Davvero "grazie al digitale la scuola non si ferma"?
In questo periodo di emergenza sono in pochi ad aver mantenuto un atteggiamento coerente e scientificamente sensato. Ancora meno i governanti che non hanno saputo resistere alla tentazione di sfoggiare per scopi puramente elettoralistici il proprio potere territoriale, contribuendo a dare l'immagine di una Italia in pezzi nei suoi livelli decisionali, con scelte “fai da te” che hanno seminato caos e sconcerto in tutto il Paese, e dandoci anche un’idea più precisa di cosa potrebbe diventare con il regionalismo differenziato.
Ma ci si poteva almeno augurare che gli esperti di scuola rispondessero all'emergenza sanitaria senza trasformarla in un'occasione di propaganda dei propri “prodotti” vuota ipocrita e pericolosa.
Possibile che nessuno dica che una scuola che svolge “attività formative a distanza” è una scuola meno formativa? Che “grazie al digitale la scuola non si ferma” è una tesi che può ragionevolmente sostenere solo un rappresentante di software? Di fronte ad una emergenza come quella che stiamo vivendo è giusto e doveroso sperimentare tutte le risposte possibili, ma sapendo che sono valide solo in quanto emergenziali.
Se non si va a scuola la scuola si ferma. Se gli studenti saranno connessi, e non più in contatto nelle loro scuole, la scuola si ferma. Se si inviano compiti ed esercizi online agli studenti da svolgere ciascuno nel chiuso della propria camera (per quelli che ce l'hanno), la scuola si ferma.
La scuola solo su piattaforma non è scuola. È un pessimo surrogato che può essere scambiato per scuola solo da coloro che la vedono ancora come una successione di lezioni, poi di compiti sulle lezioni e infine interrogazioni sui compiti e le lezioni. No, una cosa è quello che possiamo (e dobbiamo) fare adesso per bloccare la diffusione del coronavirus, dare sicurezza e ridurre il danno scolastico per i nostri ragazzi; un’altra è enfatizzare questi strumenti come fossero l'innovazione capace da sola di disegnare la scuola del futuro.
Se si vuol sostenere questo, allora per lo meno smettiamola di parlare di povertà educativa, di diseguaglianze, di inclusione e di didattica laboratoriale e innovativa. Se la risposta sufficiente fosse un software e una piattaforma vuol dire che abbiamo scherzato.
L'editoriale di Giuseppe Bagni, pubblicato anche sulla sua pagina fb, ha suscitato una serie di interessanti reazioni, su questioni che vanno anche al di là delle stesse intenzioni che avevano animato, a caldo, le sue parole.
Ne pubblichiamo qui uno stralcio, ringraziando gli autori dei singoli commenti e in parte scusandoci se non possiamo avvertirli personalmente. Del resto i loro commenti erano pubblicati su uno spazio pubblico assai coincidente con quello dei lettori della rivista.
Serafina Le Fosse |
Grazie professore. Grazie di queste parole illuminate ed anche poco "popolari". Se necessitiamo di risposte emergenziali, tutto potrà essere sperimentato. Ma a me, che insegno in una scuola media delle più complesse e svantaggiate periferie d'Italia, resta la consapevolezza assoluta che continuare a fare scuola solo a distanza non sarà possibile. Io conduco tutti i giorni una battaglia quasi fisica nelle mie classi per ottenere l'attenzione, il coinvolgimento, per alzare l'asticella dell'interesse e della consapevolezza. E se qualche piccolissimo risultato ottengo è perché posso tenere le mani dei miei studenti, guardarli negli occhi, conoscere la loro difficoltà a stare seduti, la rabbia che li deconcentra. La didattica a distanza, per noi che le diseguaglianze le viviamo dai territori che ne soffrono maggiormente, non potrà diventare che una risposta semplicemente emergenziale, laddove anche riuscissimo ad implementarla. È giusto che qualcuno abbia il coraggio di raccontare anche questo. |
Vittoria Gallina |
