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di Simonetta Fasoliscuola, tra il dire e il fare

02/07/2025

Le discipline in una prospettiva formativa: un approccio generativo

L’ampio e serrato dibattito che si è aperto dalla prima diffusione della Bozza delle Indicazioni nazionali 2025 (12 marzo 2025) e che ha trovato ulteriori motivi di riflessione e di mobilitazione dopo la pubblicazione della seconda versione (11 giugno) ha avuto, tra i suoi effetti rilevanti, quello di rilanciare il tema delle “discipline” come una questione centrale del processo di insegnamento-apprendimento. 
In realtà, essa non ha mai smesso di “interrogare” la professionalità dei docenti e le caratteristiche del sistema di istruzione, educazione e formazione (devo la tematizzazione di questa triade ai preziosi contributi dell’ispettore Maurizio Tiriticco, che ci ha lasciati da poco…).  In ogni passaggio cruciale dell’evoluzione del sistema, sia esso avvenuto sul versante degli ordinamenti o su quello culturale, pedagogico e didattico, la questione-discipline è uscita dal cono d’ombra dell’ovvietà per stagliarsi netta sullo sfondo delle riforme (o pseudo tali) di volta in volta annunciate, perseguite, realizzate. Non diversamente ci interpella nel tempo presente, rivelando la sua funzione strategica all’interno dell’operazione politico-culturale sottesa alla stesura delle nuove Indicazioni nazionali, che si stanno avviando in queste settimane alla definitiva formalizzazione. 

Per queste ragioni sinteticamente esposte, una riflessione sulle discipline, sul loro valore formativo non semplicemente dichiarato ma adeguatamente argomentato, si rende quanto mai opportuna: è insomma un tema di studio, che va oltre la contingenza, ma anche una pista di impegno politico-culturale tale che possa sostenere la risposta competente ed organizzata dei docenti e delle scuole all’azione di governo nei suoi tratti fortemente critici.

Tra i fattori problematici, in un’analisi puntuale, emergono le parti sviluppate in riferimento alle singole discipline e all’impianto disciplinare. A prescindere dalle osservazioni sui contenuti e sulle scelte metodologiche, restano forti le riserve sull’idea stessa di disciplina che il documento veicola e sulle derive contenutistiche che in più passaggi si individuano. La nuova versione (giugno 2025) pur notevolmente snellita e “depurata” dell’apparato metodologico inopinatamente debordante nella precedente, non supera le criticità di questa impostazione e conferma il giudizio negativo sull’impianto del testo, da più parti ritenuto inemendabile e dunque nel suo insieme irricevibile. 
In questo sfondo di puntuale attualità si colloca la riflessione che propongo, come contributo di merito sul tema più che mai cruciale delle discipline. A partire da una considerazione: la disciplina ridotta ad un repertorio fisso e rigidamente prescrittivo di conoscenze dichiarative è all’origine di una concezione trasmissiva, in prospettiva autoritaria, dell’insegnamento. Incoraggia, infatti, pratiche di apprendimento centrate sull’assimilazione acritica, sulla sottomissione ad un modello da emulare, sull’attitudine al conformismo come strategia di successo. Non è tutto: questa impostazione, che è culturale prima ancora che metodologica, comporta la parcellizzazione dei saperi disciplinari che diventano così manipolabili e dunque a disposizione dei detentori di strumenti sempre più sofisticati di produzione e riproduzione delle conoscenze. Il bersaglio polemico di questi rilievi, sia chiaro, non sono le discipline per sé prese, ma quella loro malattia infantile (o senile…) che si chiama disciplinarismo. Se dovessi darne una definizione, per quanto empirica, direi che il disciplinarismo è la disciplina ridotta a materia di studio e non invece valorizzata come campo di ricerca. La disciplina-materia è un dispositivo che sostiene, certo, l’organizzazione pluricentenaria del sistema-scuola per come ci è stato consegnato, con la trama di orari, classi, e non meno di classi di concorso. Ma a quale prezzo, in termini di apprendimento come epifenomeno della relazione, della crescita del soggetto? Sembra avere una funzione conservativa: come un insetto predisposto per la sua classificazione: forma di vita “catalogata”, e inerte. 
Nella prospettiva che qui suggerisco, le discipline non sono “corpi separati di conoscenze”, ma campi di esplorazione della realtà, di descrizione dei suoi fenomeni, di interpretazione dei dati. Con una consapevolezza di fondo: che i “dati” (siano essi quantitativi o qualitativi) ci avvicinano alla realtà in tutta la sua complessità ma non la esauriscono, per definizione. Mi piace a questo proposito richiamare un’enunciazione di Gabriel Marcel: “Un mistero è un problema che usurpa i propri dati, che li invade e perciò li supera come problema” [1]  Pur estrapolata dal suo contesto culturale e filosofico, mi sembra che questa affermazione contenga una suggestione pertinente al nostro discorso: ci ricorda che il limite del conoscibile è mobile, ma al tempo stesso è ciò che fonda le nostre possibilità di conoscenza.

