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18/09/2025

Lo sviluppo del linguaggio attraverso i percorsi LSS nella scuola dell'infanzia

di Cristina Viti

L’acquisizione del linguaggio è un processo complesso che riguarda tutti i bambini, al di là della comunità linguistica di cui fanno parte. Ma ogni lingua è costituita dai suoi elementi precipui, che riguardano la fonologia, cioè il sistema dei suoni che da singoli si combinano (vocali, consonanti, dittonghi), la loro intonazione e il loro accento, il lessico, cioè il vocabolario della lingua, le regole che la governano, cioè la grammatica e la sintassi.

Poiché nessuna lingua può esistere al di fuori di una situazione, di un contesto, è chiaro che la scuola viene ad avere un ruolo determinante nell’acquisizione e nello sviluppo del linguaggio, in quanto genera in continuazione situazioni comunicative molteplici. Esse variano in ragione del tipo di attività (strutturata o libera), del contesto a cui si fa riferimento (reale, immaginario, imitativo), del rapporto fra emittente e destinatario, del numero di persone coinvolte in tale rapporto, dell’argomento oggetto dello scambio linguistico, del fatto che questo argomento sia o meno condiviso da tutti i partecipanti.

Al momento del loro arrivo alla scuola dell’infanzia non tutti i bambini sono padroni della lingua ufficiale della comunità scolastica. Alcuni perché, pur essendo di madrelingua italiana, non hanno ancora maturato le fasi che segnano lo sviluppo dell’acquisizione del linguaggio, altri perché provengono da famiglie non italofone. In entrambi i casi la scuola rappresenta per loro la possibilità di esercitare e affinare quello che Piaget chiama “Linguaggio socializzato” e, attraverso l’interazione con gli altri e la comunicazione verbale, sviluppare il loro pensiero [1]

Per tutti i bambini, al di là della situazione linguistica di partenza, una seria programmazione didattica prevede attività finalizzate al miglioramento delle competenze verbali, per le quali i percorsi di Lingua progettati da Maria Piscitelli costituiscono senza dubbio una pietra miliare. Lascio a chi è più competente di me il compito di parlare di quei percorsi e vorrei, invece, riflettere su come la lingua sia una componente indispensabile anche dei percorsi di scienze proposti dal CIDI Firenze, inseriti dal 2010 nella Rete Laboratori del Sapere Scientifico della Regione Toscana e dal 2021 in “Avanguardie educative” Indire e su come, alla fine, si produca, anche in un tipo di lavoro progettato con tutt’altro scopo, un arricchimento lessicale e concettuale significativo.

Ho già parlato in un precedente articolo del ruolo inclusivo di questi percorsi e di come la scuola, sempre più, si trovi ad accogliere bambini di provenienza geografica e culturale diversa che, nel caso della lingua, devono fare i conti con una serie di difficoltà che coinvolgono il loro “stare” a scuola. Aggiungo che, per fortuna, in ragione della natura della scuola dell’infanzia, queste difficoltà vengono in gran parte superate, anche se in questi bambini permangono spesso interferenze linguistiche della lingua di origine e che, talvolta, il contesto familiare, in cui si parla in modo imperfetto la seconda lingua, può aumentare la confusione linguistica.

Attraverso i percorsi di scienze i bambini hanno modo di ampliare il loro linguaggio e affinare il lessico.

Molti studi hanno sottolineato l’importanza, per lo sviluppo del linguaggio, della natura del dialogo che il bambino tiene con l’adulto (che all’inizio è la madre), non soltanto perché l’adulto propone un modello linguistico corretto e ricco che il bambino imita, ma soprattutto perché il rapporto con l’adulto rappresenta per il bambino un ambiente emotivamente sicuro, in cui egli si sente libero di sperimentare e comunicare senza timore di errori.

In quest’ottica, il momento dell’osservazione guidata individuale dei percorsi di scienze può essere considerato un momento chiave per lo sviluppo del linguaggio, in quanto dello scambio madre-figlio sussistono alcune analoghe condizioni: la comprensione, l’accoglienza, il clima di intimità condivisa. Il bambino, di fronte all’insegnante, prova a descrivere ciò che vede o che percepisce con gli tutti i sensi, a rispondere, come può, alle richieste della maestra: com’è la farfalla? Cosa vedi? Cosa ha il bruco? Cosa ha la foglia del cavolo?

