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21/08/2014

L'estate della guerra e l'autunno dei curricoli

di M. Gloria Calì

Stamattina, mentre ci apprestavamo a pubblicare questo contributo di M. Gloria Calì, sulle pagine web dei principali quotidiani campeggiava un tweet del Presidente del Consiglio, che, commentando una fotografia nella quale batte il cinque con alcuni bambini iracheni, scrive: "È dura spiegare la guerra agli adulti. È impossibile farlo ai bambini".
Questa frase non è priva di una sua verità, ben al di là della circostanza e delle motivazioni che l'hanno originata, ma è certamente condivisibile l'argomentazione di M. Gloria Calì, ma forse non così scontata.

E allora, è inevitabile chiedersi: Ma è possibile spiegare la guerra ai bambini?

[NdR]

I fronti di guerra ardono, e il fuoco sembra diffondersi senza fine, in questa estate terribile.
Dalla striscia di Gaza all’Iraq, dalla Siria alla Libia, agli Stati Uniti, pulizie etniche e guerriglie urbane riempiono le bare, le fosse comuni, i social network, i notiziari. Storie di morte senza soluzione di continuità ci vengono proposte quotidianamente, entrano da qualunque finestra informativa venga aperta.
Ci chiediamo “dove” e “perché”? Magari qualcuno di noi lo sa, magari qualcuno di noi questi posti li ha già visti, mentre vivevano in pace, forse una pace colpevole, ma pace era. Io, per esempio, conosco la Siria e la Libia per motivi professionali: prima di essere un’insegnante, ho lavorato come archeologo, proprio nelle città e nelle regioni ora devastate da una violenza di tribù, di gruppi etnici, di pseudo-fedi religiose. Qualcuno conoscerà certamente la Terra Santa, per esserci stato in pellegrinaggio. Ora, le immagini rimandano macerie, campi profughi, montagne e deserti che sembrano tutti un uguale inferno; gente dal colorito e dai tratti somatici vagamente mediorientali che sembrano tutti un’uguale stirpe di dannati.

 Noi insegnanti dovremmo per primi chiederci “dove?” e “perché?”. Gli insegnanti, quelli che hanno due, addirittura tre, mesi di vacanza, non dovrebbero lasciar passare invano questa estate di guerra, e portare nell’anno scolastico, ormai prossimo a ricominciare, la conoscenza di questi luoghi e di queste vicende. È un dovere professionale, anzitutto, per gli insegnanti del primo ciclo, e in particolare per “quelli di lettere”; è scritto, infatti, nella parte introduttiva alle nuove Indicazioni Nazionali per il Primo Ciclo, sotto il titolo “Per un nuovo Umanesimo”: “da un lato, tutto ciò che accade nel mondo influenza la vita di ogni persona; dall’altro, ogni persona tiene nelle sue stesse mani una responsabilità unica e singolare nei confronti del futuro dell’umanità. La scuola può e deve educare a questa consapevolezza e a questa responsabilità i bambini e gli adolescenti, in tutte le fasi della loro formazione”. Si vede brillare, nel testo, la pulsione etica che dovrebbe informare la prassi della professione insegnante, come maestro di coscienza individuale, come educatore di uno sguardo sul mondo ampio e profondo nello stesso tempo.

Scorrendo le Indicazioni, nella parte relativa alla Storia, si leggono parole-guida come “complessità”, “ragionamento critico”… fino ai “Traguardi per lo sviluppo delle competenze” in cui leggiamo che l’alunno, educato dai suoi insegnanti, “usa le conoscenze e le abilità per orientarsi nella complessità del presente, comprende opinioni e culture diverse, capisce i problemi fondamentali del mondo contemporaneo”. Un alunno, quindi, che sa “perché”; un adolescente che “comprende”, nel suo presente, la diversità culturale o ideologica e individua le criticità in atto davanti ai suoi occhi.
Continuando verso la parte della Geografia, si leggono parole-guida che rimandano a quanto scritto sopra: di nuovo la parola “presente”, “mondo attuale”; e se noi non l’avessimo chiaro, il legame tra Geografia e Storia, l’estensore del testo ministeriale chiarisce: “poiché lo spazio non è statico, la geografia non può prescindere dalla dimensione temporale, da cui trae molte possibilità di leggere ed interpretare i fatti che proprio nel territorio hanno lasciato testimonianza, nella consapevolezza che ciascuna azione implica ripercussioni nel futuro”. Come dire: oltre a insegnare la distinzione tra foce a delta e ad estuario, forse è il caso di coinvolgere i ragazzi nel chiedersi perché Gaza è una striscia di terra ampia soltanto 460 Kmq dove la gente comune non riesce a sopravvivere in condizioni normali.

Ci sono moltissimi strumenti, a disposizione degli insegnanti, per una rapida formazione personale e per la costruzione di percorsi di apprendimento semplici e coinvolgenti: i giornali e le riviste online, le enciclopedie libere, i siti ministeriali di informazioni, la celebre applicazione “Google Earth”, che consente di visualizzare ogni parte della Terra con un notevole dettaglio, oltre a produrre percorsi animati, e simili “giochi di prestigio” adatti a tutti i “nativi digitali” che riempiono le classi. Tutto gratis. Certo, ci vuole tempo, sapienza e buona volontà; io, però, sono fiduciosa sul fatto che molti insegnanti italiani sanno che la coscienza civile e la cittadinanza attiva dei propri “assistiti” si sollecita non solo con le raccolte di beneficenza, ma anche e soprattutto con la somministrazione di strumenti di conoscenza e competenza.

Chi è insegnante nella scuola dell’obbligo, e in particolare chi lavora con le materie cosiddette “umanistiche”, ha il privilegio di poter accompagnare una mente all’orientamento in quella “complessità del presente” di cui le Indicazioni parlano, e che ora è connotata con tinte e tratti fortemente drammatici; non dovrebbe perciò esimersi, nel percorso di lavoro prossimo, in qualunque ordine e grado, dal centrare la propria attività di insegnamento sui temi e sui luoghi di tutte le guerre dell’oggi. Io lo farò, perché non conosco altro modo per rendere omaggio alla memoria di tutti quei bambini che, in questa maledetta estate, avrebbero potuto giocare sulla spiaggia. Se solo fossero nati “altrove”.

 

Credits

Immagine a lato. Casa distrutta a Gaza. Foto © http://www.qcodemag.it
Immagine in basso. Murales su una casa di Haimaey, isole Vestman, Islanda. Foto © s.a./insegnare

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