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30/06/2023

La scuola ci fa eguali

di Caterina Gammaldi

Contribuire a realizzare l’utopia dell’educazione per tutti e di una scuola democratica, più attrezzata culturalmente, più vicina agli interessi di ragazze e ragazzi, tesa a “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, resta per il CIDI – da 50 anni –la  direzione di marcia. Voglio ripartire da questo assunto di fondo per contrastare l’idea che la scuola secondo Costituzione non sia una idea moderna perché non vive nel presente, né guarda al futuro delle giovani generazioni. Io penso invece che la scuola secondo Costituzione non sia solo una dichiarazione di principio, ma un agire responsabile, collettivo verso chi vive e vivrà in questo paese. Si educa istruendo, e la scuola della Costituzione non ammette scorciatoie, né può essere derubricata assumendo le ragioni dettate dal mondo economico e produttivo. 

Il senso della scuola 
I cambiamenti profondi, talora rapidi e contraddittori, intervenuti nel XX  e XXI secolo impongono, qui e ora, di ricondurre il terreno di confronto sulla scuola  democratica, pubblica e laica  all’idea originaria di “organo costituzionale”, ematopoietico, come ebbe a dire Calamandrei, da cui “parte il sangue che rinnova giornalmente tutti gli altri organi, giornalmente, battito per battito, la rinnovazione e la vita”. Un’idea che corrisponde alla ricerca nella scuola -  per tutte e per tutti -  di un’ esperienza fondata sulla cultura e sulle culture, senza chiusure identitarie e pregiudizi culturali. 

Guardo con molta preoccupazione ai processi che introducono cambiamenti su aspetti che hanno a che fare direttamente o indirettamente con la revisione delle grandi coordinate del sapere, che non accolgono le diversità, che non si pongono il problema di riformulare le domande di istruzione diffusa costruendo le risposte necessarie allo sviluppo del Paese e riguardanti le conoscenze fondamentali che si intendono garantire in tutto il percorso scolastico. Noi continuiamo a pensare che le semplificazioni dettate da una modernizzazione non sostenuta da pensiero critico e memoria culturale introducano a una pericolosa descolarizzazione della società, in atto in tutto il mondo industrializzato. 

Fondata sulla cultura e sulle culture, vuole dire richiamare il principio della libertà della cultura di cui all’art.33 della Costituzione, in cui è possibile  riconoscere uno dei pilastri su cui si fonda il vivere insieme. La scuola istituzione della Repubblica è una impresa sì, ma culturale, e la risposta politica non può non essere  che la rimozione degli ostacoli, di cui all’articolo 3 comma 2.

La centralità del soggetto che apprende 
Tutto il sistema educativo di istruzione e formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona che entra nelle scuole, cresce e apprende, dalla scuola dell’infanzia al ciclo secondario” (Indirizzi per l’attuazione del curricolo, 2001).
Nonostante il dichiarato, l’agito troppo spesso non corrisponde a scelte educative che sappiano davvero guardare ai soggetti, a tutti i  soggetti, a partire da quelli che frequentano i servizi educativi destinati alla prima infanzia, a cui devono  poter corrispondere azioni culturali, in termini di finalità, capaci di costruire identità, autonomia, competenza, cittadinanza alle diverse età.
In questa prospettiva la scuola pubblica non può segnare precocemente i destini di chi apprende secondo la vecchia impostazione che la scuola è solo per chi ce la fa. Decisivo è accompagnare chi apprende dall’io al noi lungo tutto il corso della vita, quale che sia il contesto in cui ciascuno è nato e vive. Le politiche per l’istruzione devono poter contrastare le diseguaglianze che vivono nella società, senza che questo compito venga sbrigativamente appaltato all’esterno. 
La canalizzazione precoce, la personalizzazione, la differenziazione dei percorsi di insegnamento-apprendimento non sono le soluzioni al problema delle differenze individuali. Rispondono a criteri adattivi, lontani dalle scelte culturali che pongono al centro dell’apprendimento in età scolare la dimensione dell’imparare insieme. La scuola, oggi come allora, ha un solo problema. I ragazzi che perde. (Scuola di Barbiana, 1967)

Ne perdiamo tanti, troppi. I dati ci dicono anche dove e perché, ma invece che la separazione precoce già nella scuola dell’adolescenza o l’idea di istruirli quel tanto che basta, orientandoli presto alle scelte di vita nell’illusione che a chi non vuole imparare basti un mestiere, occorrono scelte legislative che possano accompagnare bambine e bambini, ragazze e ragazzi verso il non uno di meno. Noi  pensiamo, e non da ora, che si può “insegnare a chi non vuole imparare” e che all’i care della scuola di Barbiana debba saper corrispondere un’idea di sapere che si ponga il problema del diritto ad apprendere insieme nelle differenze e nelle relazioni. 
Per questo non mi stanco di chiedere alla politica che siano colmati i ritardi strutturali e culturali, intervenendo sugli ostacoli che impediscono l’esigibilità del diritto all’istruzione, una precondizione per accedere agli altri diritti. Per questo continuo a chiedere  al mondo della cultura di assumere con decisione il tema delle rilevanze formative dei saperi. La dispersione, il disagio, l’insuccesso richiedono politiche che sappiano intervenire su problematiche di contesto che, stanti le diversità territoriali,  non si possono rimuovere se non intervenendo sugli aspetti che impediscono un sistema educativo nazionale giusto ed equo per tutte e per tutti. E tali aspetti non sono solo interni al sistema scuola o di sua esclusiva competenza. Vanno presidiate tutte le aree che impediscono, nei fatti, l’uguaglianza sostanziale, se non vogliamo che essa resti irrealizzabile per molti. 

