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05/11/2019

Non sono un voto (ma me lo danno lo stesso!)

di Mario Ambel

Il 28 ottobre si  è svolto a Milano un importante e significativo convegno, organizzato dall’Università Milano Bicocca e dal Movimento di Cooperazione Educativa.

Gli  interventi del mattino
Ha aperto la mattinata un intervento di Cinzia Mion, dal titolo: “Storia della valutazione e della politica scolastica”. È stato un contributo lucido e importante, che ha svolto - finché ce n’è stato il tempo - una ricostruzione storica e politica delle origini e della permanenza del voto come strumento di stratificazione sociale, organico a una scuola trasmissiva, contenutistica, selettiva,  una scuola, come si diceva un tempo, di classe.
L’intervento di Cinzia Mion ha fuso competenza  psicopedagogica, esperienza didattica e cultura politica nel sottolineare la sostanziale iniquità del voto, ma anche le cause complesse che hanno impedito alla scuola e agli insegnanti di liberarsene, sia dopo l'avvento della Repubblica - e nonostante l’art. 3 della Costituzione -, ma anche dopo la legge istitutiva della Scuola media unica e i Decreti Delegati  - pregnante il parallelo con la legge Basaglia (altra tappa fondamentale dei processi di democratizzazione inclusiva del Paese).  Si tratta di cause e contraddizioni che chiamano la scuola a una riflessione psicopedagogica e sociale di ampio respiro sulle proprie responsabilità, cui troppo spesso essa si sottrae. Purtroppo il tempo ha impedito alla relatrice di giungere fino all’oggi. Del resto a lei era stato affidato il compito di fornire una cornice storica e all’oggi  si è giunti dopo.
Nella prospettiva storica l'analisi condotta da Cinzia Mion non poteva che esprimere una condanna senza appello del voto e del suo uso politico e sociale, ma anche alcune riserve sulla mancata capacità della scuola di liberarsi dei condizionamenti ambientali e psicologici che le impediscono di esprimere una professionalità più matura e coerente.

A seguire, Loredana Leoni, con un intervento dal titolo di per sé già significativo: “Valutazione e voto: come, quando e perché”. Non ce ne voglia, Loredana Leoni, ma il suo intervento è iniziato con la nota vignetta degli animali assai diversi, cui viene chiesto – in nome di un’equità apparente - di arrampicarsi su un albero per essere valutati, ed è poi proseguito con la relatrice che si arrampicava sugli specchi per dimostrare che i voti e le pagelle sono conciliabili con la valutazione formativa  - oltre che con la certificazione delle competenze-  e che, in fondo, il Dlgs  62/2017 sarebbe una “occasione persa”. 
Il ragionamento della Leoni è semplice: nella commissione che ha redatto il decreto c’era anche chi (alcuni, molti, tutti?) non credeva ai voti e ha seminato nel testo i presupposti per poterli poi eliminare. Ma per farlo ci sarebbe voluta una legge – si sa che le vere malefatte in politica scolastica si fanno approvare dal Parlamento, in modo che sia più difficile toglierle – e questo è stato impossibile, anche perché, appena ci si è provato -ha affermato la relatrice- si sono sollevate le pressioni dell’opinione pubblica ostile e pronta a scagliarsi contro i presunti esegeti della scuola facile, che regala i voti a tutti.
In tal modo, non solo è stato gioco forza tenersi i voti, ma con un’aggravante: che la vera responsabilità ricade sulle scuole autonome e sui docenti, alcuni dei quali, più realisti del re, non  mettono il voto solo alla fine, ma anche durante singole verifiche e attività. Il che è anche vero, ma non assolve chi non crede nel voto, dalla responsabilità di non eliminarlo da normative che ne consentono (e finiscono col premiare) l'utilizzo. 
Con questo intervento ci siamo mossi nell’ambito dell’analisi politica, ovvero del tentativo di giustificare le malefatte della politica scolastica, se non di un Governo che ha rimesso i voti dopo quarant’anni, certamente di un altro che non ha avuto la forza (o la volontà sufficiente) per toglierli quando avrebbe potuto farlo, o quanto meno avere la coerenza di dire che sarebbe necessario.