Secondo un approccio complementare al precedente, possiamo considerare le discipline come “sistemi di narrazione del mondo”: certamente definiti da oggetti, linguaggi, metodologie di ricerca (quello che usiamo definire statuto epistemologico), ma come strutture aperte. Lo statuto disciplinare, nel tessuto connettivo che articola l'unità del sapere, postula nella Scuola di base, a partire dalla Scuola dell'Infanzia, una competente mediazione didattica che mette in questione i paradigmi escludenti, esplora i confini delle discipline mostrando all’interno di ciascuna la funzione ermeneutica, rilevante almeno quanto quella argomentativa. Le discipline, siano esse organizzate per ambiti, per aree o per affinità metodologiche, restano essenzialmente, in questa fascia di scolarità, pretesti formativi, come a dire dispositivi orientati a sviluppare la capacità di stare al mondo.  Esse sono strutturate per scoprire e far scoprire all'interno dello stesso percorso di indagine la loro sostanziale parzialità rispetto alla totalità del mondo, all'unitarietà dell'esperienza, all'unicità del soggetto che conosce e apprende. 
Questo modo di intendere l’impianto dentro cui sono collocati i saperi disciplinari trova ormai riscontro, oltre che in letteratura, anche nella produzione di testi e documenti rinvenibili in contesti istituzionali: a riprova di un’elaborazione largamente condivisa ed accreditata. È utile riportare, a questo proposito, il brano che segue, tratto dal recentissimo parere espresso dal CSPI (27 giugno) in merito alle Indicazioni nazionali 2025, e nello specifico allo schema di Regolamento. Come si può constatare, emergono alcuni tratti salienti dell’accezione pedagogico-didattica di “disciplina” che sto delineando.

“Nel primo ciclo di istruzione la progettazione didattica deve promuovere l’organizzazione degli apprendimenti in maniera progressivamente orientata ai saperi disciplinari, ma, altresì, la ricerca delle connessioni fra i saperi disciplinari. Le discipline possono essere considerate come fondamentali strumenti culturali, alfabeti che gli alunni devono imparare ad utilizzare per scoprire la realtà e dare senso alla molteplicità dell’esperienza. Non sono territori a sé stanti, bensì strumenti collegati per indagare il mondo della conoscenza da punti di vista diversi.” [2] 

Si tratta di una visione generativa, che dà conto della gradualità come fattore strutturale del processo di apprendimento: in questa risiede la possibilità stessa di immaginare un curricolo verticale non come mero dispositivo di progettazione (spesso ridotto a repertori di obiettivi correlati secondo criteri contenutistici …) ma come rappresentazione della stessa crescita del soggetto in un contesto di intenzionalità educativa. In essa le discontinuità, che pure caratterizzano il processo di ogni crescita, non sono rimosse ma governate educativamente: non c’è ragione per cui il tempo della crescita, che è anche costituito da salti qualitativi, debba diventare una cesura pedagogica. 
In questa ottica si predispone l’ambiente di apprendimento che possiamo considerare, come sappiamo, il terzo educatore (Loris Malaguzzi): esso è pensato per far emergere dai vissuti, dai saperi dell’esperienza, dalle pre-comprensioni il tessuto da cui vanno sviluppandosi i saperi e da questi i saperi disciplinari; in un continuum che dà conto della stessa continuità educativa e dà forma agli assetti della scuola istituita. 
Da questo punto di vista, il bambino che fin dalla Scuola dell'infanzia si interroga e cerca risposte sui fenomeni del mondo (non necessariamente "naturali", ma anche culturali, "affettivi" e relazionali) opera di fatto un distanziamento dall'immediatezza, che rende possibile quel domandare, il quale sta già dentro un campo di sapere. E le sue ipotesi di soluzione non sono, come in modo "adultocentrico" crediamo, divagazioni nel mondo della fantasia autoreferenziale a cui dover dare contenimento, ma segnali di un’istanza intrinseca di comprensione che va incontro al mondo. 
Campi di esperienza, ambiti, aree e singole discipline sono dunque, nel loro reciproco rinvio, organizzatori di didattica che traggono senso da esigenze funzionali all'insegnamento/apprendimento. In tale contesto, è compito dell'insegnante, nella mediazione didattica di sua competenza, accompagnare l'appassionato interrogare/interrogarsi del bambino anche all'interno del gruppo dei pari, per farlo uscire dal cerchio necessario ma limitante di una ricerca contingente, per proporre un "archivio storico" delle risposte che sono state date nel tempo e nello spazio, depositando cultura, e che hanno preso corpo in sistemi formalizzati, benché aperti, definiti "discipline" dagli addetti ai lavori. In questo modo la disciplina non è la parola definitiva ed esaustiva che cade su quel porsi domande relegandolo in un pre-disciplinare svalutato: è piuttosto la scoperta che esistono tanti "racconti sul mondo" quanti sono gli sguardi da cui si guarda e che nessuno è più "vero" e "importante" degli altri, perché dall'uno o dall'altro si può uscire e sconfinare senza che il raccontare venga meno. Relativizzare le discipline non vuol dire, insomma, decostruirle: le discipline vanno attraversate, non eluse. Dunque, proprio questo approccio fa riconoscere che, come nessuno sguardo può stare al posto dell'altro, così ogni sapere disciplinare ha il suo peculiare e non surrogabile punto di vista. Alla luce di questo assunto, i campi di esperienza possono fornire importanti apporti pedagogico didattici e gli ambiti disciplinari permanere lungo tutto il percorso curricolare della Scuola di base, e anche oltre, se in un caso e nell'altro le opzioni dei docenti sono suffragate da un'azione professionale consapevole delle teorie di riferimento.