Caro Giuseppe, come sai ho molta stima del tuo lavoro e del tuo impegno, ma mi aspettavo qualcosa di più.... La situazione è molto pesante e i docenti sono chiamati a sfruttare tutto quello che è disponibile per evitare che i ragazzi si smarriscano in una inaspettata vacanza, che renderebbe più pesanti diseguaglianze e iniquità; lo slogan "la scuola non si ferma" è sciattamente accattone, ma la scuola è/ deve essere capace di inventare modi nuovi per utilizzare gli strumenti di cui si dispone e per riempire i vuoti di senso nella incerta situazione presenta. Monitorare e documentare quello che docenti o gruppi di docenti faranno in questa difficile fase , potrebbe essere un buon servizio per tutti. |
Risposta di Bagni a Vittoria Gallina |
Mi rendo conto di essermi occupato di uno slogan in un momento di grande incertezza che meritava forse un altro taglio. Ma tu comunque hai colto il centro del mio post, che non è contro o a favore del digitale, né tantomeno una critica a coloro che si rimboccano le maniche per ridurre il danno dell'assenza della scuola per gli studenti, ci mancherebbe! Io ho scritto contro lo slogan, infatti il mio "la scuola si ferma" fa da contrappunto al virgolettato del titolo. Credo convintamente che il digitale serva alla scuola e agli insegnanti, ma alla scuola con gli alunni. Senza, si tratta di gestire l'emergenza, ma non è la scuola. Giocare sulla situazione grave che attraversiamo per fare pubblicità lo trovo squallido. |
Anastasia Ciavatella |
Carissimo Presidente, |
Franco De Anna |
Caro Giuseppe Bagni, stimo troppo la tua cultura per esimermi nell'utilizzare una analisi "tra le righe" del tuo messaggio. E allora non posso esimermi dall'affermare che non ne comprendo le ragioni di fondo. Non c'è uno, dico uno, dei colleghi che si sono attivati per rifinalizzare gli strumenti digitali alla contingenza drammatica della epidemia, che sostenga la "sostituzione" della didattica on line alla "relazione educativa". Nessuno. Ripeto, nessuno di autorevole che sia bersaglio reale della tua presa di posizione. Verifica le esperienze citate sulla pagina dedicata del Ministero... Dunque, a chi è dedicato il tuo messaggio? Quali "alleanze" raccogli imputando intenzioni che non hanno ai colleghi che in questo frangente si stanno dedicando a "ridurre i danni"? Perché ribadire una "banalità" che la relazione educativa non è riducibile ad un video? Semmai qualcuno lo abbia sostenuto, merita solo uno sberleffo, non una seriosa presa di posizione da un esponente autorevole di una autorevole Associazione professionale dei docenti...davvero non sono d'accordo...e mi dispiace… |
Risposta di Bagni a Franco De Anna |
Franco De Anna, ma certo che non si tratta degli insegnanti che si rimboccano le maniche per fare il possibile per restare vicino ai loro studenti, ci mancherebbe! Si tratta di quelle agenzie che riempiono di avvisi via web su come si può fare scuola con modalità più funzionali di quelle che abbiamo. E veicolano il più vecchio modo di fare scuola. Tu non le vedi? Si tratta di porsi la domanda se quelle scuole che sono all'avanguardia e dichiarano che proseguono a fare lezione senza gli alunni a scuola (un atteggiamento giusto che fa loro onore) sono la fotografia dell'intero sistema, oppure no. Se le famiglie sempre connesse sono tutte le famiglie, oppure le solite, e quindi continuiamo a scordarci di quelle che più giustificano un sistema di istruzione di qualità per tutti. |
Controrisposta di De Anna |
Al solito la messaggistica non consente grandi articolazioni di argomenti. Il problema che volevo sottolineare non era il mio essere in disaccordo... trovavo semplicemente che da una associazione professionale che ha responsabilità fondamentale nel "produrre e socializzare" valori e significati collettivi, la scelta in questo momento di sottolineare "i rischi e i limiti", piuttosto che "l'impegno e la capacità innovativa", mi stupiva assai... Quanto ai "venditori" di software, non mi pare una gran scoperta, e sono storicamente è largamente anticipati da tanti "editori scolastici"... la cui qualità di prodotto dovrebbe suscitare altrettanta indignazione... |
Riflessione redazionale (Mario Ambel) |