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02/12/2020

L'orologio della scuola

di M. Gloria Calì

Il primo giorno, l’accoglienza, Natale e le vacanze lunghe. Il primo quadrimestre, Carnevale, Pasqua e le vacanze brevi; i ponti di primavera; i viaggi d’istruzione, la fine dell’anno, gli esami o le pagelle. Vacanze estive... E si ricomincia.
Queste le cadenze “liturgiche” tradizionali dell’anno scolastico, l’alternanza ricorrente del “pieno/vuoto" attraverso la quale si dipanano gli apprendimenti, le frustrazioni, i litigi e le dichiarazioni d’amore, la vita della conoscenza che si costruisce insieme.
L’espressione più usata dagli statistici, e non solo da loro, è “il tempo scuola”. Omessa la preposizione, questa locuzione significa che il Tempo è Scuola, ha nella Scuola una delle forme più forti di esistenza. Il tempo scuola in realtà si realizza anche fuori dalle scansioni cronologiche, e dal luogo fisico delle aule: male, bene o per niente, il tempo scuola è preparato da ciò che c’è fuori dalla scuola, e il tempo degli alunni e alunne “fuori” è preparato dalle necessità del “dentro”.  

Cinzia Mion, intervenendo il 20 Novembre scorso ad un seminario organizzato da "insegnare", ha detto che il tempo e lo spazio sono le strutture non verbali della scuola: struttura, quindi, non elemento, in quanto diventa il tempo della crescita, dei rapporti sociali, delle comunità. Il tempo scuola, in condizioni ordinarie, diventa scuolabus (o piedibus, in qualche luogo virtuoso), orario del treno, polizia municipale, servizio di mensa scolastica, laboratorio pomeridiano…
L’emergenza pandemica ha stravolto questa struttura, instaurando una  pseudo-routine chiamata didattica a distanza in cui manca quella struttura fondamentale, complessa, che è il tempo scuola. C’è sicuramente il tempo connessione, il tempo chat, nelle migliori condizioni c’è il tempo matematica, il tempo letteratura, il tempo storia… ma il tempo scuola non c’è stato, e non c’è, dove le scuole si fanno a distanza.
Questa mancanza, però, non è quantificabile perchè la scuola a distanza non è "meno": è proprio diversa, e a tutti ha tolto qualcosa di fondamentale. A tutti i soggetti apprendenti nei vari ordini o indirizzi di scuola, la distanza ha tolto, e toglie ancora, la normale scansione degli apprendimenti che si realizza attraverso il movimento nel tempo scuola, che si fa insieme aggregandosi o sparpagliandosi al mattino e/o al pomeriggio, cercandosi tra coetanei per studiare insieme (o per non studiare) insieme. Certamente, in qualche circostanza, alcuni alunni e alunne hanno avuto la fortuna di avere docenti capaci di reinventare, nella distanza fisica, una prossimità di cultura, ma pur in questa congiuntura fortunata manca la struttura fondamentale che è formata da tempo scuola, dove si realizza la comunità del sapere negoziato, della cittadinanza della (e nella) conoscenza, che si intreccia nel breve termine quotidiano così come nel tempo lungo dell’anno scolastico.

Secondo una ricerca condotta della CEVAS per il Comune di Palermo,  su dodici istituti comprensivi, la DaD viene raccontata come un attivatore di stimoli positivi ai processi di apprendimento, di motivazione  alla partecipazione da parte dei docenti, degli alunni, dei genitori. A ben guardare, però, questi risultati emergono dalle interviste ai dirigenti scolastici, che sono definibili come “indicatori indiretti”, cioè opinioni, ed è comprensibile che chi ha lottato per tenere viva la relazione con le classi valuti positivamente anche il minimo risultato.
A fronte del sollievo di chi è scampato ad un primo naufragio, in questa ricerca mancano i dati numerici degli alunni che sono spariti dagli schermi, e mancano gli esiti in termini di sviluppo culturale. Questa è la vera perdita: gli alunni e le alunne che sono rimasti fuori dalle classi virtuali, un terzo del totale.
Va precisato che nessuno nega che le scuole italiane abbiano messo in campo uno sforzo immane, stendendo un colossale ombrello protettivo su alunni e alunne, con un’assistenza ministeriale spesso scollegata dalla realtà. Nessuno nega, tantomeno, che, in alcune congiunture favorevoli, allievi e allieve abbiamo anche imparato, abbiano perseguito obiettivi di apprendimento grazie all’intelligenza progettuale di docenti e dirigenti.


