Nel suo intervento del 18 aprile, Mariella Ficocelli ci parla del disagio di non conoscere l’altro; di non riconoscersi, oggi, in una relazione educativa con regole e metodologie non più efficaci; di estraneità in consigli di classe che elargiscono sanzioni al posto di interventi didattici; e della nera previsione che saranno proprio i suoi studenti, quest’anno, a ingrossare le fila degli abbandoni scolastici.
Riflette poi sui modelli teorici per decifrare l’adolescenza e mi ricorda un mio contributo scritto ormai nel 2009 [1] , in cui io stessa esprimevo lo stesso identico malessere e tentavo maldestramente di capirlo, scomodando chi allora ci aveva ragionato meglio di me: Gustavo Pietropolli Charmet, in particolare, Alain Ehrenberg, Claudio Naranjo. Erano i tempi del cinque in condotta della Gelmini e degli esami a settembre, che non hanno risolto, com’era immaginabile, i nostri problemi e i loro, quelli degli studenti “ribelli”.
Rebel Without A Cause [2] era il titolo originale del film Gioventù bruciata, una volta tanto tradotto in italiano in maniera felice, perché i tre ragazzi della storia, un motivo per la loro ribellione ce l’avevano, eccome! Primo tra tutti, l’incomunicabilità con genitori freddi, distaccati, svalutanti.
Sessant’anni da allora, e adesso è ancora più importante cercare le origini dei comportamenti adolescenziali, senza lasciarsi sopraffare dalla quotidianità, e con riferimenti che ci aiutino nella loro lettura, ora che sono decisamente tramontati quelli dei decenni passati. Ben venga allora il mito di Telemaco elaborato l’anno scorso da Massimo Recalcati, del figlio che guarda il mare in attesa del padre, e di un padre che non è più il re di Tebe destinato all’eliminazione, né il padrone che rappresenta solo la legge; bensì un testimone, anche della propria fragilità, se e quando è il caso. Una persona responsabile e sincera, che non proietti sul figlio il senso della proprietà, che non pretenda la ricompensa dei suoi fallimenti. Non più una figura onnipotente, ma umana, con una forte valenza etica, che sappia orientare, senza imporre o intimorire, né sostituirsi.
Il merito di Recalcati è soprattutto quello di aver sottratto rigidità ai modelli interpretativi che hanno dominato la scena finora. Ha persino il coraggio di definire “poveri cristi” i genitori [3] che svolgono bene il loro lavoro, perché sono soli nel seminare pazientemente, senza la certezza del raccolto. “I poveri cristi” sono “i genitori migliori, quelli che non pensano di essere i migliori, quelli che si arrabattano, che pensano di seminare giusto con la luna giusta”, “ma non è detto, e questo è il dramma, che ciò garantirà la felicità dei loro figli”. Anche noi insegnanti, per le stesse ragioni, potremmo sentirci altrettanto soli, in un ruolo che è sempre più sfrontato nel presentarci gli insuccessi di oggi, e troppo reticente nell’anticipare le buone riuscite di domani.
Ma se sposiamo la simbologia di Telemaco, se ci crediamo fino in fondo, dobbiamo interrogarci su quanto siamo davvero in grado di vestire i panni di Odisseo, che è sì l’amante della conoscenza, ma anche il naufrago logoro che ritorna, debole e forte nello stesso momento, per sconfiggere i nemici che si sono appropriati di tutti i suoi beni. Difficile inseguire questa nuova identità nei consigli di classe che ricalcano un modello superato, ma solo perché non se ne conoscono o non se ne vogliono sperimentare di nuovi. La scuola è imbrigliata ancora in un immaginario edipico, gerarchico, per il quale se lo studente è “la vite storta” (per dirla sempre con Recalcati) noi dobbiamo essere per forza il “fil di ferro” (altrimenti, chi siamo?). O in un fantasma narcisistico, orizzontale, senza differenze di generazioni? Il rischio, contro il quale Recalcati ci mette in guardia, è anche quello di scivolare nell’eccesso di psicologismo, nel rispecchiamento alunno-docente che ha fatto tanti danni nella scuola, e ha solo soddisfatto l’ego di tanti docenti; peggio ancora, nella confusione disorientante tra momenti edipici e narcisistici, l’oscillare tra un comportamento fintamente democratico e l’assunzione improvvisa di autorità, tra i poli opposti nella ricerca sfibrante della tanto predicata autorevolezza.
