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19/12/2023

Per Tecnici e Professionali… una riforma discutibile!

di Marilena Fera

Gli istituti professionali non si sono ancora ripresi dalla riforma del 2017, che aveva proposto indirizzi quanto mai discutibili, come il Mady in Italy, che nuovamente ricadono nel mirino del governo di turno.
E’ dalla fine degli anni novanta che ci sentiamo ripetere lo stesso ritornello “I dati sulla dispersione scolastica sono negativi, soprattutto al sud. I risultati delle prove INVALSI sono negativi in particolare nelle regioni meridionali e soprattutto negli Istituti professionali. Dobbiamo seguire i modelli europei, Confindustria sostiene che tra le competenze in uscita dei nostri allievi e le richieste del mercato del lavoro c’è un forte divario, a cui dobbiamo porre rimedio, perché questo non facilita l’inserimento nel mondo del lavoro ecc…ecc…” Però le proposte risolutive a queste preoccupazioni, come le ultime suggerite dalla riforma Valditara, finiscono col peggiorare la situazione dei nostri istituti, come viene sottolineato anche dal CSPI. C’è forse bisogno di fare chiarezza su ciò che si sta discutendo con un ragionamento che affronti punto per punto le proposte della riforma, riportando anche esempi concreti.

  1. Sin dai tempi della Moratti, si è parlato di ridurre a quattro anni il percorso di studio di tecnici e professionali, oggi si ripropone questo modello, come se la panacea di tutti i mali fosse la riduzione dell’insegnamento. Sono del parere che la scuola, come diciamo nel CIDI, debba “governare il cambiamento non seguire le mode”, specialmente se queste non hanno ben presente la situazione scolastica reale di un paese.

Vorrei ricordare, contrariamente a quanto sostiene il ministro, che l’obiettivo primario degli Istituti di Istruzione Superiore, e questa denominazione non è stata scelta a caso, è favorire una preparazione che aiuti i ragazzi a diventare cittadini consapevoli oltre che bravi esecutori di un lavoro, ma se ogni volta riduciamo il tempo dedicato allo studio, al confronto, alla discussione e alla riflessione, la scuola perde di vista il suo compito primario. Come scriveva la nostra Presidente nazionale Valentina Chinnici “Una società per quanto sia dinamica non può fare a meno dell’intelligenza e della cultura…e ai ragazzi bisognerebbe fornire la possibilità di pensare con lentezza e tranquillità”, aggiungo attraverso tempi dilatati e non ridotti al lumicino. Temo inoltre che questa riduzione vada a differenziare in modo ancora più marcato il divario tra Licei e Istituti tecnici e professionali secondo il famoso modello di gentiliana memoria, che continua a persistere nei disegni politici dei nostri governanti.

  1. Per tranquillizzarci il ministro ci propone un modello 4+2, insistendo sulla possibilità che i ragazzi possano continuare, dopo i quattro anni, con un percorso biennale post diploma negli Istituti Tecnici Superiori, ribattezzati ITS Academy. L' obiettivo di Valditara è quello di trasformarli in una sorta di università terziaria, non accademica, ma il sistema italiano non prevede i tre pilastri formativi che hanno altri paesi europei, definirla terziaria è già di per sé errato. Inoltre questi due anni non sono obbligatori, non compenseranno certo le ore di insegnamento perse sia dai ragazzi che si fermeranno ai quattro anni e sia dagli insegnanti che avranno meno cattedre a disposizione. Infatti negli Istituti Tecnici Superiori, sono chiamati ad insegnare docenti universitari, esperti esterni e solo in pochi casi qualche docente interno.
  2. Un’ ulteriore riduzione dell’insegnamento delle discipline si avrà con le ore di alternanza scuola lavoro i cosiddetti PCTO. Con la riforma sono state confermate ben 400 ore di alternanza negli Istituti tecnici e professionali. Ora questi percorsi, svolti direttamente nelle aziende del territorio, dovrebbero facilitare, come dice Confindustria il contatto dei ragazzi con “competenze specifiche e trasversali di più alto livello”. Ma guardiamo la realtà, in questi ultimi anni nel nostro territorio, in particolare quello calabrese abbiamo assistito da parte delle scuole alla “caccia all’azienda” perché, essendo davvero poche, non sono in grado di ospitare tutti i ragazzi dei vari istituti. Quelle poche e disponibili, non sempre offrono esperienze di lavoro significative, per cui diversi ragazzi tornano delusi sostenendo che di tutto hanno fatto, tranne ciò che è legato al loro indirizzo di studio, in quanto spesso vengono chiamati a svolgere mansioni non pattuite con le scuole stesse. Intanto però 400 ore, significano lunghi periodi lontani dall’aula, con tutto quello che questo comporta in termini poi di ripresa dello studio. Con la riforma Valditara le 400 ore verranno spalmate sempre su un triennio, ma a cominciare dal secondo anno, questo potrebbe mettere in discussione gli obiettivi della legge 296 del 2006 sull’obbligo scolastico, perché non ci sarà il tempo, nel biennio, per garantire lo sviluppo di quelle competenze di base fondamentali comuni a tutte le scuole, non ci sarà nemmeno tempo per perfezionare quelle di lettura e comprensione dei testi, inglese, matematica, che guarda caso vengono verificate dalle prove INVALSI, i cui risultati spesso vengono additati come l’esempio dell’incapacità delle attuali scuole professionali a dare risultati apprezzabili! Lo ribadisce anche il CSPI che le attività di PCTO potrebbero “risultare insignificanti o persino pericolose se destinate ad alunni che non siano ancora pronti ad assumere gli atteggiamenti adeguati in contesti reali non scolastici”.

