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c'era per noioltre la lavagna

09/04/2019

"Escluse dalla storia", un convegno.

di Rosanna Angelelli

In alcune società primitive le donne prendevano il nome allorché avevano il menarca e lo cambiavano ulteriormente allorché si sposavano. Nel periodo della mestruazione venivano segregate in una capanna perché erano “impure”. In quello fertile tornavano a vivere in comunità, cioè nella storia del loro insediamento. Anche oggi certi rituali identitari ritagliati sul corpo della donna continuano a sussistere, sia pure confezionati entro l’ambito di pessime teorie “scientifiche”. È di appena una settimana fa la baggianata sentita  a Verona che se le donne non fanno figli sono più soggette al tumore.

L’esclusione delle donne dalla storia che fino a 50 anni fa nell’Italia che aveva conquistato la democrazia  si configurava prevalentemente come mancanza di quei diritti civili monopolio fino ad allora dei maschi, oggi si sta ridelineando sulla base di quel profilo femminile fascista da cui si pensava essercene allontanate per sempre. E così, per arrivare a una legge appena decente sulla violenza e sullo stupro ci sono voluti anni di discussione sul differente valore tra l’offesa alla morale rispetto  a quella fisica (quasi che la donna sia scissa tra spirito e carne, tra cultura e passione), mentre si ridiscute sulla liceità dell’aborto, si brandisce la famiglia “naturale” come baluardo contro i presunti disordini sessuali da contenere, si invoca l’incremento demografico nell’ottica  ottocentesca di una forza lavoro da opporre ai nuovi schiavi ormai superflui per via della crisi economica. E se, nonostante i divieti, i beffeggiamenti, le minacce ci sono state e ci sono donne resilienti, o peggio ancora per loro, ribelli, esse vengono considerate con diffidenza o ingabbiate nel precetto contraddittorio del metter su famiglia e fare figli da una parte, e del rischio di perdere il lavoro proprio se sei madre dall’altra. Come un tempo, sotto il fascismo! La donna che  non si inquadrava era una malata, da risanare all’interno di quelle istituzioni a metà tra la clinica medica salvifica e il carcere repressivo: i manicomi, le case di cura.

Di questo e di altro si è parlato a Pescara nel convegno “Escluse dalla storia” [1]. Il pretesto è stato offerto dalla pubblicazione di due saggi di storia locale sulle donne a firma di due storiche che vivono e lavorano in Abruzzo.

Sara Follacchio, con il suo libro Cultura ed emancipazione femminile, Ianieri edizioni, 2018,  ha ricostruito con molta finezza la rivendicazione da parte di un circolo di signorine abruzzesi della parità dei diritti, tra cui in primis quello elettorale,  e di ruoli diversi dal modello borghese di donna “ninnolo” (esperta nelle arti domestiche, musicista o artista nelle arti minori, sposa e madre attenta all’eleganza e all’igiene). Siamo nei  primi anni del Novecento e il circolo (fondato nel 1906) doveva apparire  agli occhi dell’opinione pubblica piuttosto eccentrico: le signorine di “Torre de’ Passeri” erano di buona famiglia e per accedere al circolo si doveva essere rigorosamente nubili, questo -riteniamo- per sfuggire ai nodi delle incombenze familiari -ancora oggi la donna paga il suo multitasking a prezzo di molte ansie e sensi di colpa- e per poter essere libere, nonostante le proteste e le paure della comunità, di sostenere e di riassumere in un opuscolo il vivace dibattito insorto nei primi del Novecento sulla “Petizione delle donne italiane per il voto politico e amministrativo”. Ma c’è di più, le giovani riuscirono a coinvolgere nel progetto comune di allargare i propri orizzonti civili anche un parlamentare abruzzese, il liberale Domenico Tinozzi, medico e umanista, che dedicò loro una conferenza-documento antesignana di prese di posizione successive di 40 anni:  “La donna nel passato e nell’avvenire”.