Dall’esperienza della scorsa primavera [1]si arriva a questa riapertura dell’anno scolastico definita, propagandisticamente, “in presenza”. In realtà, per garantire la presenza, e, soprattutto, la continuità e l’uniformità sul territorio nazionale non è stato fatto nulla di quanto era stato proposto da molti e tutt’oggi si continua a non ascoltare le molte proposte del mondo della scuola [2]: e si è persa (ancora una volta, l’ennesima) l’opportunità di rifondare la scuola nella sua collocazione spaziale (dentro/fuori la scuola)  e temporale, sperimentando nuove formule di flessibilità oraria divise tra mattina e pomeriggio, con personale aggiuntivo, con periodi di attività in presenza più brevi, con numeri inferiori di alunni; questo sistema avrebbe richiesto una ristrutturazione progettuale vòlta a cercare i nuclei degli apprendimenti, che spingesse sull’acquisizione di metodi di ricerca e di interpretazione, piuttosto che sull’accumulazione di conoscenze, fisiologicamente labile.
È  quasi superfluo sottolineare che questa ristrutturazione organizzativa degli spazi e dei tempi della scuola in presenza avrebbe dovuto presupporre un ripensamento della didattica, arrivando finalmente, dopo tante riforme tecnocratiche, burocratiche o economicistiche, a coinvolgere il cuore stesso della professione dei docenti, i quali, invece, sono stati assecondati nelle loro posture più lontane da quelle del professionista riflessivo e creativo, più lontane dalla ricerca progettuale, imponendo loro una modalità organizzativa che facesse somigliare la Dad alla scuola normale, cioè alla sequenza lineare spiegazione-esercitazione-verifica.

Recentemente il gruppo Condorcet  ha lanciato una raccolta firme per risolvere il problema della “perdita di scuola”, calendarizzando “settimane per il recupero del tempo scuola perso a causa di queste interruzioni, pensiamo cioè a rimodulare i periodi di vacanza e allungare l’anno scolastico molto oltre il 10 giugno”. [3]
La proposta sembra nascere dal presupposto, come ha ben chiarito da Maurizio Muraglia in un suo contributo , che la scuola è un erogatore di servizi quantificabili, immaginando quindi che questa erogazione, interrotta a causa della chiusura, possa essere ripristinata compensando la perdita con lo spostamento dell’effettuazione dei servizi stessi in quelli che una parte dell’opinione pubblica considera un altro tipo di tempo, le cosiddette “vacanze”. 
Del resto, al documento di Condorcet si accompagna una serie di esternazioni di personalità per lo più extrascolastiche e perciò totalmente inesperte,  che avanzano proposte di allungamento del tempo scuola alla domenica, o in estate [4] ... sul modello dei centri commerciali, in cui è sufficiente risistemare i turni e il negozio resta aperto. 
Sembra sfuggire che se, così come abbiamo tentato di chiarire sopra, il tempo scuola è una struttura fondante e che andrebbe ristrutturata, è altrettanto vero che i ritmi degli apprendimenti, e le fatiche spesso logoranti degli insegnamenti, hanno bisogno di pause di riflessione e riordino, di consolidamento e recupero, di studio e di progettazione. L’istruzione, e quindi la cittadinanza, non si eroga: si costruisce, e le strutture più durevoli sono rette da una gestione attenta dei pieni e dei vuoti.

Certamente, come s’è detto  sarebbe stato necessario un ripensamento dei tempi, ma con prospettiva di significatività dell’attività didattica. Sarebbe molto più opportuno dedicarsi alla vera drammatica perdita che la didattica a distanza sta causando alla società italiana, che consiste nella scomparsa di quegli studenti che restano fuori dalle connessioni, soprattutto nelle aree del paese già incupite da un pesante disagio sociale.
Se, quindi, una ristrutturazione del tempo breve scolastico sembra più funzionale alla didattica, oltre che alla sicurezza sanitaria degli alunni e delle alunne, una ristrutturazione dell’anno scolastico sembra una proposta anzitutto irrealistica, che non tiene conto per nulla del sistema scuola nel suo muoversi dentro e fuori le aule. Risponde inoltre ad una concezione della scuola alla stessa stregua di un esercizio commerciale, magari più assortito o accogliente; è necessario, invece, tenere sempre presente che la scuola è una funzione della Repubblica, e come tale dovrebbe essere amministrata e vissuta.
 

Note

1. Una raccolta significativa di commenti, reazioni, proposte si trova, su "insegnare", in La scuola al tempo del contagio”
2. Si veda, soprattutto, la proposta del CIDI nazionale, in "La chiusura della scuola. Gestire la complessità".
3. Cfr.  "Non perdiamo altro tempo: salviamo il futuro dei nostri studenti #nuovocalendario #tempoperlascuola #ripensarelascuola".
4. Cfr. "De Micheli: "A scuola anche di sabato e domenica. Scuole riaperte solo quando ci saranno le condizioni' ", "Orizzonte scuola", 27.11.2020.

Credits


Immagine accanto ala titolo: da "La meridiana portatile", DIREZIONE EDUCAZIONE | Area Servizi Scolastici ed Educativi | Unità Case Vacanza, Comune di Milano.
 

 

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