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una recensionedopo scuola

29/08/2013

"Paideutika"; il pensiero di Antonio Erbetta

di Paolo Citran

La rivista “Paideutika”, fondata da filosofo/pedagogista Antonio Erbetta recentemente scomparso, ha pubblicato sul n. 17/2013 gli interventi del convegno tenuto in suo onore nel marzo 2012 a Torino.

Essi toccano le problematiche e gli approcci teorici a lui propri: l’idea di un’ “educazione come critica dell’educazione”  e della “pedagogia come critica della pedagogia”, l’impostazione fenomenologica tendente al disvelamento delle “esperienze vissute” sia dell’educatore sia dell’educando, quindi delle  categorie  che vanno a cogliere le peculiarità del soggetto concretamente esistente: l’essere situato nel mondo e limitato dalle “condizioni storiche, sociali e culturali”, rispetto alle quali ha tuttavia la capacità di problematizzarle oltre le ovvietà dei “luoghi comuni” e dei “pre-giudizi” che caratterizzano la “chiacchiera” nella “banalità quotidiana”,  e di “progettare” la propria vita ed il proprio futuro. Un’ulteriore chance – e questo è caratteristico del rapporto educativo – è il proporre all’”altro” di vivere con senso critico aprendosi  prospettive nuove, non esperite e inaudite, rendendo effettiva la “possibilità” di modificare l’esistente  - cristallizzato, istituzionalizzato, burocratizzato -  in direzione di una vita più “autentica”, di relazioni maggiormente “empatiche” e costruttive. Strumento educativo atto a svolgere questi compiti è una “decostruzione” in grado di cogliere “l’implicito” di modelli di comportamento e di “dispositivi” sociali e mentali stratificatisi in “procedure” socialmente accettate e in professionalità definite da sequenze deontologiche e organizzative conformiste e avulse dalle esigenze vitali sia di chi fornisce un servizio che di chi ne fruisce (Cfr. A. Erbetta, "Decostruire. Che cosa e perché", in Decostruire formando, cit.,  pp. 15-28, e – per quanto riguarda la scuola– F. Chiarello, "La decostruzione formativa nella vita della scuola", ivi, pp.79-99).

Nell’impossibilità di render conto di tutti i contributi presenti nella rivista , segnalo innanzitutto quelli che in maniera esplicita narrano della “persona” e del “pensiero” di Erbetta: M. Gennari (op. cit. pp. 67-73) lo descrive  come “affascinato” , eppur “dotato di una notevole dose di disincanto”, “circospetto” e aduso all’esercizio delsospetto”; P. Mottana (pp.85-102) ricorda di Erbetta   la “messa alla berlina di certo ottimismo pedagogico o, peggio, della deriva tecnocratica normalizzatrice”,  della “superficialità esistenziale” e di “pedagogie sempre pronte a confermare i fondamenti dei dispositivi disciplinari che ci governano fin nella ossa”; M. Tarozzi  (pp. 103-122), dopo aver affermato che “la condizione postmoderna, il pensiero debole, la crisi della ragione storica, il paradigma della complessità, [sono] approdati alla pedagogia con un decenni di ritardo e coniugati con un riemergente personalismo”, sostiene che “con la fine del postmoderno si riaffaccia la necessità di un pensiero non debole ma forte, nel senso di scientificamente rigoroso e qualificato da un punto di vista etico-politico”.
G. Spadafora (pp.39-57), invece, indica come possibili chiavi di lettura sulle orme di Erbetta il “problematicismo critico” coniugato con  la “teoria della complessità” e la concezione marxiana della “prassi”  (e della prassi educativa) “come attività pratico-critica che trasforma la realtà”; l’idea della “formazione come atto politico per la democrazia”; il concetto di un uomo concretamente esistente heideggerianamente pensato come progetto gettato nel mondo e destinato alla morte (quindi come capace di decidere in rapporto a possibilità condizionate dai “contesti”, dunque finito e sempre potenzialmente angosciato e soggetto al “rischio” dello “scacco”).
Infine, tra i molti spunti interessanti disseminati nel volume della rivista, ci piace segnalare il contributo di M. Contini (pp. 75-84), che evidenzia “lo scarto educativo-esistenziale tra le ‘nostre’ proposte e le ‘loro’ scelte”, dove il “‘nostro’”  è riferito all’educatore e il “‘loro’” al soggetto educato.  Rispetto ai “’nostri’” progetti, “’loro’” hanno  “il diritto a cercarsi la propria felicità senza di noi”, il ruolo dell’educatore essendo quello di “motivarli e affiancarli nel progetto”, anche col rischio che la progettualità educativa approdi, rispetto alle intenzioni iniziali, allo scacco, cioè ad un esito tutt’altro rispetto a quello atteso. Questa possibilità, che ogni educatore non può non mettere in conto, potrebbe apparire anche segno di un fallimento solo apparente, se compito di ciascuno è “crescere se stesso”, non essere cresciuto da altri, essendo “la ‘coscienza pedagogica’ sartreanamente ostile a qualsiasi ‘coscienza adesa’” (a questo proposito cfr. il significativo intervento introduttivo  di E. Madrussan, pp. 11-17).
Oggi, rileva F. Cambi (pp. 19-26), “l’educazione si è fatta crocevia di educazioni”, sulla spinta di “nuove agenzie”, tra cui “i media, che ne hanno ristrutturata la stessa identità plurale, scomponendone le gerarchie tradizionali”, e con l’impulso della “cultura del ’68”, in forza di cui “l’educazione è stata svelata in modo organico nel suo autoritarismo, nel suo ‘mito dell’adulto’ e nel suo procedere per modelli di classe” sì da condurre a “smascheramenti” che non escludono una “ricomposizione” in una pedagogia che induca a una crescita autonoma verso una negazione liberatrice” e unoltrepassamento rispetto alla ‘datità’”.

In un momento storico in cui predomina una pseudopedagogia ministerialmanageriale, le letture qui proposte possono essere un buon antidoto nei suoi confronti.

Per un’educazione come critica dell’educazione, n.17/2013 di “Paideutika. Quaderni di formazione e cultura”, Ibis, Como – Pavia, pp. 192

Scrive...

Paolo Citran A lungo insegnante di Filosofia, Psicologia e Scienze dell’Educazione, poi dirigente scolastico, è stato presidente del Cidi della Carnia e del Gemonese .