Tra i vari motivi per cui non mi è facile scrivere un breve ricordo di Franco de Anna, appena scomparso, ce n’è uno che si impone immediatamente: è nel carattere stesso di Franco, per come l’ho conosciuto in questi trent’anni, il suo essere schivo e al tempo stesso generoso di sé. L’altro è nella eterogeneità, mai velleitaria o dispersiva, dei campi che ha esplorato, pur in una sostanziale coerenza di impegno intellettuale.
A me sembra, a voler tracciare una cifra leggibile del suo contributo, che essa fosse nella sua refrattarietà alle astrazioni, nella sua ricerca piuttosto di sintesi corpose e potremmo dire nella logica del concreto. Questo tratto segnava uno stile di pensiero e di comunicazione con cui era arduo e al tempo stesso allettante confrontarsi.
La ricchezza del suo lascito è in quello sguardo che componeva un’incessante ricerca di elementi ricorrenti dei sistemi di cui si occupava con la capacità di declinare e leggere il dettaglio, mai lasciato all’episodicità narrativa o all’opacità del mero dato di fatto. Così, per esempio, nelle sue riflessioni sulle questioni di valutazione e autovalutazione dei sistemi scolastici, o sulle biografie delle istituzioni, guardate con occhio clinico prima di procedere alle necessarie e sempre rigorose generalizzazioni.
Pochi come lui hanno analizzato con altrettanto acume e intelligenza quell’universo che chiamiamo Scuola, nei suoi fenomeni non meno che negli epi-fenomeni: una connessione che lo ha portato sempre a lasciare che la società – in tutte le sue variabili - interrogasse il sistema di istruzione-educazione, con il metodo necessario della rendicontazione di cui Franco de Anna è stato interprete, studioso e convinto fautore. Al tempo stesso, ha indicato le strategie di pensiero e di azione per impegnare la scuola in un corpo a corpo con le questioni decisive dell’equità e della sua capacità di dare risposta alle attese dei soggetti in carne ed ossa.
Franco de Anna aveva dalla sua parte una formazione in qualche modo eccentrica e perciò duttile nel cogliere le opportunità delle sue variegate esperienze: dalla scuola, al sindacato, ai contesti di natura politico-istituzionale. Su questa multiformità, curiosa ma mai inutilmente avventurosa, aveva edificato un solido terreno di rielaborazione e di continuo aggiornamento: di schemi interpretativi, di chiavi di lettura, di spola feconda tra mondi diversi ma contigui. Rigoroso nei suoi presupposti valoriali, eppure poco incline a farsi ingabbiare in una definizione di sé e del mondo con cui intratteneva un rapporto di osservazione/comprensione.
Ci mancherà per tutto questo, e per molto altro. Come ci mancheranno la sua ironia a volte spiazzante ma mai aggressiva; il suo modo di essere schivo che rasentava la timidezza, senza mai farsene un vezzo narcisistico.
Dire che ciascuno di noi è unico e irripetibile è un luogo comune di quelli che in certe circostanze si vorrebbero evitare. Però nel caso di Franco ci sta proprio bene. E pensarlo, adesso che non c’è più, ci fa sentire un nodo di struggimento. Lui si sottrarrebbe alla commozione, ma noi possiamo sostarci il tempo che ci vuole. Prima di continuare sul solco del suo impegno.