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opinioni a confronto

23/06/2018

"Fisica vissuta": una recensione

di Eleonora Aquilini e Carlo Fiorentini

Riproponiamo, in questa circostanza, la riscrittura della recensione realizzata per "insegnare" nel n. 10/11 del 2006.

La storia di Carlo Bernardini è condensata nel suo libro Fisica vissuta. Rileggerlo in questi giorni è un modo per  non lasciare andare  questa grande persona che ha tenuto insieme ricerca scientifica, insegnamento, cultura e impegno civile. 

La storia che leggiamo è quella di una grande passione, quella per la fisica. Da questa passione se ne generano e se ne affiancano altre: per il lavoro, le amicizie, la politica, l’insegnamento, la famiglia. È un racconto che si articola su tutti questi piani, li attraversa e li mescola. Del resto è il racconto di una vita e la vita non frammenta, non divide e neanche somma. La vita solitamente è un intreccio di storie. C’è una storia politica che va dal fascismo interpretato attraverso gli occhi del babbo, al berlusconismo criticato, senza mezzi termini, in prima persona. La sincerità, la schiettezza, l’ironia sono del resto sempre presenti in tutte le pagine, in tutte le storie.

Tra le più importanti c’è la storia dell’ “impresa stupenda”, la progettazione e la realizzazione di AdA, l’anello di accumulazione per elettroni e positroni e poi la delusione per l’abbandono della ricerca intorno al nucleare a seguito della scelta italiana seguita ai fatti di Cernobyl.  Ci sono storie di grandi e profonde amicizie. Fra le pagine più belle, ci sono quelle  che parlano  con garbo, affetto e  stima di  fisici  importanti, come  Bruno Touschek, “un amico eccezionale”, la “cui scomparsa improvvisa è un evento che si ricorda con difficoltà”. Le righe  che seguono sono  straordinariamente capaci di dare il senso del dolore che segue questa perdita. E purtroppo  sentiamo particolarmente vere queste parole perché anche noi ci ricorderemo con difficoltà della perdita di Carlo Bernardini.

Come insegnanti ci piace  seguire il racconto di come sia nato  e come si sia alimentato l’amore   per la Fisica. È una passione che  nasce con una famiglia che sa stimolare e far crescere entusiasmi al momento giusto, proponendo letture fondamentali per suscitare la curiosità come la “Fisica di Carlson” e offrendo insegnamenti giusti per non spegnerla. Seguono poi grandi e piccoli maestri  all’università, figure importanti e “macchiette” come il professore di matematica che annoiava a morte con le sue lezioni ma aveva il vezzo di “salvare”quando cancellava le formule scritte alla lavagna i segni e i simboli utili per la  formula successiva. Leggiamo dell’incontro importantissimo con Persico, compagno di scuola di Fermi, estremamente competente sui gatti (“gattaro”), che aveva un laboratorio con strumenti  “di cui si era innamorato (vasche e reti di resistenze)” e il cui studio è diventato poi lo studio di Bernardini stesso. Persico presenta  Bernardini a Giorgio Salvini che allora “stava reclutando neolaureati, un’operazione ormai inimmaginabile con le regole di governo odierne: lui direttore aveva 32 anni quando io, che ne avevo 22, gli parlai la prima volta. Persico era un vegliardo di 52 anni…Gli altri giovani reclutati da Salvini erano miei coetanei” [1].
Carlo Bernardini viene così introdotto in  un  gruppo di ricerca per la costruzione di un acceleratore per elettroni, l’elettrosincrotrone. È bello pensare che allora si scegliessero proprio i giovanissimi, i neolaureati  per imprese di questa portata. È desolante pensare come oggi, invece, i giovani vivano in ombra  in ambienti di  ricerca che sono generalmente poco vivaci e produttivi per vecchi e giovani.

Ci sembra significativo quanto scrive Bernardini di Giorgio Salvini: “...Ma poi aveva idee spregiudicate, come quelle di lavorare con i giovanissimi .. “i primi della classe”… impensabile oggi: e devo dire che rendeva molto di più questa fiducia impegnata e combattiva, di quanto non rendano, oggi, interminabili corsi supplementari, esami e prove, concorsi e altre macchine burocratiche”  [2].
Pensiamo che questa fiducia impegnata e combattiva, vissuta da Bernardini, dovrebbe essere data, trasmessa a tutti coloro che imparano e che nelle classi di tutti gli ordini di scuola, non solo nei gruppi di ricerca, tutti   dovrebbero avvertire  la  sicurezza  di essere importanti e determinanti per il lavoro da fare  insieme. L’autore lo  ribadisce anche alla fine del libro: “bisogna accordare fiducia. Noi l’avevamo già avuta. La fiducia è il sale della ricerca, non si nega  a chi ci prova per la prima volta.” [3].

Ci sembra che in questo atteggiamento nei confronti di chi ci prova stia il punto di contatto fra chi opera nel  mondo della scuola e chi opera in quello della ricerca. E il segreto sta anche nell’inserire il terzo elemento, il lavoro comune, che docente e discente devono realizzare insieme.
Quando la spinta verso il sapere non c’è, le lezioni sono avvilenti. Tutti lo abbiamo provato. La situazione è ben descritta da Bernardini che, raccontando il suo esordio di insegnante, scrive: "...queste lezioni che mi sembravano come i lavoretti di un gruppo di carcerati di cui ero il sorvegliante, mi avvilivano oltremodo" [4]. Questo ci ha fatto sorridere perché ci ha ricordato che la scuola  “come condanna” non è solo una metafora cara ai nostri alunni ma  è istituzionalizzato anche nei regolamenti delle  case circondariali in cui è prevista l’istruzione dei detenuti. Per avere “diritto” a conseguire un diploma, occorre avere una condanna con sentenza definitiva a cinque anni.  

A livello politico, nelle associazioni e nelle commissioni Bernardini ha lottato contro il sapere proposto e vissuto come condanna. Ricordiamo soltanto il suo impegno a Scandicci, negli anni Ottanta, con la pionieristica sperimentazione “Educazione infantile alla scienza e alla razionalità”, condotta insieme a Riccardo Luccio e al suo appoggio nella strutturazione e implementazione dei “Laboratori del sapere scientifico”, azione di sistema, coordinata da Gigliola Paoletti Sbordone.

Note

1. C.Bernardini, Fisica vissuta, Codice edizioni, Torino,  2006 , p. 43.
2. Idem, p. 45.
3. Idem, p. 110.
4. Idem, p. 43.

Parole chiave: bernardini

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