Con il terzo intervento, di Elisabetta Nigris, dal titolo “La valutazione formativa/autentica” si è approdati al versante scientifico e della ricerca sul campo. La relatrice ha infatti esposto i presupposti e i criteri guida di una valutazione formativa che sappia non solo rispettare l’allievo, ma ascoltarne la voce e le opinioni, sia come strumento di autovalutazione (uno dei cardini su cui è ruotato l’intero convegno di studi) e di valutazione tra pari, sia anche come opportunità di giudizio sulla valutazione stessa. La relatrice ha quindi esposto i risultati di una ricerca nella quale agli allievi è stato chiesto di esprimere giudizi e proposte anche sulle pratiche e sul senso stesso della valutazione. Come spesso accade, dalla voce  degli allievi sono scaturite alcune significative verità, che spesso, poi, preferiamo ammantare di teorie, che talora le confermano e rinforzano, altre volte le coprono di cortine di fumo, fin quasi a non più riconoscerle nella loro primigenia autenticità.
Elisabetta Nigris non ha mancato di sottolineare l’esigenza che le pratiche valutative si accompagnino (ma verrebbe da dire siano coerenti) con una idea di scuola, nel suo complesso, che deve trovare riscontro nelle diverse modalità in cui si concepisce e realizza e non solo nelle procedure valutative che adotta.

Un grande merito della giornata e uno dei laboratori

E qui veniamo al grande merito che va riconosciuto a questo convegno e ai suoi organizzatori, ma anche al margine di rammarico che lo accompagna.
Va detto che la sala era stracolma (si è parlato di più di mille iscrizioni) di un pubblico vario e attento., tra il quale le studentesse o laureate da poco in Scienze della Formazione si mescolavano ai docenti e dirigenti in servizio. La giornata del resto era stata preceduta da interessanti iniziative preparatorie e soprattutto da un ampio lavoro di ricerca e sperimentazione, che ha consentito di raccogliere una quantità assai ragguardevole di “Esperienze di non voto”, da parte di docenti e di scuole che hanno sperimentato pratiche alternative alla (sola) valutazione numerica.
Nel quarto intervento della mattina, che ha preceduto la suddivisione del pubblico fra i molti gruppi di lavoro, Franco Passalacqua ha infatti introdotto e illustrato la “Mappa delle esperienze”,  ovvero il quadro di riferimento concettuale e problematico dei “Laboratori per docenti e dirigenti di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria”, di cui forniamo qui l’elenco completo.
Altrettanto lodevole riconoscimento va a chi, in tempi reali, ha raccolto e redatto un dettagliato Report dei lavori svolti nei singoli laboratori, che costituisce un ricco materiale di sintesi e di consultazione, oltre che di ipotesi per la diffusione di queste pratiche.

Uno dei laboratori

Io ho partecipato al laboratorio condotto da Enrica Ena dal titolo “La scuola che costruisce”. Questo l'abstract di presentazione:

Superare l’ossessione valutativa perché tutto sia occasione di apprendimento; valorizzare la collaborazione, l'autonomia e la responsabilità; aprire le porte a pratiche quali l’autocorrezione, la revisione tra pari, l’autovalutazione e, nel nostro caso, ai colloqui con gli studenti.

Enrica Ena è una maestra che vive e insegna a Iglesias, animatrice di un interessante blog (dall'opportuno titolo Che c'è di nuovo in classe ) in cui raccoglie esperienze e riflessioni sulla didattica viva, e di iniziative e incontri di formazione e crescita professionale. Nella sua esposizione ha opportunamente inserito alcuni esempi di colloqui con gli allievi (sia di fine ciclo che durante) nel quadro di una seppur sintetica esposizione dei criteri guida della sua idea di scuola e di didattica, fortemente centrata sulla necessità e l’importanza di valorizzare, in ogni momento, il ruolo, le potenzialità e le risorse degli allievi, di ogni singolo allievo. 

La sua “scuola che costruisce” è anzitutto una scuola che non smette mai di chiedersi “a che cosa serve” e di farlo non solo tra insegnanti, ma anche e soprattutto con gli allievi stessi e i loro genitori, in un percorso-progetto di crescita condivisa. In questo contesto (e senza coerenza con l’insieme del contesto, nulla sarebbe possibile), Enrica Ena propone una valutazione, che ancor più che “formativa” sia “formatrice”, che consenta cioè di “valutare come se si stesse facendo apprendimento”, ovvero mentre si apprende, perché “valutare sempre significa non valutare mai”. 

 

Del resto, se è vero che le pratiche valutative che usiamo tradiscono la nostra visione della  scuola (e della società) - in una reciproca interdipendenza simbiotica fra idea di scuola, metodologie, apprendimento e valutazione -,  è altrettanto vero che una certa idea di scuola deve necessariamente implicare determinati approcci valutativi e non altri. 
In questo universo in cui è tutt’uno essere a scuola insieme con altri, apprendere e far crescere la propria consapevolezza di chi ciascuno riesce ad essere, il voto è un elemento del tutto estraneo e fuorviante. Anche se Enrica Ena ha (inevitabilmente) dichiarato: “Ai bambini ho voluto dire che dentro nel mondo c’erano i voti”.
Come ci sono, aggiungo io, le malattie, la stupidità e la protervia, le monete false, con cui bisogna fare i conti, anche se sarebbe meglio liberarsene. Ma a quel punto, i bambini della maestra Ena, soprattutto quelli arrivati con lei fino alla fine della Primaria, avevano ormai anche gli anticorpi per sapere e sopportare che i voti esistono e addirittura per riceverne uno o più d’uno. Salvo potersene dimenticare, speriamo.