Gli insegnanti 
Noi del CIDI siamo stati o siamo  insegnanti e in quanto tali intendiamo proporre di guardare al nostro lavoro partendo da quel che abbiamo perso, negli ultimi anni, in termini di quantità e qualità, a causa di scelte dettate dal contenimento della spesa pubblica e da un’idea di insegnante solista, in controtendenza rispetto all’idea, in cui crediamo, che questa professione può essere esercitata solo nell’agire collettivo e riflessivo. Per questo siamo contrari ai processi di riforma che intervengono sullo status di insegnante, sulla sua funzione, sul suo ruolo nella società con scelte che rafforzano la dimensione individuale dell’insegnamento e le gerarchie all’interno della scuola.
La precarietà che caratterizza il lavoro degli insegnanti e che la segnerà anche in futuro è essa stessa situazione che impedisce identità e sviluppo professionali nel contesto di lavoro. Gli insegnanti da tempo sono poco considerati nelle narrazioni che li rappresentano inadeguati a risolvere i problemi educativi del nostro tempo. A riguardo mi piace  sottolineare che il sistema della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, il reclutamento del personale, la sua  valorizzazione sono stati e sono spesso il risultato di approcci che non assumono il peso dei cambiamenti sociali inevitabili nel sistema educativo.
La risposta è allora  dare un senso al dichiarato negli articoli  6 e 7 del dpr 275/99 (autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, reti di scuola); è quanto manca alle istituzioni scolastiche autonome e agli insegnanti. Non sfugga l’importanza, in questa prospettiva, dei tavoli di coprogettazione con i soggetti attivi sul territorio dall’Università agli Enti locali, all’associazionismo professionale e non.  Le politiche attive del lavoro, anche nel caso dei lavoratori della conoscenza, non possono essere assolte pensando al tutoring, al mentoring, all’orientamento, alle competenze professionali delegate allo staff del dirigente.

La cultura della scuola e il curricolo 
Rilevo purtroppo che l’attacco alla cultura della scuola è evidente e non solo per il primato del mercato. Le grandi coordinate del sapere sono state derubricate a vantaggio di tesi che privilegiano lo sviluppo delle competenze non cognitive e quelle richieste dal mondo economico e produttivo. Noi pensiamo con i nostri maestri (linguisti, storici, giuristi, scienziati, economisti…) che prendersi cura delle parole - qualità e quantità - e delle discipline in senso formativo è per i nostri bambini e adolescenti pratica effettiva di democrazia.

La cultura della scuola non può essere orientata dal mondo delle imprese, né dalla parte politica che intende rappresentarlo. La scuola democratica vive nei modelli culturali che fanno riferimento allo sviluppo delle persone, dei cittadini, dei lavoratori. D’altro canto il superamento della logica del programma a vantaggio di indicazioni curricolari pone interrogativi sempre attuali sul sapere della scuola utile per la cittadinanza, sostenibile, adulto, verticale e leggero, capace di promuovere apprendimenti significativi. 
 

Il sistema di istruzione nazionale e il territorio
Il territorio è una fonte. Richiede un sistema nazionale di istruzione che sappia riconoscerlo. Promuovere le autonomie locali (art. 5 della Costituzione) è operazione complessa, ma non può risolversi nella frantumazione in venti scuole regionali, quelle che postula il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Non si possono individuare livelli essenziali delle prestazioni in astratto o sostanzialmente legati ai contesti, ai contributi dei cittadini di quel territorio. Non si ridurrebbero le diseguaglianze. Il territorio curvilineo del nostro paese non può essere orientato dal dimensionamento scolastico selvaggio che condanna le situazioni lontane dai centri urbani all’isolamento. Né è irrilevante per il diritto all’istruzione almeno fino a sedici anni il peso dei processi di  urbanizzazione, le differenze sostanziali  che caratterizzano le conurbazioni del nord, del centro, del sud, delle isole. 

In conclusione, spero che questo contributo possa essere utile alla scuola che c’è per riprendere il largo, percorrendo  la Via Maestra, che rimane per me la nostra Costituzione

Scrive...

Caterina Gammaldi A lungo docente di scuola media; già componente del CNPI

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