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editoriali

31/01/2017

"Ciao, Simonetta. Una scuola può tutto"

di Simonetta Fasoli

Tra le tante, significative testimonianze apparse in questi giorni per ricordare Simonetta Salacone appena scomparsa, lo striscione disteso accanto al muro di ingresso della chiesa romana dove si sono svolti i suoi funerali mi è sembrata la sintesi più efficace, emblematica, della sua vita tutta spesa per la scuola e l’educazione. Su quello striscione, scritto nella maniera artigianale che ben conosce chi fa scuola, si leggeva: “Ciao Simonetta. Una scuola può tutto.”

L’avrebbe sottoscritto anche lei, perché lo ha lei stessa vissuto e testimoniato: non come espressione di un’autoreferenzialità, di cui la scuola può morire, ma per la manifestazione di un impegno a esserci, a portare fino in fondo le istanze che la scuola raccoglie, interpreta e porta a compimento. Certamente, non può tutto la “scuola delle carte”, di quel legalismo sempre pronto a giustificarsi dietro la norma fine a se stessa. Può tutto la scuola per cui Simonetta ha lottato, quella che ha in vista la funzione scritta nella Costituzione, traducendola nel non uno di meno.

Collego idealmente quello striscione (posto sulla strada quasi fosse il prolungamento della sua scuola, e di ogni scuola…) ad uno spezzone di filmato pubblicato sulla rete la sera stessa del suo funerale. Era il suo “saluto” alle bambine e ai bambini delle quinte classi, al termine dell’anno scolastico e alle soglie della scuola media: coincideva, quell’anno (2010), come subito lei ha sottolineato parlando, con il suo pensionamento.
Mettere insieme l’esperienza di quei due diversi, ma anche analoghi, “passaggi di vita” l’ho trovato un gesto di sapienza pedagogica degno di una grande maestra, qual era. Mi ha colpito, di quella sua conversazione, il modo diretto e al tempo stesso autorevole di porsi: “prendere sul serio” l’infanzia, accompagnarla nei tratti tempestosi della crescita, senza condiscendenza. Richiamava, in quel saluto, il senso del percorso che quelle bambine e quei bambini avevano fatto, tutti insieme e con gli insegnanti; rivendicava la scelta di chiamare quel tratto di scuola “scuola elementare” (e non “primaria” come vuole la denominazione ufficiale) spiegandone le ragioni. Elementare, ha detto, perché dà “gli elementi essenziali” del sapere. Ecco: in quel breve documento filmato, c’è molto di Simonetta Salacone. Una vocazione pedagogica che ha dato senso alla sua lunghissima esperienza di dirigente scolastica. Un’idea di scuola, la sua, così radicata nell’educazione da andare oltre ogni riduzionismo didatticista, pur essendo materiata di competenze didattiche di straordinario valore.

Ho conosciuto Simonetta all’interno di una comune militanza sindacale, per lei cominciata alcuni anni prima. Ho avuto l’opportunità di condividere esperienze di lavoro maturate sul nostro terreno professionale: circostanze in cui ho potuto comprendere, osservando e imparando da lei, che c’è un modo di rapportarsi all’istituzione e all’amministrazione pieno di dignità, autonomia culturale e ferma attenzione ai valori e ai principi, mediando a partire dalla soglia di ciò che è irrinunciabile.

La scuola in cui ha creduto e per cui si è impegnata è agli antipodi della cittadella arroccata, è esposta al territorio per sua stessa, profonda natura; ne è il volàno, ma anche l’estensione. Di qui, il suo impegno nella società civile, perfettamente coerente con la sua impronta pedagogica; le sue scelte politiche, dentro una concezione “alta” della politica come servizio alla società: la politica della polis come impresa propriamente umana. Forse anche per questo il mondo della politica, che pure l’ha riconosciuta, non sempre ha risposto adeguatamente alla generosità della sua azione e al valore del suo contributo.

Simonetta era generosa per sovrabbondanza di vita, per un genuino bisogno di condividere risorse personali e percorsi collettivi. Ci capitava spesso di ritrovarci in occasione di iniziative, incontri, convegni, come succede a chi spartisce una koinè (e una città): ci si ascoltava, si registravano consonanze e punti di vista sostanzialmente comuni. Ricordo con particolare emozione, in questi giorni, il suo sguardo quando mi capitava di intervenire: aperto, il sorriso perfino tenero di chi accompagna e condivide un pensiero. Non conosceva competizione personale, Simonetta: una qualità rara, che in lei non sorprendeva perché era l’espressione coerente di un modo di stare al mondo. Combattiva, ma mai distruttiva. Era “contro”? Certamente: contro l’ingiustizia in ogni sua manifestazione, contro la sopraffazione e i meccanismi dell’esclusione sociale, che voleva contrastare fin dalle radici, sapendo che esse si annidano in quella prima forma di socialità pubblica che è la scuola.

Ciao, Simonetta. Dirti “che la terra ti sia lieve” è ben più di una formula rituale. E’ una facile profezia: tu sei stata profondamente “terrestre”, come solo può esserlo un’educatrice, testimone e generatrice di quel mistero inesauribile che è la crescita umana. In questo, per sempre Maestra: il maiuscolo è mio, tu non lo avresti messo. Ma capita raramente di poter vivere l’esperienza paradossale di sentirsi “orfani” all’interno di una stessa generazione: così mi sento, così ci sentiamo. Con l’impegno a far vivere, come meglio possiamo, la tua eredità.