Al terzo anno di sperimentazione dei percorsi di scienze, i bambini hanno imparato ormai come funziona: c’è la scoperta di un “oggetto” che capita a scuola nella meraviglia generale. Può essere un cestino di pomodori, un albero o un bruco scoperto sulle foglie del cavolo. Intorno a quell’oggetto si concentrano gli sforzi di tutti per scoprire com’è, cosa fa, come si trasforma. E la meraviglia si rinnova di passaggio in passaggio. Grazie ad essa, ognuno è chiamato a fare la sua parte, a concentrare i suoi sforzi per contribuire al raggiungimento della conoscenza. È un’impresa collettiva di cui tutti si sentono partecipi e in cui l’aspetto emotivo esercita un ruolo primario.

Nel momento dell’osservazione individuale i bambini sono concentrati e sanno che le loro scoperte sono importanti per tutti. Ma sanno anche che l’insegnante è lì per accoglierli, per aiutarli se non sono in grado di esprimersi, che l’insegnante non li giudica ma accetta tutto quello che dicono. In questo momento, il linguaggio può essere non adeguato a “raccontare” ciò che il bambino vuole esprimere ed egli fa ricorso a segnali non verbali (toccare, indicare, mimare) o verbali con l’uso di termini come “guarda!”, o, ancora, ad espressioni di meraviglia.  L’insegnante, dal canto suo, mette in atto una serie di “facilitatori” volti ad agevolare il bambino nel suo racconto (simboli della CAAoggetti, materiali, tutto può servire). 

I bambini sono invitati a tradurre in parole quello che osservano sulla base di indicazioni precise dell’insegnante. La loro attenzione è orientata dalla richiesta dell’adulto. Chi non sa esprimersi verbalmente, lo fa con altri mezzi ma, sempre, la restituzione verbale dell’insegnante dà voce al loro pensiero. La maestra “presta” le parole e il bambino è invitato a ripetere.

In questa fase, per il bambino con difficoltà linguistiche, si crea uno scambio bidirezionale fra l’insegnante e lui, che coinvolge entrambi: c’è il primo tentativo di espressione che può essere gestuale, simbolico o verbale, c’è la restituzione dell’insegnante che può consistere nella parola che mancava, nella parola pronunciata correttamente o in una frase completa, laddove quella del bambino non lo era. Infine c’è il secondo tentativo da parte del bambino che prova a ridire quella parola o quella frase e, di conseguenza, la registrazione scritta da parte dell’insegnante. Agiscono da rinforzo, nello scambio, una serie di segnali e atteggiamenti: l’attenzione dell’insegnante, il suo scrivere ciò che il bambino dice, l’espressione incoraggiante e accogliente.

L’atteggiamento del bambino nel momento dell’osservazione guidata, dal punto di vista linguistico, si inscrive in una costante dell’interazione linguistica generale fra adulto e bambino, caratterizzata dal bisogno infantile di ricevere una risposta da parte del suo interlocutore riguardo alla comprensione del messaggio da lui emesso. La risposta positiva gli garantisce la verifica della sua adeguatezza e della sua capacità di decifrare l’ambiente circostante. Nei percorsi di scienze, in questo momento intimo e prezioso, a tutto ciò si aggiunge l’esigenza di un’intesa su un “argomento” particolare che sta a cuore a entrambi e che si inserisce in un contesto motivazionale di cui fa parte tutta la classe.
Nella fase di lavoro successiva, quella dell’elaborazione grafica individuale, il bambino utilizza il simbolo per “scrivere” le proprie scoperte e poi lo “rilegge” insieme all’insegnante. Di nuovo, il bambino che non ha gli strumenti linguistici, si dovrà far prestare le parole dall’insegnante, ma quelle parole hanno una particolare significatività, in quanto si riferiscono a quello che lui ha scoperto, a quello che lui, nel momento intimo dell’incontro con l’insegnante, voleva dire. Quindi, anche la loro pregnanza emotiva è maggiore rispetto ad altre parole dette dalla maestra o dagli amici, rispetto ai vocaboli incontrati nel gioco o nella lettura.

È insieme sviluppo del linguaggio e del pensiero e c’è un mondo dentro a quelle parole.

Nel momento della condivisione il bambino recupera quelle parole, le struttura, se può, in una fase anche minima, per partecipare al grande impegno collettivo della realizzazione di un cartellone che raccolga le scoperte di tutti. In quell’elaborato ci sono tutte, proprio tutte, le parole che si riferiscono alle scoperte dei bambini. Tutti sono seduti in cerchio con i loro lavori davanti, l’oggetto di osservazione è presente per eventuali dubbi o confronti ed è presente anche il vocabolario, uno strumento che i bambini conoscono fin dal primo anno di scuola dell’infanzia come “il grande libro delle parole”. Sanno che lì ci sono tutte le parole della nostra lingua. Il vocabolario è l’autorità super partes, decreta ciò che è definitivo e giusto.

