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13/06/2014

Principi in bilico

di Mario Ambel

Per ricordare Enrico Berlinguer, ci limiteremo dunque a chiederci e a cercare di ricordare che cosa pensasse di alcuni temi che ancora occupano i nostri pensieri e le nostre preoccupazioni. O a chiederci che cosa pensava o avrebbe pensato di parole-concetto che oggi hanno in parte inquinato e travolto il pensiero pedagogico e politico della sinistra italiana, per esempio “merito” o “capitale umano”.

Democrazia, educazione e tecnologia
In “Orwell, il computer, il futuro della democrazia”, intervista a L’Unità raccolta da Ferdinando Adornato il 1° dicembre 1983, [1] Berlinguer parla dell’impatto della trasformazione delle comunicazioni di massa sulla vita e sulla politica.
Gli chiede Adornato: “L’elettronica non spezzerà il circuito della partecipazione?” Ed egli risponde: “Certo si può immaginare un mondo nel quale la politica si riduca solo al voto e ai sondaggi; ma questo sarebbe inaccettabile perché significherebbe stravolgere l’essenza della vita democratica…”

E ancora Adornato: “… già si parla di «democrazia elettronica»: la gente risponde da casa ai quesiti posti sul video dall’amministrazione…”. E Berlinguer: “La democrazia elettronica limitata ad alcuni aspetti della vita associata dell’uomo può anche essere presa in considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca tutte le forme della vita democratica. Anzi credo che bisogna preoccuparsi di essere pronti ad affrontare questo pericolo anche sul terreno legislativo. Ci vogliono limiti precisi all’uso dei computer come alternativa alle assemblee elettive. Tra l’altro non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l’unica forma di espressione democratica diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni modo lo ripeto: io credo che nessuno mai riuscirà a reprimere la naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi. Ogni epoca, certo, avrà i suoi movimenti, e le sue associazioni.”

L'allarme era giustificato: come stia andando a finire la democrazia mediatica lo stiamo vivendo. E il problema non è indifferente per la scuola. Anche in quell'intervista, infatti, il discorso scivolò inevitabilmente sul futuro della conoscenza e dell’educazione. Dice Berlinguer, per mettere in guardia da atteggiamenti intellettualisticamente elitari: “Prendiamo l’esempio della scuola e del libro: naturalmente io adesso sosterrei che la lettura del libro è insostituibile e anzi deve diventare ancora più importante. E sosterrei la stessa cosa per la scuola, naturalmente una scuola molto rinnovata. Però, anche qui io non mi sento di fare affermazioni assolute”.
“Insomma la tecnologia non distruggerà l’individuo?” chiede ancora Adornato. E la risposta non può che essere questa: “Nessuna epoca ha mai raggiunto la realizzazione dell’individuo, della maggioranza degli individui. Nel passato moltissimi individui erano “distrutti” non solo su piano morale ma anche sul piano fisico…”. E sappiamo quanto ancora ci stiamo lavorando, quanta strada ci sia ancora da fare... E quanto, oggi come allora, dipenda dalla capacità della scuola e dell'educazione di accompagnare e sostenere i processi di riscatto.

Il merito
Di “merito” invece Enrico Berlinguer parla nella famosa intervista a Eugenio Scalfari del 28 luglio del 1981 sulla “Questione morale” [2] di cui tanto si è nuovamente detto in questi giorni. Alla richiesta di Scalfari di spiegare in che cosa consista la presunta “diversità” morale dei comunisti, Berlinguer elenca tre convinzioni.

La prima è la necessità “che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni”.

La seconda riguarda appunto il “merito” e si esprime in un passaggio citato recentemente più volte e spesso a sproposito dai fautori odierni della meritocrazia: “Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata”.

La terza diversità riguarda una questione più generale: “Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza”.

Anche il riferimento al merito va dunque inquadrato in una visione più ampia e soprattutto ricondotto alla sua dimensione costituzionale sancita dall’art. 34 della Costituzione in ottica di perequazione sociale e non certo di competizione individualistica: "I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto  a raggiungere i gradi più alti degli studi". Questa idea del merito come antitesi al privilegio di cui questo paese è da sempre magister... nulla ha a chefare con la difesa del merito come criterio premiale con cui ci infestano i pensieri soprattutto coloro che si affannano a legittimare una via di sinistra alla meritocrazia.

Per misurare la distanza fra le diverse applicazioni del concetto di merito alla scuola, basta, da un lato, rileggere che cosa affermò al riguardo il costituente on. Meuccio Ruini: "Uno dei punti al quale l'Italia deve tenere è che nella sua Costituzione, come in nessun altra, sia accentuato l'impegno di aprire ai capaci e meritevoli, anche se poveri, i gradi più alti di istruzione. Alla realizzazione di questo impegno occorreranno grandi stanziamenti; ma non si deve esitare; si tratta di una delle forme più significative per riconoscere un diritto della persona, per utilizzare a vantaggio della società forze che resterebbero latenti e perdute, di attuare una vera e integrale democrazia". E dall’altro, pensare a chi usa il concetto per far graduatorie di... merito di insegnanti e allievi... [3]

Il capitale umano
Infine, una curiosità. Bisognerà scrivere un giorno la storia della penetrazione nel pensiero di sinistra del concetto di “capitale umano” che da vera contraddizione in termini, come dovrebbe essere almeno nel pensiero che abbia una qualche ascendenza nel marxismo, è diventata una locuzione che a molti appare accettabile per indicare una sorta di concezione postmoderna della forza lavoro, più fluida, onnicomprensiva e flessibile. Ma il capitale umano, a differenza della forza lavoro, non è occupato e reclama un salario: è potenziale, e si deve reinventare un lavoro. Non contratta o rivendica la giusta mercede ma è egli stesso responsabilizzato a investire se stesso per ricavare da sé un utile che nessuno più gli garantisce. [4]   Non a caso, nella formazione professionale, si parla di unità formative capitalizzabili, che irrobustiscono il portfolio di competenze spendibili dal soggetto sul mercato del lavoro. O in quello che ne è rimasto.