I medici entrano anche nel saggio di Annacarla Valeriano, Malacarne, Donzelli, 2018, ma purtroppo non per emancipare combattive signorine borghesi dal “piccolo punto” (il ricamo allora di moda). Valeriano  ha svolto attraverso le cartelle cliniche del manicomio di Teramo una circostanziata indagine non soltanto sulla condizione delle internate, ma anche e soprattutto sulle cause del loro ricovero e sul mantenimento della segregazione per molte di loro. La cornice scientifica della segregazione proviene dalla rappresentazione della donna e della sua femminilità (ormonalmente instabile, ai limiti dell’isteria, e quindi debole, incapace senza il marito di lucida e autonoma progettualità di vita e di lavoro) teorizzata da scienziati e clinici famosi, legati al Positivismo e poi diventati i membri autorevoli della Sanità del regime, tra cui Nicola Pende.

Il libro non può non indignare il lettore democratico, perché dalla definizione di quel profilo femminile scaturì a priori un giudizio di genere sia psicologico che sociale su cui si poté costruire anche la motivazione e la normativa del ricovero individuale. Si aggiunga che,  essendo spesso la devianza un fenomeno prodotto in famiglia e quindi foriero di reazioni di rigetto  di difesa e di vergogna al suo interno, il manicomio, nato nella migliore delle ipotesi, per guarire, diventò eminentemente luogo di contenimento e di separazione. Un luogo senza storia.
L’astinenza sessuale o l’arrendevolezza  erano i palliativi più frequenti per neutralizzare l’internamento. Essi venivano simulati da chi ancora aveva un barlume di risorsa psicofisica nei confronti dell’elettroshock allora sperimentato e le terapie di segregazione, con il risultato di poter mimare finalmente quell’obbedienza  alla “natura” su cui il fascismo stava imbrigliando la complessità individuale  della donna: madre e sposa resa vigorosa dall’igiene di stato e laboriosa perché serenamente “votata” in famiglia a redimersi, facendo ed educando i figli per la patria.

L’iniziativa del convegno, come ha osservato la DS dell’Istituto Annateresa Rocchi,  non ha offerto solo un aggiornamento agli studenti (presenti in Aula Magna insieme con  rappresentanti di altri due istituti pescaresi, lo IIS E. Alessandrini e l’IC Pescara 8) su argomenti di solito non trattati dall’editoria scolastica, ma è stata anche motivo di riflessione per tutte le donne presenti, studentesse e insegnanti, lei compresa, sulle difficoltà che si sono incontrate e si incontreranno nel cammino verso l’autonomia, la piena parità dei diritti, l’affermazione del proprio talento.

Mariella Ficocelli Varracchio nel ricordare l’intento culturale ed educativo del Cidi all’interno della scuola, ha precisato che sulle tematiche dei diritti dell’uomo e in particolare di quelli delle donne è in atto un laboratorio di storia da parte di alcune insegnanti dell’associazione, contemporaneamente a quello di lettoscrittura sull’analisi e produzione della scrittura espositiva  e a un impiego  delle ore di  alternanza scuola lavoro nell’archivio della Fondazione Abruzzese di Teramo.

A sua volta Marilena Nobis, coordinatrice del convegno, nonché promotrice di un lavoro in classe  sul libro di Valeriano, prima di dare la parola alle autrici, ha ricordato con efficacia il lungo e accidentato cammino della donna europea verso l’emancipazione: da Olympe de Gouges con la sua Dichiarazione dei Diritti della donna e della cittadina (1791) alle rivendicazioni delle Suffragette inglesi (1897), all’attività politica di Anna Maria Mozzoni fondatrice  della Lega degli interessi femminili, alla pedagogista Maria Montessori. Sono state inoltre lette da due studentesse due lettere di internate come toccante esempio di un disagio che avrebbe avuto bisogno di ben altro sostegno rispetto al ricovero. Sono state poste domande alle due autrici e infine Nobis ha letto una significativa poesia di Alda Merini.  

 

Note

1. Organizzato il 5 aprile 2010 dal Cidi Pescara e dall’Istituto Tecnico Tito Acerbo

Scrive...

Rosanna Angelelli Di formazione classica, già insegnante di materie letterarie nei licei, è stata per anni redattrice di "insegnare".