1. “La storia è piena di figure controverse. Flavio Claudio Giuliano è tra queste": così esordisce Mario Spinelli nella Prefazione alla sua monografia sull'ultimo imperatore della dinastia dei Costantinidi. Nato nel 331 d. C., membro del ramo cadetto della dinastia, sopravvissuto fortunosamente all’età di sei anni all'eccidio della sua famiglia voluto assai probabilmente dall'Augusto d'Oriente Costanzo, figlio primogenito di Costantino, che aveva tutto l’interesse a sbarazzarsi di potenziali concorrenti al trono, Flavio Claudio Giuliano è passato alla storia per il suo rifiuto della fede cristiana e per il suo tentativo, una volta divenuto imperatore, di riportare in auge i culti pagani e di contenere la crescente diffusione del Cristianesimo nella società imperiale, conseguenza della politica di tolleranza inaugurata da Costantino. Proprio per la sua politica religiosa egli è stato bollato da un autore cristiano, Gregorio di Nazianzo, con l'epiteto denigratorio di “Apostata", ossia di “rinnegato", con cui Giuliano è noto pressoché esclusivamente in Italia.
Solido databile tra il 361–363 d.C.. Sul dritto ritratto di Giuliano e la scritta FL CL IVLIA-NVS PP AVG (Flavio Claudio Giuliano Padre della Patria Augusto). Sul rovescio un soldato o forse l’imperatore stesso che con la sinistra mantiene un trofeo e che con la destra trascina un prigioniero inginocchiato, e la scritta VIRTVS EXERCITVS ROMANORVM (Virtù dell’esercito dei Romani) — da wildwinds.com
2. La monografia di Spinelli si suddivide in tre sezioni - Il principe (pp. 11-48), Miles Romanus (pp. 49-98), Imperatore (pp. 99-152) - ed è inoltre corredata da tre sintetiche Appendici - Letture consigliate (pp. 153-154), Genealogia dei Costantinidi (p. 155), Il secolo di Giuliano (pp. 156-158) - utili rispettivamente per approfondire la conoscenza del personaggio rivolgendosi innanzitutto alle fonti storiografiche e letterarie, per orientarsi nei meandri della famiglia imperiale e per fissare le date essenziali di un secolo turbolento e complicato. La tripartizione della monografia permette all'Autore di illustrare puntualmente le vicende biografiche, culturali e spirituali di Giuliano. Così, nella prima delle tre parti, egli segue le fasi dell'educazione del giovane principe, documentando il suo graduale distacco dal Cristianesimo, consumatosi definitivamente con l'iniziazione al culto del dio solare Mithra. Nella seconda, l’Autore descrive le imprese di Giuliano in Gallia, che lo rivelarono inaspettatamente uomo d’azione e di governo di straordinaria energia: da Cesare della Gallia, Giuliano non solo ricacciò al di là del Reno Franchi e Alemanni con una serie di brillanti azioni militari, ma favorì anche la rinascita economica della regione grazie ad una politica fiscale che, abolendo tasse inutili o inique, tutelò i ceti meno abbienti e garantì introiti regolari. Infine, nella terza sezione, si descrivono le vicende e le iniziative politiche e amministrative del Giuliano imperatore, fino allo scontro fatale con i Parti, tradizionali nemici di Roma sul fronte orientale, contro i quali egli trovò la morte nel 363 d. C., all’età di trentadue anni.
3. Vicenda biografica e culturale del personaggio vengono restituite in un’unità indissolubile. Il lettore può così seguire gradualmente le fasi della sua conversione al paganesimo, che non fu la scelta bizzarra e stravagante di un nostalgico infatuato dei “bei tempi antichi”, ma l’esito conclusivo di una complessa vicenda formativa e di tutta una serie di incontri – dal primo maestro di letteratura, Mardonio, che gli fece amare Omero ed Esiodo, al grande rètore Libanio, che lo indirizzò allo studio della filosofia neoplatonica, fino a Massimo di Efeso, che lo iniziò al culto di Mithra – che per il giovane Giuliano furono umanamente e formativamente decisivi, molto più di quelli con i personaggi cui l'imperatore Costanzo aveva affidato la sua formazione cristiana, primo fra tutti il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia, attento ai suoi rapporti politici con la corte assai più che alla formazione religiosa e spirituale dell'illustre allievo: a questo proposito, l'Autore arriva a sostenere esplicitamente che tra le principali cause del distacco del giovane Giuliano dal Cristianesimo va senz’altro annoverato il comportamento poco edificante di quei cristiani con cui egli si trovò a contatto, primi fra tutti l’imperatore Costanzo e i suoi cortigiani, dalla cui ostilità ed invidia Giuliano, da Cesare della Gallia, dovette guardarsi ben più che dai Barbari.