“Con il termine capitale umano si intende l'insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi  sociali ed economici, singoli o collettivi”. Così Wikipedia, che, dopo aver evocato la capitalizzazione persino delle emozioni – alla voce in oggetto – ci informa di alcune interessanti questioni: “Il capitale umano e le sue relazioni con la crescita economica trovano una loro specifica trattazione negli scritti dell'economista americano e premio Nobel 1992 Gary Becker. La letteratura economica, la sociologia, le indagini dell' OCSE e la programmazione comunitaria 2007-2013 attribuiscono notevole importanza oggi al capitale umano per la crescita sociale ed economica delle Comunità, ai fini sia della competitività che della riduzione della povertà. In Italia  le Fondazioni di origine bancaria  nate dal 1990 in poi con la Legge Amato  stanno realizzando investimenti per il miglioramento del capitale umano nelle diverse zone del paese e in questa ottica per aiutare lo sviluppo del Mezzogiorno è stata costituita nel 2007 una apposita struttura dotata di propria autonomia, la Fondazione per il Sud”. [5]

Insomma c’entra e come anche la scuola, perché, a ben vedere, gli unici interventi che Berlinguer avrebbe chiamato di lotta alle disuguaglianze economiche e alle discriminazioni sociali per la realizzazione dell’individuo, di redistribuzione del reddito e del benessere che ne deriva, li dobbiamo all’intenzione di ampliare il “capitale umano” delle popolazioni, conciliando - il postmoderno sguazza nelle antitesi con il piacere talvolta perverso di conciliare l’inconciliabile - competitività e riduzione della povertà. Ma questa è da tempo una illusione neoliberista: sarebbero stati l’economia e il mercato a sconfiggere la povertà, e non la politica e il diritto. Per ora, sulla strada, si è distrutto il concetto di lavoro nel senso di diritto-dovere retribuito che consenta di vivere dignitosamente e dare senso al proprio futuro. Per il resto, si vedrà che cosa si può fare.

E qui possiamo avviarci a concludere. Non pensiamo che Enrico Berlinguer, pur molto capace di prevedere, persino di vaticinare talvolta, evoluzioni e involuzioni della vita politica si sia occupato di “capitale umano”. Ma non è detto. Di certo se ne è occupato un suo alter ego apocrifo, molto prima degli anni ‘90: l’anonimo estensore delle “Lettere agli eretici” del 1977. [6] In una di queste,  per ironizzare sul concetto di austerity, l’anonimo sostiene che il malcontento popolare, se distribuito a piccole dosi, è funzionale al potere e scrive, o meglio fa scrivere al falso Berlinguer rivolto ipoteticamente a Marco Pannella: “Premesso che la sofferenza deve essere continua ma di lieve entità, si tratterà di importare l'acciacco dove era la salute, la fatica dove regnava l'ozio, la parsimonia in luogo della prodigalità, la litigiosità al posto della concordia e così via. Il regime di ristrettezze che si è inaugurato con la cosiddetta austerity - eufemismo generoso per indicare il capitale umano che grufola nel suo immondezzaio - mi pare un bell'esempio della via da seguire.”
Il concetto, destinato poi a grande fortuna, compare quindi in un contesto un po' oscuro, ma
qui siamo al gioco letterario, alla provocazione politica, ma resta invece imbarazzante osservare come il concetto di “capitale umano” sia oggi divenuto parte essenziale dei progetti educativi. Si tratta di un tema complesso che andrebbe seriamente affrontato, soprattutto da chi crede che l'emancipazione degli individui resta una finalità strategica della scuola e dell'educazione anche e soprattutto in questi contesti tecnologici ed economici, e che il merito e il capitale umano non siano propriamente i fari più adeguati per farsi guidare nella tempesta.
E il tempo per questo abbaglio neoliberista ormai pluriventennale potrebbe essere finito, come auspica oggi stesso Adriano Prosperi su repubblica: "Se l'istruzione pubblica è in questo stato non è solo per la crisi. E se deve essere rifatta non è solo nelle mura. Bisogna mutare strada rispetto a quella battuta". [7]

 

Note

 [1] L'intervista è riportata integralmente dal sito il bolero di ravel; e in parte sul sito dell'Unità.

[2] Anche questa intervista è reperibile sul sito il bolero di ravel.

[3] Di che cosa alcuni intendano oggi per merito, ci siamo occupati in Una medaglia al merito.

[4] Sull'estensione delle categorie economiche ad altre sfere dell'esistenza individuale e collettiva, compiuta attorno al concetto di “capitale umano”, si veda M. Zanardi, “Il capitale umano e l'avvenire della politica”, in AA.VV., La democrazia in Italia, Cronopio, Napoli, 2011. Un'analisi sistematica del rapporto fra capitale umano e scuola sta in A. Cegolon, Il valore educativo del capitale umano, Franco Angeli, Milano, 2012.

[5] Cfr. Wikipedia, alla voce capitale umano.

[6] Nel 1977 Pierfranco Ghisleni, giornalista, pubblica un falso editoriale imitando un "Nuovo Politecnico", Einaudi, nel quale firmandosi Enrico Berlinguer firma alcune lettere a esponenti radicali e della sinistra extraparlamentare.

[7] Cfr. A. Prosperi, "La scuola da ricostruire", la Repubblica, 12.06.2014.

 

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".

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