Home - la rivista - scuola e cittadinanza - Meriti e diritti

temi e problemiscuola e cittadinanza

11/01/2023

Meriti e diritti

di Giuseppe Buondonno

Uno dei primi, espliciti, segnali di una trasformazione genetica dei socialisti italiani fu – nei primissimi anni '80 – il celebre discorso di Claudio Martelli sui meriti e i bisogni, ma non è per riaprire una polemica ormai archeologica che vi faccio riferimento [1]. Certo, quel discorso – del resto tutt’altro che banale – oggi potrebbe persino scaldare i cuori, non foss’altro che per la complessità articolata della riflessione, di cui, nel tempo della semplificazione, si notano solo poche tracce. Esso, nel nome dell’autonomia socialista, di fatto, chiudeva l’orizzonte di una trasformazione radicale della società capitalista (in tumultuosa trasformazione) e ne assumeva, anzi, le compatibilità come terreno unico - verrebbe da dire positivisticamente naturale – in cui esercitare quel riformismo che poi si è rivelato debole e subalterno. Erano, d’altra parte, gli anni del reaganismo e del tatcherismo, di cui Craxi, tagliando le radici, si proponeva come emulo italiano. Sappiamo come andò a finire. Ma non è, appunto, quel senso politico del discorso di Martelli, che m’interessa; bensì, appunto, la sua coppia centrale: i meriti e i bisogni.
Se torniamo un po’ a quegli anni, con la memoria, ricorderemo che uno dei portati più potenti dell’ideologia neoliberista reaganiana era quella del successo individuale, delle opportunità personali che il capitalismo garantiva, che avrebbe premiato i meritevoli e (secondo il refrain liberista delle origini) avrebbe, poi, aiutato chi avesse bisogno. Naturalmente il non detto è che chi ha bisogno non ha abbastanza merito. Anche in questo caso, sappiamo come andò a finire; come va a finire sempre, da quando Adam Smith scrisse La ricchezza delle nazioni (1776).

Dopo la stagione più ricca di esperienze e battaglie collettive – quel ventennio degli anni '60 e '70, che la storiografia mutata in giornalismo frettoloso riduce alla cupa metafora degli “anni di piombo” – finalmente si tornava all’individualismo, ai meriti e ai bisogni dell’individuo, al privato (inteso, in superficie, in senso esistenziale; alla radice, invece, in senso economico). Non a caso, alla metà di quegli anni '80, una mente lucida e profonda come Pietro Barcellona mandò alle stampe un libricino prezioso, che si intitolava (profeticamente e criticamente) L’Individualismo proprietario; un testo che andrebbe riletto, alla luce di quanto stiamo vivendo[2].

Non sembri troppo lunga questa lunga premessa. Ci sono due nodi, in verità, su cui, prioritariamente, mi interessa riflettere.
Il primo: la coppia meriti-bisogni, come appare evidente, saltava e salta, a piè pari, il cardine costituzionale dei diritti; o, nella più ottimistica delle interpretazioni, lo lascia ignorato sullo sfondo. Ma intanto la lotta per i diritti ha mosso, nei tre secoli che ci precedono, qualunque forma collettiva di partecipazione politica; ha dato sostanza alla nozione stessa di democrazia. L’istruzione è un diritto; il sapere in generale lo è, a prescindere da qualunque merito. Un diritto universale, tanto nell’accezione individuale, che collettiva. Sottolineare la dimensione del merito vuol dire (quantomeno implicitamente) considerarlo un diritto limitato, misurabile in relazione ad uno standard (fissato, poi, da chi? E con quali criteri?). E siccome si sta parlando della scuola pubblica - cioè della formazione dell’infanzia e dell’adolescenza – non della selezione ad un concorso o della concorrenza tra studi di avvocati (perché, certo, a nessuno farebbe piacere essere operato da un chirurgo raccomandato, piuttosto che da uno bravo), significa che si sta cercando di spostare sempre più in basso nell’età la dimensione concorrenziale; cioè sempre più vicini alle condizioni di partenza, quindi di schiacciare intere classi sociali alla propria condizione di origine; il contrario esatto dell’uso – strettamente connesso al diritto d’emancipazione – che la Costituzione repubblicana fa della parola merito. Padri e madri costituenti ci hanno voluto lasciare un compito (difficile e ampiamente tradito, in questi decenni), quello chiaramente definito dal II comma dell’articolo 3, da cui nessun altro articolo può prescindere: rimuovere gli ostacoli alla realizzazione di sé e alla crescita complessiva di tutti e tutte; che significa – in relazione al merito – far sì che ogni bambina o bambino, ogni ragazzo o ragazza sia messo nelle condizioni di crescere umanamente, civilmente, culturalmente, in una dimensione solidale, e non veda negati – nel corso della vita – le proprie caratteristiche, capacità e, in questo caso sì meriti, perché quegli ostacoli non vengono rimossi, ma, anzi, irrigiditi. Questo fa dell’istruzione un diritto, e del merito, semmai, un misuratore di uguaglianza nelle condizioni di partenza. Ma di partenza quando? Alla fine di un percorso scolastico e formativo, non durante questo percorso che, invece, deve essere libero da ogni logica concorrenziale. Inoltre, non solo ciascuno deve trovare sé stesso, costruire le condizioni per la propria felicità, ma deve essere formato alla dimensione collettiva dell’imparare, dello scoprire, del saper gestire i propri errori. Quel percorso formativo – come ha scritto magistralmente Beppe Bagni nel nostro comune libro[3] – deve essere come l’armadio dei genitori, da cui si prendono e si smettono dei vestiti, liberamente e coi tempi giusti per ciascuno, per capire chi siamo e non quanto saremo in grado di produrre. Interpretare diversamente il processo di formazione – secondo le logiche selettive del mercato – significa non solo trasformarlo in una gara quantitativa, ma anche voler snaturare la radice solidaristica del dettato costituzionale, che è ciò che lo distingue nettamente dalle costituzioni liberali ottocentesche o del primo Novecento.
Il secondo: la sottolineatura del merito ha l’obiettivo evidente di veicolare un’idea individualistica della vita, prima ancora che della formazione o dei processi economici; e l’individualismo è sempre stata l’ideologia delle classi dominanti. Quelle subalterne, non a caso, solo in una dimensione sociale e collettiva hanno strappato dei diritti. Il cosiddetto merito, infatti, enfatizza proprio la corsa individuale: “io posso farcela”, da solo, se serve sgambettando gli altri; ribalta alla radice l’idea che si possa e si debba crescere insieme, “farcela insieme”; che ognuno “ce la fa” solo se “ce la fanno” tutti, ma proprio tutti; ognuno cresce prendendosi cura della dimensione collettiva. Tanto i meriti, quanto i bisogni vengono, invece, ridotti alla dimensione dell’individuo: devo trovare una risposta ai miei bisogni; devo affermare i miei meriti; in una visione in cui scompare la dimensione collettiva dell’universalità dei diritti; la sola che, tra l’altro, protegge chi è più debole (in ogni senso) da un destino di subalternità. Non è un caso che le due affermazioni più celebri di Don Lorenzo Milani mettessero a nudo questi due rischi e la loro intima relazione: “fare parti uguali tra diseguali” è la critica della misurazione liberista; “sortirne da soli è egoismo; sortirne insieme è politica” è, ovviamente, la critica dell’individualismo. Solo un profondo e sconfortante smarrimento delle proprie ragioni, della propria identità, può aver portato forze politiche o intellettuali, con radici di sinistra (evidentemente tagliate di netto) a far propria la visione dell’avversario. È uno dei terreni in cui è più visibile la perdita di ogni capacità egemonica e, dunque, di ogni autonomia.