Il rammarico

E arriviamo al rammarico di cui dicevo, che, però, è direttamente proporzionale all’ampiezza, alla qualità e alla passione dei laboratori presentati al Convegno. Scorrendo titoli, argomenti e sintesi dei laboratori, si ha la conferma che la maggior parte dei presenti, forse tutti, non credono alla scuola dei voti, desiderano e tentano di realizzarne un’altra, dove il superamento dei voti si coniughi con il superamento della scuola trasmissiva e si confronti con nuove metodologie didattiche; dove alla falsità del voto si possa opporre una valutazione formativa e autentica, concetto per altro da non abusare e non svilire in pratiche altrettanto inautentiche quanto i voti. Su questo e di questo si potrebbe dover discutere in una scuola finalmente liberata da questo falso in atto pubblico.
Sappiamo bene che il voto, di per sé, non è il solo problema, che le formule si possono aggirare in un profluvio di banalità, che non serve a nulla immaginare di eliminarlo se non cresce una cultura professionale alternativa, che sappia coniugare in modo coerente scuola inclusiva e valutazione adeguata. Ma non è facile per i molti motivi che Cinza Mion ha spesso ricordato,
e anche per la pressione dei genitori e del mondo esterno.
Non è facile e non è facile farlo da soli, come si legge nel report di uno dei laboratori:

Una insegnante ha chiesto di restare uniti su questo tema, di andare avanti e di mantenere un contatto attivo fra scuole e scuole per una prospettiva reale, futura. Per un insegnante da solo è difficile “lottare” o cambiare didattica, spazi, modalità di intervento e decidere individualmente di non dare voti, come si è largamente detto, ma insieme si può trovare una soluzione per una valutazione di qualità anziché di quantità.

È quindi questo il rammarico: è inevitabile chiedersi perché si è voluto correre il rischio - in questo convegno - di orientare la volontà, la consapevolezza e la dignità professionale delle persone presenti verso scelte incoerenti di coesistenza possibile fra voti e valutazione formativa, che, se va bene, risultano parziali e compromissorie, se va male ambigue e controproducenti. Chi è a scuola, inevitabilmente applica la legge e, se crede, lavora per consentirne un suo superamento. Ma tocca a una buona politica scolastica e alla cultura pedagogica avere il coraggio della coerenza e della libertà e autonomia intellettuale. Se sui voti si pensa ciò che si è detto e scritto al convegno, se si crede nella possibilità, anzi nella necessità di una scuola senza voti, se si è convinti che per realizzarla è necessaria una coerenza fra la valutazione e le altre variabili di sistema, allora, mentre in classe continuiamo a costruire e testimoniare e far crescere le alternative possibili, fuori - nell’esercizio del proprio ruolo di “cittadini governanti” (come avrebbe voluto Gramsci) o “sovrani” (come avrebbe voluto don  Milani) - possiamo e dobbiamo chiederne l’abrogazione. Per sentirci più liberi di agire con coerenza, ma anche per liberare altri che lo vorrebbero, e per togliere uno strumento ipocrita e dannoso a chi continua a crederci e a usarli. Altrimenti, noi continueremo a restare la minoranza. Volenterosi e a tratti certamente encomiabili. Ma sostanzialmente sconfitti. E soprattutto sconfitti rischiano di restare gli allievi, in attesa perenne di una scuola migliore.

Ben venga, allora, l’iniziativa promossa da MCE e raccolta da molte associazioni professionali – tra cui anche il Cidi insieme con la rivista “insegnare” – di lanciare una campagna per l’abrogazione del voto.  Anche questo convegno avrebbe potuto essere ancora più fortemente  un’occasione per sostenere con forza la campagna  e chiedere alle moltissime persone e scuole presenti di aderire, così è com’è stato fatto nelle conclusioni della giornata da Anna D’Auria, Segretaria nazionale MCE.


 

 

 versione audio

 

Qualcuno mette i voti...

Qualcuno mette i voti...
perché così almeno si capisce com’è andata.
Qualcuno mette i voti...
anche se così non si capisce com’è andata.

