciascuno realizzare al meglio le proprie potenzialità e diventare quindi cittadino attivo e consapevole.

L’ECEC in un recente suo rapporto (Early Childhood Education and Care, nella versione italiana Educazione e cura della prima infanzia: consentire a tutti i bambini di affacciarsi al mondo di domani nelle condizioni migliori, Comunicazione della Commissione europea del 17.02.2011) sottolinea proprio questa prospettiva. È interessante come all’interno della Comunicazione si ripercorra la progressiva evoluzione della rappresentazione dell’infanzia nella cultura occidentale e si ribadisca il riconoscimento, relativamente recente, dell’importanza dell’educazione di questa prima fase della vita, grazie allo sviluppo della ricerca e degli studi nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva e della pedagogia.

Fino al XVIII secolo i bambini e le bambine, soprattutto al di sotto dei 6-7 anni contavano poco o niente, la medicina non si occupava di loro, (tant’è vero che la pediatria nascerà solo alla fine del XIX secolo), tanto meno si occupava di loro la pedagogia, bambini e bambine non erano considerati soggetti portatori di bisogni educativi, di diritti, di cultura. È con Rousseau che inizia a cambiare la prospettiva; egli scriveva nell’Émile: “L’educazione inizia con la vita” e inoltre “La prima educazione è quella più importante”. Ci volle però altro tempo perché fosse davvero compresa, nel XX secolo, l’importanza cruciale dello sviluppo psicologico sia negli aspetti cognitivi che affettivi di un bambino dalla nascita ai sei anni.

Mi piace qui riportare alcuni spezzoni da Il diritto del bambino al rispetto scritto nel 1929 da Janusz Korczak e recentemente riedito dalle Edizioni dell'Asino: “È come se esistessero due vite: l’una, seria, rispettata, l’altra inferiore, sebbene tollerata con indulgenza. Diciamo: il futuro uomo, il futuro lavoratore,il futuro cittadino. Questo vuol dire che la vera vita, le cose serie cominceranno per loro solo più tardi, in un lontano avvenire… Ebbene no, poiché i bambini sono stati e saranno sempre… I bambini costituiscono una percentuale importante dell’umanità, delle sue genti, popoli e nazioni, in quanto abitanti, concittadini nostri, nostri compagni di sempre. ..Nella Parigi del secolo XVII, si vendevano i bambini ai mendicanti e sul sagrato di Nôtre Dame, ci si sbarazzava di quelli piccoli, senza chiedere nulla in cambio. Non sono cose poi tanto lontane. Ancora oggi ne vengono abbandonati quando sono di troppo. Il numero di bambini illegittimi, abbandonati, trascurati, sfruttati, depravati, maltrattati aumenta di giorno in giorno. Certo sono protetti dalla legge, ma lo sono sufficientemente?... Facciamo un bilancio: qual è la parte del reddito globale che dovrebbe spettare legalmente al bambino e non come elemosina? Verifichiamo in modo onesto i nostri conti, per vedere quello che mettiamo a disposizione del popolo infantile… A quanto cresce il nostro patrimonio? Com’è stato suddiviso? Non li abbiamo forse diseredati, noi, tutori disonesti? Non li abbiamo forse espropriati?”

Colpisce l’attualità delle sue considerazioni e degli interrogativi.

Ma c’è un dato molto più recente che dice molto sulla considerazione attuale dell’infanzia nel mondo, sulle condizioni di estrema disuguaglianza in cui crescono bambini e bambine, sui molti passi da fare per migliorare queste condizioni.
Il nuovo rapporto dell'Unicef,  Every child's birth right: inequities and trends in birth registration dello scorso 11 dicembre 2013, rivela che, nel mondo, tra i bambini sotto i cinque anni, uno su tre non è stato registrato alla nascita, il che significa circa 230 milioni di bambini nel mondo. La non registrazione ha ricadute pesanti sul loro futuro e crea disuguaglianza, come ben sottolineato nel primo capitolo del rapporto: «Il nome e la nazionalità sono diritti di tutti i bambini, sanciti nella Convenzione Onu sui diritti del fanciullo e in altri documenti internazionali. Ciononostante, le nascite di circa 230 milioni di bambini sotto i cinque anni non sono state mai registrate. Questa carenza di verifiche formali da parte dello Stato di solito si traduce nell'impossibilità, per il minore, di ottenere un certificato di nascita. Di conseguenza, a quel bambino o a quella bambina possono essere negate le cure mediche o l'istruzione».

La situazione in Italia
Riportando la sguardo all’Italia, allarmanti sono i dati sulla povertà riportati dalla IV edizione dell' Atlante sull’infanzia (a rischio) a cura di “Save the children”, dicembre 2013: dal 2007 al 2012 i minori in povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da meno di 500 mila a più di un milione; nel 2012, il loro numero è cresciuto del 30 per cento rispetto all’anno precedente. I bambini che non hanno il necessario per una vita dignitosa sono i figli di genitori disoccupati, oppure di famiglie monoreddito, o ancora bambini i cui genitori hanno un livello d'istruzione basso. Questa situazione rende tanto più evidente l’urgenza di scelte politiche mirate a garantire a tutti i bambini il diritto a frequentare fin da molto piccoli un servizio di qualità. (v. il già nominato ECEC).