Ho parlato di misurazione, non a caso. Non solo perché – tra test, crocette e voti – sembra essere l’ossessione dei moderni “Chicago boys” della formazione; ma perché la quantità (ce lo insegna il I libro de Il capitale)  è il mantra del capitalismo, la reductio ad unum delle sfere umane alla sola, appunto, dimensione di produttori e consumatori di merce. Un modello di scuola, per un modello di società, per un modello di umanità.
Voglio aggiungere, però, un’ultima considerazione su questo aspetto. Se, in generale, l’esasperazione individualistica destruttura l’idea democratica, nella cura dei processi conoscitivi – soprattutto delle generazioni presenti e future, nell’era dell’ipertrofia dell’io, ma anche della più spinta atomizzazione sociale e relazionale – rischia di rendere irreversibile un danno all’umanità, alle sue potenzialità di autocorrezione.

Naturalmente, quello di cui ci sarebbe bisogno nella scuola è ben altro (ma avremo presto occasione di riparlarne) cioè tutto quello che risponderebbe al dettato dell’articolo 3 (a cominciare dalle classi più piccole e dalla gratuità della formazione, dal nido all’università). Ma quello che oggi appare evidente – dalla correzione del nome dei Ministeri, all’elogio dell’umiliazione, alla didattica orientata al lavoro, alla visione punitiva e securitaria verso i giovani – è che non è solo di scuola che si parla, quando si parla di scuola; si parla della democrazia, delle libertà e dell’umanità che abiterà il pianeta nei prossimi secoli. Se a qualcuno dovesse apparire esagerato, farà come quelli che, trent’anni fa, lo pensavano anche dell’emergenza ambientale. Io credo di aver compreso il senso profondo (e non solo quello storicamente determinato) dell’ottava Tesi benjaminiana sul concetto di storia: “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di emergenza’ in cui viviamo è la regola." [4].

 

Note

1. Il discorso di Claudio Martelli, "Per un'alleanza fra il merito e il bisogno", tenuto nel 1982 a Rimini, in una Conferenza programmatica dell'allora Partito Socialista Italiano, è interamente scaricabile nell'archivio on line di mondooperaio; ripreso dall'autore, nel 2017, in un convegno commemorativo a 35 anni di distanza, ha dato origine sia allora, che più recentemente, a un intenso dibattito.
2. P. Barcellona, L’Individualismo proprietario, Bollati Boringhieri, 1987.
3.  G. Bagni, G. Buondonno, Suonare in caso di tristezza. Dialogo sulla scuola e sulla democrazia, PM, 2021.
4. Cfr. W. Benjamin, "Tesi di filosofia della storia" (1940), in Angelus novus. Saggi e frammenti, trad. it. di R. Solmi, Einaudi, pp. 75–86;  sono leggibili e scaricabili qui: Microsoft Word - 09. Benjamin Tesi di filosofia della storia (noblogs.org).

 

Credits


Immagine a lato del titolo: Allievi in aula di istituto professionale a Torino negli anni sessanta; tratto da Home Page | 9centro (polodel900.it).

Parole chiave: diritti, equità, merito

Scrive...

Giuseppe Buondonno Insegnante di Lettere al Liceo Artistico di Fermo; è responsabile Scuola e Università di Sinistra Italiana.

sugli stessi argomenti

» tutti