Qualcuno mette i voti...
perché sta seduto nelle ultime file del collegio docenti
e di qui non si sente che cosa dicono là davanti.
Qualcuno mette i voti...
perché sta seduto nelle prime file del collegio docenti
e tanto dietro non ascoltano che cosa si dice qua davanti.

Qualcuno mette i voti...
perché dopo dieci anni di precariato ha perso la speranza
Qualcuno mette i voti...
perché ha perso la speranza dopo trent’anni di ruolo.

Qualcuno mette i voti...
perché intanto è tutto inutile.
Qualcuno mette i voti...
perché è finalmente una cosa utile.

Qualcuno mette i voti...
perché la scuola è una cosa seria
ed è importante valutare con chiarezza.
Qualcuno mette i voti...
perché la scuola non è più una cosa seria
e tanto non gli importa quello che gli scrivi.
Qualcuno mette i voti...
perché la scuola non è mai stata una cosa seria
e bisogna smettere di perderci troppo tempo.
Qualcuno mette i voti...
perché la scuola deve tornare a essere una cosa seria.

Qualcuno mette i voti...
perché così imparano a non studiare.
Qualcuno mette i voti...
perché tanto non studiano lo stesso.

Qualcuno mette i voti...
perché ha fatto il sessantotto e non gli hanno mai dato retta.
Qualcuno mette i voti...
perché è ora di finirla con quelli che hanno fatto il sessantotto.
Qualcuno mette i voti...
perché è lo fanno anche tutti quelli nati nel sessantotto.

Qualcuno mette i voti...
perché non ha mai fatto una sola ora di aggiornamento
tanto non ne valeva la pena.
Qualcuno mette i voti...
perché ha fatto troppe ore di aggiornamento
e non sa se ne è valsa la pena.

Qualcuno mette i voti...
perché è di destra e finalmente è arrivato
qualcuno a mettere un po’ di ordine e di disciplina.
Qualcuno mette i voti...
perché è molto di sinistra ed è ora di finirla
con il didattichese e il pedagogismo riformisti.
Qualcuno mette i voti...
perché è un vero democratico e ogni tanto
bisogna pur dar ragione alla destra.
Qualcuno mette i voti...
perché è di centro e tutte quelle
continue innovazioni hanno fatto male alla scuola.

Qualcuno mette i voti...
perché si fa più in fretta e con i figli, la casa,
la madre ammalata non si può mica star lì a scrivere
cose che non importano a nessuno.
Qualcuno mette i voti...
perché ha un doppio lavoro e bisogna pur mangiare.
Qualcuno mette i voti...
perché quello che conta sono i contenuti
e tutto il resto è solo burocrazia inutile.
Qualcuno mette i voti...
perché la didattica sono tutte balle e finalmente
la smetteranno di rompergli i coglioni.

Qualcuno mette i voti...
perché legge Pirani su Repubblica
Galli della Loggia sul Corriere
Ricolfi sulla Stampa
e trova che sia sempre lo stesso articolo
e che l’autore ha proprio ragione.

Qualcuno mette i voti...
perché ha letto tutti i libri della Mastrocola
e ne ha parlato anche col suo cane.
Qualcuno mette i voti...
perché ha letto tutti i libri di Starnone
e continua a parlarne con se stesso.

Qualcuno mette i voti...
perché è da tanti anni che non legge un libro.
Qualcuno mette i voti...
perchè ha letto troppi libri.
Qualcuno mette i voti...
perché deve finire l’ultimo libro che sta leggendo.

Qualcuno mette i voti...
perché non ha capito che questa svolta
distruggerà definitivamente la scuola progressista.
Qualcuno mette i voti...
perché ha capito che questa svolta
distruggerà finalmente la scuola progressista.

Qualcuno mette i voti...
perché sta alle superiori e l’ha sempre fatto.
Qualcuno mette i voti...
perché sta alle medie e finalmente può farlo di nuovo.
Qualcuno mette i voti...
perché sta alle elementari e non è mica diverso dagli altri.

Qualcuno mette i voti...
perché lo dice la legge.
Qualcuno mette i voti...
perché anche se la legge non lo dice
si sa che è quello che intendeva il ministro.
Qualcuno mette i voti...
perché anche se la legge non lo dice
lo fa capire il regolamento del ministero.

Qualcuno mette i voti...
perché si è sempre fatto così.
Qualcuno mette i voti...
perché era ora di far di nuovo così.


Ma altri, non importa se pochi o tanti,
continueranno a non mettere i voti
perché nel loro cuore e nella loro mente
sanno che è meglio non farlo. Molto meglio.

Melbam, il 2 gennaio 2009
(pensando a Eluard, Gaber e Jannacci, si parva licet...)

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".