Cosa rivelano i dati riguardo ai servizi per la prima infanzia (0-3 anni) in Italia?
I dati ISTAT ci dicono che:

  • Nel 2011/2012 i bambini di età tra zero e due anni compiuti, iscritti agli asili nido comunali sono 155.404; altri 46.161 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai Comuni. In tutto sono 201.565 gli utenti complessivi dell'offerta pubblica. È interessante osservare che comprendendo nel computo anche i servizi integrativi (v. nido famigliare, ecc.), si è passati dai 234.703 posti del 2008 ai 287.662 del 2012, per una percentuale di copertura che è salita dal 14,8% al 19,7 %.

  • C’è, però, una disparità nella possibilità d’accesso a un nido o a un servizio integrativo tra bambini che vivono nelle regioni del Centro-Nord e in quelle del Mezzogiorno; nel Centro-Nord il tasso di copertura oscilla tra il 20 e il 23%, mentre nel Mezzogiorno si attesta su una percentuale di poco più dell’8%.

  • A fronte di questo dato, nelle regioni meridionali i bambini iscritti in anticipo in una scuola dell’infanzia sono il 9%, mentre nel centro-nord superano di poco il 3%, rispetto alla media nazionale che si aggira intorno al 5%.

  • Ma il dato che preoccupa è il seguente: se negli anni dal 2008 al 2012 c’è stato un incremento da parte dei Comuni nella spesa destinata a creare e sostenere i servizi per la prima infanzia, con la crisi economica, nel 2012/2013 s’è verificato uno stallo, se non proprio una flessione negativa.

  • Inoltre c’è da considerare che parecchie famiglie hanno difficoltà a pagare le rette anche di un servizio pubblico.

Per quanto riguarda le scuole dell’infanzia il tasso di copertura è molto più alto attestandosi sul 97% e non si verifica la stessa disparità tra regioni. Vi sono, però, alcuni segnali preoccupanti già riportati in un mio articolo precedente: “La scuola dell’infanzia tra realtà e progetto” (insegnare, n. 4/5, 2012) e che di seguito sintetizzo: la ricomparsa delle liste d’attesa in alcuni comuni, l’impossibilità da parte di alcuni Enti Locali di sostituire gli insegnanti che vanno in pensione, l’aumento dei costi e delle rette per servizi quali: la mensa, lo scuolabus, la pre-accoglienza, la diminuzione delle risorse destinate alle sezioni primavera.

Annamaria Palmieri nel suo interessante articolo  su questa rivista “Le scelte obbligate” porta una testimonianza importante su come possono essere sostenute scelte che, malgrado i tempi di profonda crisi economica, vanno nel senso di una oculata e attenta politica per l’infanzia.

Credo necessario un disegno politico di respiro ampio che miri a sostenere, potenziare e diffondere servizi, nidi e scuole in tutte le regioni, con grande attenzione alla qualità di tali contesti. Si tratta di ambienti che è fondamentale siano predisposti in modo intenzionale e mirato, dove gli adulti non si sostituiscono ai bambini, né tanto meno trasmettono saperi, conoscenze, abilità, ma li sostengono nella loro progressiva acquisizione di autonomia, e attraverso un’attenta regia educativa predispongono situazioni che favoriscono lo sviluppo, la motivazione ad apprendere e i delicati processi di crescita di ognuno, contesti in cui Pierino, Rosina, Simone, Samir, Mattia, Stefania… con le loro storie, le loro competenze, i loro bisogni individuali di educazione, cura, apprendimento, siano accolti e siano messi nelle condizioni di giocare, incontrarsi, esplorare, sperimentare, pasticciare, esprimersi, scoprire, ecc. É indispensabile in questa prospettiva che gli adulti che si prendono cura di bambini abbiano una buona formazione di base e la possibilità di lavorare in formazione permanente.

In diversi Paesi europei il segmento 0-6 anni è un sistema integrato e la formazione del personale educativo è unica. In Italia i percorsi formativi di educatori e insegnanti sono molto diversificati0 , esistono in alcune realtà percorsi in continuità tra asili nido e scuole dell’infanzia, ma non si tratta di situazioni generalizzate. Sarebbe interessante riflettere su un possibile sistema integrato 0-6, su momenti di formazione comune, su modalità idonee a creare le condizioni migliori per accogliere e favorire la crescita e l’educazione di bambini e bambine nella complessità della situazione in cui tutti e tutte siamo immersi.
 


Immagine tratta da Every child's birth right: inequities and trends in birth registration.

 

 

Scrive...

Antonella Bruzzo Docente di scuola dell'infanzia, Presidente del Cidi della Carnia.

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