La riflessione sulle discipline si arricchisce ulteriormente se assume nel suo ambito di riflessione l’accezione pedagogica di competenza, accogliendo la ormai accreditata tripartizione di conoscenze, abilità, competenze. I documenti di riferimento europei ne hanno esplorato i contorni ricorrendo al termine suggestivo (anche se alquanto vago) di mix di conoscenze, abilità, attitudini. Utile richiamare al riguardo la Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea del 22 maggio 2018, relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, che ha fatto seguito alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006
Se d’altro canto consideriamo la competenza nel suo senso più lato, al di fuori delle definizioni formalizzate, troviamo interessanti piste di ricerca e di lavoro, che incrociano la stessa nozione di trasversalità evitando il rischio di cadere nel terreno della trasversalità applicata alle discipline, spesso afflitto dalle fumosità del pedagogese. In una prima accezione, la competenza fa riferimento alla capacità di padroneggiare e di utilizzare conoscenze (ad una stessa competenza possono concorrere diversi contenuti disciplinari). In una seconda, essa si riferisce alle operazioni mentali sottostanti ai diversi campi di indagine e contesti, che generano altre conoscenze e competenze, a partire da una specifica competenza disciplinare. In entrambi i casi, si rende più agevolmente leggibile il nesso disciplinare-trasversale. Mi sembra che in particolare la seconda accezione, in questa sede sinteticamente richiamata, possa essere un utile criterio per la costruzione di un curricolo verticale che attraversi le discipline e ne mostri le interconnessioni.

Qual è il valore aggiunto, in termini di formatività, di un curricolo orientato a questo tipo di trasversalità? Quali possibilità apre? In primo luogo, la possibilità di spostare l'asse del processo di insegnamento - apprendimento dai contenuti parcellizzati alle operazioni cognitive sottese, attivate nell'intero percorso formativo: condizione essenziale per strutturare percorsi di un’autentica continuità educativa, non puramente formale né episodica. In secondo luogo, l’opportunità di attivare, riconoscere, apprezzare i modi soggettivi di “combinare” i contenuti organizzandoli intorno al problem solving, secondo criteri di trasferibilità e contestualizzazione di saperi disciplinari e competenze. In questa prospettiva quelle forme di pensiero cosiddetto “divergente”, spesso sanzionate perché non descrivibili in termini di standard predefiniti, trovano un campo di espressione, di osservabilità e riconoscimento: sono insomma le connotazioni di una scuola effettivamente inclusiva che fortemente auspichiamo.

 

Note

[1]G. Marcel, Essere e avere (1935).

[2]CSPI Parere sullo schema di Regolamento recante “Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”. approvato nella seduta plenaria n. 151 del 27/06/2025 tenutasi in presenza.

Di che cosa parliamo

Contrappunti sulla scuola. Molti dei paradossi della scuola, e attorno alla scuola, nascono dalle separatezze: tra la scuola che si fa e quella di cui si parla; tra i grandi disegni riformatori e l’aleatorietà degli esiti; tra visioni e pratiche...

Si potrebbe continuare. Qui preme sottolineare che una via per rendere compatibili, o addirittura comporre, i diversi piani può essere quella di mettere in luce di volta in volta le dimensioni prioritariamente in gioco: la cornice  istituzionale, le pedagogie sottese o esplicite, l’intenzionalità educativa che si traduce in scelte didattiche, l’orizzonte culturale che dà senso al tutto.

E’ ciò che si propone questo spazio di confronto e riflessione, accettando la sfida di distinguere per meglio analizzare questioni e fenomeni, e al tempo stesso di fare sintesi per comprenderli compiutamente.

L’autrice
 

E’ stata insegnante di materie letterarie nella Scuola secondaria, per circa venti anni, con esperienza prevalente nella Scuola media; dirigente scolastica per i successivi  venti anni nella scuola di base (Scuola media e Istituti comprensivi). Negli anni più recenti (2017/2022) ha svolto attività di insegnamento, in qualità di docente a contratto, nel Corso di Scienze dell’educazione e della formazione presso l’Università la Sapienza. Attiva da lungo tempo nell’associazionismo professionale, è impegnata in particolare in percorsi di ricerca e formazione, rivolti  alle diverse professionalità della scuola sui vari temi attinenti al sistema educativo di istruzione.

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