“Il compito di un insegnante è quello di generare amore sul sapere più che distribuire sapere (illusione cognitivista) o mettere tra parentesi il sapere occupandosi della vita privata degli allievi (illusione psicologista) perché l'alternativa tra la vita e il sapere è sempre sterile” , così Recalcati in un articolo del 2013 [4].
Conciliare i due aspetti dell’insegnamento, disciplinare ed esistenziale, e mantenerli sempre in equilibrio in tutte le ore di lezione e in qualsiasi classe, essere sempre attenti alle sfumature presuppongono misura, controllo e capacità di rispettare sempre la giusta distanza. Saggezza? Non proprio, ma conoscenza di se stessi, questo sì: auto-ascolto, esperienza, consapevolezza.
Ulisse torna dopo dieci anni di viaggio e dieci di guerra, che simbolicamente potrebbero rappresentare i tempi lunghi del padre (l’adulto, il maestro, nel nostro caso) per accumulare sapienza. Forse, quando si è giovani sono sufficienti l’entusiasmo e l’umiltà di apprendere, insieme alla voglia di combattere per cambiare le cose. Poi, perché no, possono esserci gli anni di stabilità illusoria, una sosta nell’isola di Ogigia nella quale sentirsi quasi a casa, ma l’insoddisfazione o il bisogno di sicurezza ci portano ad un altro viaggio, che crediamo l’ultimo, l’acquisizione definitiva di solidità: Itaca, l’approdo. E non è ancora abbastanza. Allora si deve ripartire per seguire quella virtù e quella conoscenza che sembravano durature, ma non lo erano. Andar per mare un’altra volta, accettare la sfida, o languire in una patria che ha perso il suo fascino, in cambio della sicurezza degli affetti.
E se Poseidone e Atena combattono sopra di noi per il nostro destino (Poseidone si sta impegnando molto di più da un po’ di anni!), la responsabilità della nostra riuscita come persone che un giorno hanno deciso di insegnare e che tutto sommato ce l’hanno fatta, è interamente nostra: quella di vivere appieno la vita di docenti, e non tenendola semplicemente a bada.
Per quanto mi riguarda mi sono nutrita dieci anni fa della formazione di counseling e dello sportello d’ascolto nella scuola, che mi hanno dato nuove energie e il permesso di scrivere su queste pagine; confesso invece che negli ultimi due-tre anni ho sentito il bisogno di nuovi viaggi, mentre più forte è stata la stanchezza di rimettermi in cammino. Ma tra poco più di due mesi andrò in pensione e non posso non concludere, come feci nel 2009, con il consiglio ai colleghi ancora in servizio di una formazione personale non più rimandabile. Suggerisco ancora il potere trasformatore dei corsi di Claudio Naranjo [5] . Se ne conoscete altri, sarebbe importantissimo trasmetterli e condividerli.
1. M. Fratantonio, "Belli senz'anima" in D. Casaccia, a cura di, Ragionando di relazione educativa, dossier-insegnare n. 3, 2009, editoriale ciid, Roma. Il testo è qui disponibile in formato pdf.
2. Rebel Without A Cause (1955), Trailer originale.
3. M. Recalcati, dalla conferenza "La responsabilità in psicanalisi", tenuta il 16.01.2013 nella Sala del Maggior Consiglio per la Fondazione Palazzo Ducale di Genova per la Fondazione Palazzo Ducale di Genova.
4. M. Recalcati, "Maestro riluttante. Cari professori non fate gli psicologi", in Repubblica, 20.09.2013.
5. Cfr. portale SAT Italia.