4. Della politica religiosa di Giuliano l'Autore, pur non mettendo mai in dubbio l’onestà intellettuale del personaggio, sottolinea limiti, contraddizioni ed errori, individuandone in particolare due: innanzitutto quella “deriva idolatrica e sacrificale" (p. 112) che sconcertò anche quei personaggi – Libanio in primo luogo - che più gli erano vicini e condividevano con lui l'ideale di una rinascita pagana; in secondo luogo, il divieto di insegnare nelle scuole imposto ai maestri di retorica cristiani, in quanto “non poteva insegnare Omero chi disprezzava gli dèi di Omero”. Se, da un lato, basta entrare oggi in una qualunque classe di Liceo per verificare l’inconsistenza di una simile motivazione, dall’altro l’A. ha indubbiamente ragione nell’individuare nel decreto di Giuliano - considerato iniquo anche da un suo grande ammiratore come Ammiano Marcellino - il primo esempio storico di “persecuzione moderna” (p. 110), che mira non tanto all’eliminazione fisica dell'avversario, quanto alla sua marginalizzazione ed estromissione dalla società. D’altra parte, però, l’Autore non manca di rilevare che la politica religiosa, se fu l’interesse prevalente di Giuliano, non fu tuttavia l'unico: anche da imperatore, come già da Cesare della Gallia, egli cercò di riformare l’Amministrazione statale e il Fisco ispirandosi a princìpi di giustizia sociale, di contenimento degli sprechi e di riqualificazione etica e professionale dei funzionari pubblici. I buoni risultati da lui ottenuti in questi ambiti non vengono messi in discussione nemmeno dalle fonti a lui ostili.
5. Possono forse risultare discutibili le pagine in cui l’Autore, riflettendo sull’istruzione cristiana di Giuliano, si chiede “che tipo di cristiano sarebbe stato il nostro protagonista, se invece degli ariani avesse avuto per catechista un grosso teologo di allora” (p. 45): per uno storico, porsi questa domanda significa sempre avventurarsi in un “terreno minato”. Analogamente, può sembrare azzardato definire Giuliano un “pagano di Dio” (p. 45), e soprattutto “un Padre della Chiesa mancato” (p. 46). Per quanto, a partire almeno dalla seconda metà del III sec. d. C., tra Paganesimo e Cristianesimo si crei indiscutibilmente una sorta di “osmosi”, per cui filosofi dichiaratamente pagani come Plotino, Porfirio, Giamblico e lo stesso Giuliano possono esprimere istanze religiose affini a quelle cristiane, la mentalità religiosa pagana rimaneva pur sempre politeistica, anche quella degli intellettuali. A dimostrarlo, credo basti questo testo di Plotino: “Non restringere la divinità ad un unico essere, farla vedere così molteplice come essa stessa si manifesta, questo significa conoscere la potenza della divinità, capace (…) di creare una molteplicità di dèi che si connettono con essa” (Henn. II, 9,9). Ovviamente, il politeismo degli intellettuali era molto diverso da quello “tradizionale” e “popolare”, perché era interpretato filosoficamente, ma restava pur sempre “politeismo”. La religiosità di Giuliano, di indubbia ascendenza neoplatonica, non faceva eccezione: lo riconosce l’Autore stesso, laddove scrive: “Nella mente e nel cuore del nuovo imperatore c’era tutto il paganesimo e l’ellenismo tardoantico in una interezza introvabile in altri autori (…) Nessun contemporaneo fu insieme neopagano e pagano tout court come Giuliano” (p. 107). Difficilmente, quindi, possiamo dire di trovarci di fronte a un “Padre della Chiesa mancato”: la conversione di Giuliano è stata a tutti gli effetti un cambiamento di mentalità che ha implicato l’abbandono del monoteismo. Si tratta comunque di un problema che merita di essere approfondito: d’altra parte, se con certe formulazioni l’Autore vuol far intendere che la religiosità di Giuliano era profonda e forte tanto quanto quella dei grandi Padri della Chiesa a lui contemporanei, non si può che concordare con lui.
6. L'agile stile narrativo in cui la monografia è scritta non deve trarre in inganno il lettore: anche laddove l’Autore sembra fare concessioni allo stile “romanzato", il suo racconto è sempre rigorosamente strutturato sulle fonti storiografiche e letterarie, soprattutto sulle Historiae di Ammiano Marcellino, l'ultimo grande storiografo pagano latino che di Giuliano fu profondo e sincero ammiratore, e sulle opere dello stesso imperatore Giuliano. Tra esse, l'Autore si muove agilmente, senza appesantire la narrazione con rimandi continui a note esplicative e dimostrando che si può essere nel contempo rigorosi e avvincenti.
7. Alla fine della lettura di questa monografia, ben documentata e al tempo stesso scritta in bello stile divulgativo, due cose risulteranno chiare: la prima è che Flavio Claudio Giuliano fu un imperatore serio e responsabile, e non un esaltato capace di guardare solo alla questione religiosa; la seconda è che il famigerato epiteto di “Apostata" con cui fu bollato è riduttivo e semplificante, perché non rende ragione né della vastità dell'azione politica e riformatrice di Giuliano, né tanto meno della complessità del suo percorso culturale e spirituale.