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27/02/2021

Niente scuola in presenza ...

di Chiara Panzieri

Niente scuola in presenza per tutti fino al 30 giugno.

Si parla come al solito di "autonomia" e di "solo per chi deve recuperare" e di "solo per gli insegnanti che non hanno esami".

Con l'autonomia, finirà che quasi nessun docente segnalerà i bisogni reali per non dover poi sobbarcarsi montagne di documenti in cui scrivere cosa devi recuperare, come intendi farlo e per chi, e poi se ci sei riuscito e perché no, e griglie e rubriche valutative con mille voci. Anche io - se non potrò segnalare e seguire io tutte intere le mie classi - non lo farò.

Verranno a scuola i soliti noti, di nuovo azioni punitive per i più fragili, il gruppo differenziale con insegnanti che molto probabilmente non conoscono tutti, di nuovo non passa l'idea che si impara solo attraverso la relazione, con i miei compagni e i miei insegnanti.

Nella scuola media sono pochi gli insegnanti che non hanno esami e spesso stanno già a scuola di più di chi fa esami (che se la cava con meno giornate anche se molto intense sì, e stancanti). E che cosa recupereranno, con gruppi di alunni fragili che non conoscono?

Come ho già scritto non mi piace per niente questa parola "recuperare" perché anche io penso che non ci sia nulla da recuperare (tantomeno i programmi o meglio i manuali da finire), e penso anche che non sia possibile.

Mi sarebbe piaciuto molto invece che mi fosse restituito un po' del tempo in presenza con le mie classi, tempo soprattutto per la socialità e per il pensiero collettivo e per apprendere insieme. Parlo per la scuola secondaria di primo grado, la scuola dell'orientamento e dell'autonomia, in particolare le classi seconde e terze, le più penalizzate.

Certo si sarebbero dovute immaginare delle regole e delle risorse dal Ministero per evitare che fossero invece giorni ancora di lezioni frontali e verifiche e interrogazioni: inserire un'uscita, uno
spettacolo, un museo a settimana; imporre la realizzazione di un'impresa collettiva a classi aperte ecc. Se vogliamo una scuola diversa dobbiamo cominciare anche a dare spazio all'immaginazione, non solo e sempre fare i conti con la realtà di una scuola inadeguata.

Certo si trattava anche di un'operazione simbolica, ma anche di simboli abbiamo bisogno. Un segnale, un'attenzione.

Certo bisognava pensare a un'esame di terza media in frequenza, cioè svolto durante il tempo scuola in frequenza, senza commissione. Immaginare modalità diverse, eccezionali. Pazienza.

Invece hanno vinto di nuovo i piccoli privilegi, questo circolo vizioso "ti pago poco e ti chiedo poco", un patto scellerato. Difeso dai sindacati che oppongono piccole questioni per non fare invece che chiedere risorse per fare, di fronte a un grande cambio di orizzonte: tempo alla scuola, per una scuola diversa.

La maggiorparte degli insegnanti ha lavorato più di prima, giorno e notte, festivi compresi (del resto, se inizi a farlo bene il nostro da sempre è un lavoro stagionale a tempo pieno, perché la scuola ti agguanta ogni minuto, se la fai bene). Alcuni (pochi) in maniera efficace, inventando e costruendo nuove modalità e nuove alleanze con le famiglie (e nonostante tutto perdendo comunque qualche alunno che si è reso irraggiungibile). Altri (molti) in maniera convulsa, con il fiato sul collo dei genitori o di sé stessi, diligenti, a compilare tutta la mole di documenti, a interrogare fuori orario per avere i voti, a inventarsi modalità di controllo per chi copia, schiavi delle notifiche di GoogleSuite.

Una minima minima parte ha lavorato meno, per tante ragioni dall'orario ridotto in DAD ai progetti che non si sono attivati agli alunni HC assenti a una propria fragilità personale, per cui l'istituzione pubblica funziona da ammortizzatore sociale. Ma di questi pochi non vale la pena parlare, per me. Non è su di loro che costruiamo una scuola diversa.

