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13/10/2017

La non cittadinanza è un concerto senza musica

di Franco Lorenzoni

La giornata del 3 ottobre

Decine di ragazze e ragazzi sono seduti in semicerchio. Ciascuno di loro ha in mano uno strumento musicale perché insieme compongono l’orchestra della scuola. C’è molta gente intorno che si è assiepata curiosa, perché tutto ciò accade a Roma, a Colle Oppio, in un luogo generalmente assai trafficato.

La professoressa che dirige l’orchestra comincia a muovere le mani per dare ritmo al concerto ma dagli strumenti non esce alcun suono. Tutti guardano stupefatti il silenzio concentrato di ragazze e ragazzi che, immobili, suonano un non musica.

Così in una giornata di sole, di fronte al Colosseo, professori e ragazzi della Scuola secondaria di primo grado Giuseppe Mazzini hanno mostrato cosa sia per loro la non cittadinanza: un concerto muto, privo di suoni.

In tutta Italia martedì 3 ottobre, in occasione della “Giornata della memoria delle vittime delle migrazioni”, si sono svolte centinaia di iniziative sul tema delle migrazioni, della cittadinanza, del diritto di tutte e tutti i bambini e ragazzi di essere considerati cittadini italiani.

Dalla Scuola primaria di via Bosio a Chieti alla Scuola Don Milani-Colombo di Genova, dalla Collodi di Perugia alla Amari-Roncalli-Ferrara di Palermo, al Neruda, Oberdan e Padre Semeria di Roma, sono centinaia gli Istituti comprensivi che il 3 ottobre hanno organizzato iniziative inaugurando il mese di mobilitazione sulla cittadinanza che si concluderà il 3 novembre. Ci sono state anche iniziative come quelle realizzate ad Iglesias o dalla scuola Rinascita di Milano che hanno suscitato polemiche da parte di partiti e giornali che vi hanno visto una strumentalizzazione politica dei bambini da parte degli insegnanti.

Educare ai valori non è fare strumentalizzazione politica

Su questo è necessario fare chiarezza. Le Indicazioni nazionali per il curricolo, che sono legge dello stato dal novembre 2012, prescrivono che a scuola noi insegnanti si educhi alla cittadinanza e in quel documento ufficiale si nomina persino la “cittadinanza attiva”. Ci sono raccomandazioni votate dal Parlamento Europeo e fatte proprie dal MIUR che invitano con forza noi insegnanti a lavorare sulle competenze di cittadinanza. Ora, se non vogliamo giocare con le parole, è evidente che nel nostro lavoro il considerare tutte le bambine e i bambini, tutte le ragazze e i ragazzi cittadini a tutti gli effetti è premessa indispensabile per dare coerenza al nostro impegno professionale e senso al nostro mestiere di educatori. 

Sono sempre stato avverso a forme di educazione ideologiche, che pretendano di fare aderire passivamente bambini e ragazzi a ciò che pensiamo noi insegnanti. So quanto la retorica e certe volte anche l’ostentazione di buoni sentimenti sia sterile e lontana da quell’educazione al senso critico e all’approfondimento senza pregiudizi, che dovrebbe essere al centro di ogni pratica educativa attiva, laica e democratica.

Ma proporre i valori in cui crediamo è opzione che tutti i giorni noi non possiamo non fare. Anche se volessimo non esplicitare le nostre posizioni, il nostro corpo parla e bambini e ragazzi sono giudici di coerenza sempre in allerta. Sanno bene, infatti, che se uno parla di democrazia e poi non ascolta e non dà mai la parola ai ragazzi, il messaggio che manda è un altro.

Ecco dunque un caso esemplare su cui misurarci. Io, come tante e tanti altri insegnanti provo da anni, a volte con fatica e difficoltà, a dare dignità e spazio a ciascuno dei bambini con cui lavoro, a considerare tutti portatori di uguali diritti. Come posso allora non schierarmi riguardo al diritto di cittadinanza senza contraddire il fondamento stesso del mio educare? Mi trovo di fronte a due leggi dello Stato in contraddizione tra loro e non posso non scegliere, non dire apertamente da che parte sto, assumendomene responsabilità e conseguenze.

Concretamente, con i ragazzi con cui lavoro, sto cercando di raccogliere dati significativi, allargare il discorso e approfondire. Collezioniamo storie ascoltate o lette e tabuliamo dati, perché la statistica e la matematica ci aiutano a comprendere la realtà.

Scopriamo così in quinta elementare che ad Atene, dove nacque la democrazia, non votavano le donne, gli stranierei e gli schiavi. Che in Italia le donne votano solo dal 1946 e che ci sono voluti decenni dopo l’unità d’Italia per arrivare al suffragio universale, che poi il fascismo negò per vent’anni. Scopriremo nelle prossime settimane che oggi, rispetto alla popolazione residente nel nostro paese, coloro che possono esercitare il diritto di voto sono diminuiti in percentuale perché gli stranieri, anche quelli che vivono qui da anni e contribuiscono con il loro lavoro e le tasse che pagano alla ricchezza del nostro paese, non hanno la cittadinanza e dunque il diritto al voto.

Ragioneremo, discuteremo di tutto ciò. Forse metteremo in mostra scoperte, pensieri, dubbi, domande, come abbiamo sempre fatto.

Ho detto e dirò loro che mi batto per lo ius soli e lo ius culturae, perché ritengo che come tutti abbiamo doveri da rispettare, anche i diritti devono essere uguali per tutti coloro che risiedono nel nostro paese, anche se vengono da lontano e hanno genitori stranieri.

Questo faccio e questo ritengo sia il mio dovere fare come insegnante, senza nascondermi dietro a una presunta neutralità del sapere, perché cultura è approfondimento, sviluppo di capacità critiche, relazione viva con la realtà ma anche scelte e opzioni individuali che vanno condivise. Devo dire che dopo il 3 ottobre mi sento in buona compagnia.

 

Scrive...

Franco Lorenzoni Maestro elementare, co-fondatore e coordinatore della Casa laboratorio di Cenci, Amelia, scrittore.

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