In questa fase si correggono gli errori. Spesso, soprattutto a proposito delle percezioni tattili, i bambini usano termini impropri. “Liscio” e “morbido”, ad esempio, spesso sono confusi. L’albicocca è liscia o morbida? Riprendiamo il pannello tattile, usato tante volte nelle attività di esplorazione e di gioco e cerchiamo materiali lisci e materiali morbidi. Cosa succede? Giulio dice che “nel morbido il dito affonda”. Prendiamo, a conferma, il vocabolario e troviamo la definizione: morbido=delicato, cedevole ad una leggera pressione. Giulio aveva ragione. E “liscio”? Il vocabolario ci fornisce questa definizione: che ha la superficie piana, uniforme, uguale… sensazione tattile di un corpo su cui la mano passa, scorre agevolmente, senza incontrare ostacoli. Ora è Anna che dice: “È vero, la mano scivola!”

Giochiamo allora sull’onomatopea della parola "liscio", che contiene "sc "come "scivola", proviamo a ripetere il suono e i bambini si divertono, poi troviamo altre parole che contengono questo suono: sciacquo, sciacquone, sciogliere, sciocco, sciroppo… e ogni volta accompagniamo il suono SC con il gesto della mano che scorre orizzontale. Tutti sono coinvolti, tutti partecipi. Poi scriviamo la parola "liscio" sotto il simbolo disegnato sul cartellone.

Molto spesso i termini vengono negoziati. È meglio dire puntini o pallini? I bambini dicono che i puntini sono piccoli, allora cerchiamo sul vocabolario e scopriamo che i puntini sono molto più piccoli dei pallini e che il bruco ce li ha entrambi. È meglio dire gambe o zampe a proposito del bruco? Anche qui cerchiamo la definizione più giusta. Le gambe sono proprie solo degli esseri umani, mentre quelle degli animali si chiamano zampe. Appiccicoso va bene per indicare che il bruco si attacca alla parete della teca? Prendiamo la colla stick, la passiamo tra le dita e sentiamo che queste diventano appiccicose: è la stessa sensazione che proviamo toccando il bruco?

Nel momento della condivisione ogni vocabolo viene esaminato, c’è una riflessione sulla lingua che spinge i bambini a non accontentarsi di un termine qualunque ma a cercare proprio quel termine che, lui solo, può rendere l’idea precisa di ciò che vogliamo dire. Alla fine si arriva alla parola ma il percorso fatto per arrivarci è stato così significativo, li ha coinvolti così tanto emotivamente, ha comportato così tante esperienze che hanno implicato altri linguaggi e quello del corpo, che quella parola ha una forza incredibile. Verrebbe da dire che in questi momenti si assiste alla costruzione del linguaggio e del pensiero insieme. Più volte ognuno si “incontrerà” con quella parola: quando rileggerà i cartelloni appesi in classe, quando la riconoscerà fra tante durante la lettura di una storia, quando racconterà le esperienze fatte. E quella parola resterà insieme alle altre che arricchiscono il suo modo di esprimersi e lo rendono sempre più preciso.

Nei percorsi di scienze le parole accompagnano ed esprimono le scoperte. Pronunciate, magari con l’aiuto dell’insegnante, durante l’osservazione guidata individuale, ritornano nella lettura degli elaborati grafici, ritornano nel momento della condivisione, quando vengono esaminate, confrontate, accettate o corrette. Così, al termine del percorso di esperienze e di riflessione su queste che caratterizza i Laboratori del Sapere Scientifico, i bambini vengono in possesso di “parole” che non sono mere espressioni verbali, ma piuttosto concetti, che hanno preso forma grazie all’esperienza e alla sua rappresentazione (corporea, grafica, simbolica), al suo racconto e alla condivisione. È insieme sviluppo del linguaggio e del pensiero e c’è un mondo dentro a quelle parole.

Note

[1] L.Vygotskji, Pensiero e linguaggio, Bari, Laterza 2008

Scrive...

Cristina Viti Insegna alla scuola dell’infanzia E’ membro della Segreteria del Cidi di Firenze Coordina i Laboratori del Sapere Scientifico nel suo Istituto Svolge attività di formazione

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