Questo anno di pandemia (che sono due anni scolastici) è stato davvero complicato, ma per uscirne migliori ci vuole tempo e risorse e persone migliori. Io non voglio tornare alla scuola di prima. Perché sono emerse tutte le difficoltà che già molti di noi conoscevano e non possiamo
rimetterle sotto il tappeto del ritorno alla normalità.

Abbiamo ricevuto - tra gli altri indirizzi di una mail aperta - da Chiara Panzieri, insegnante di lettere in una scuola secondaria di I grado di Torino, queste riflessioni che volentieri pubblichiamo su autorizzazione dell'autrice. 

Si tratta di una argomento molto dibattuto, spesso con superficialità e approssimazione, purtroppo anche da chi dovrebbe occuparsene in modo professionalmente più adeguato. 

Sul tema delle riaperture, a giugno e in parte a settembre prossimo, si può leggere

AA.VV., "La scuola al tempo dell'incertezza" "insegnare", 03.01.2021

M. Gloria, Calì, "L'orologio della scuola", "insegnare", 02.12.2020.

Questo invece  quanto abbiamo scritto il 9 febbraio 2021 sulla nostra pagina fb 

A scuola anche a giugno. Evidentemente i governi "tecnici" servono a prendere decisioni politiche in modo che non si paghino elettoralmente. Nei giorni scorsi, era venuta da parte di alcuni la proposta di "recuperare le ore di lezione perse": un concetto che racchiude quattro idee distorte in una sola espressione.

L'idea di scuola fondata sul "recupero" è fallimentare dai tempi dell'abolizione degli esami di riparazione a settembre; quella delle "ore di lezione" è fallita da almeno 40 anni anche se si continua a fare in presenza e a distanza; il concetto "perse" avrebbe senso (le ore di "lezione" sono quasi sempre tempo perso) ma ovviamente insulta chi è stato costretto dagli eventi a sopravvivere davanti a uno schermo.

Persino il più importante tentativo di dar senso alla formazione postuniversitaria dei docenti è fallito negli scorsi decenni perché molti aspiranti cattedratici usavano le ore per "fare lezione".

Se sia il caso o meno di andare a scuola a giugno va rapportato alle condizioni climatiche e al caos impietoso con cui la scuola ha dovuto reagire all'emergenza pandemica strattonata da provvedimenti parziali e contraddittori. Soprattutto sarebbe il caso di frenare chi già vagheggia l'acquisto massiccio di condizionatori, magari a rotelle. E in nome dello sviluppo sostenibile, ovviamente.

Quel che spiace è continuare ad essere costretti a vivere di slogan: prima la retorica della "Dad opportunità di innovazione", poi la controretorica difensiva della "Presenza fisica" e ora "Recuperare le ore di lezione" e "Prolungare a giugno".

In tutte queste formule c'è una parte (piccola) di verità e molta cortina fumogena per celare le difficoltà o l'impotenza. O il continuare a non spendere o a spendere in modo sbagliato.

Ma soprattutto resiste, tra il non detto, un'idea di scuola che sarebbe invece opportuno abbandonare. La sensazione più generale è infatti che si continui ad avere, a propagandare e a difendere un'idea sbagliata di scuola, che purtroppo esiste ampiamente anche nel sistema scolastico, e che si sta facendo di tutto per traghettare oltre l'emergenza.

L'occasione che si sta perdendo è utilizzare la crisi per abbandonare definitivamente proprio l'idea di scuola fondata sulle "ore di lezione", che siano in presenza o a distanza, con le scuole aperte o chiuse, perse o da recuperare. Se si torna a giugno a scuola solo per fare e ascoltare "ore di lezione" è molto meglio andare al mare o in montagna. Se ci sono le condizioni per farlo. Almeno si respira e, nel caso, si può persino leggere un libro.

Se si sostituisce l'idea di "ore di insegnamento" con quella di "occasioni di apprendimento" (tra le quali c'è anche una quota minima di buone lezioni) forse si riuscirebbe a vedere le cose in modo diverso, per fronteggiare l'emergenza, ma soprattutto per vivere, dopo, una normalità diversa e migliore. (Mario Ambel)