Certo è incredibile come la scuola sia indicata da una parte come l’istituzione che ha il compito di risolvere tanti problemi sociali, per ultimo la tragedia del femminicidio, dall’altra si impoverisce sempre di più la sua azione educatrice e didattica, perché diventa prioritario il lavoro.

  1. Il ricorso agli esperti esterni, già presenti negli Istituti post diploma, viene suggerito dalla riforma come strumento da utilizzare anche durante i quattro anni di studio, persone provenienti del mondo del lavoro che dovrebbero facilitare l’acquisizione di competenze sempre più aggiornate e approfondite. Ma come sempre i provvedimenti infiocchettati con belle parole che non guardano però alla concretezza, alla realtà, alla fattibilità, ci lasciano molto perplessi. Intanto per ospitarli dovremmo ulteriormente rinunciare ad altre ore di lezione dedicate alle discipline curricolari, poi se di lezioni di laboratorio si tratta, vorrei capire come fa un esperto professionista ad insegnare agli studenti l’uso di un macchinario all’avanguardia se nei nostri laboratori i docenti fanno fatica a svolgere le attività di laboratorio quotidiano, per la mancanza di una strumentazione adeguata.

Forse questi esperti si porteranno dietro i loro macchinari visto che i nostri sono obsoleti e alcuni risalgono addirittura agli anni ’80! Qualcuno dovrebbe ricordare al ministro che i nostri colleghi di laboratorio sono essi stessi esperti impegnati anche all’esterno della scuola, i maestri orafi dell’indirizzo in cui ho lavorato sono conosciuti nel territorio per la loro preparazione, forse più che di esperti la scuola ha bisogno di mezzi e finanziamenti.

Il decreto sulla sperimentazione che partirà il prossimo anno, sulla carta dice di garantire l’organico in essere, ma prevedendo l’introduzione nel sistema di nuove figure di docenti, non contrattualizzate, per le quali non è ancora chiaro il monte ore rispetto ai docenti curricolari, dovranno essere le scuole con contratti annuali a farsi carico della spesa. Sarà questo sostenibile anche solo economicamente dalle scuole?

  1. In attesa della sperimentazione già da quest’anno Valditara ha introdotto le nuove figure interne, sono comparsi tutor e orientatori, che ahimè molte scuole si sono affrettate a nominare, senza riflettere sulle possibili conseguenze che ne possono derivare. Ricordo inoltre che già la precedente riforma dei professionali, il decreto 61 del 2017, aveva introdotto la figura del tutor per classe con il compito di redigere il PEI. Ora se controlliamo le funzioni che dovrebbero svolgere le nuove figure, ci accorgiamo che alcune sono simili a quelle già messe in atto dalle precedenti riforme attraverso il tutor, i coordinatori di classe (penso per esempio ai rapporti con le famiglie), altre ancora a quelle degli insegnanti di sostegno o delle funzioni strumentali all’orientamento, a mio avviso potrebbe crearsi una inutile sovrapposizione di ruoli e funzioni.

Inoltre c’è molta ambiguità sia sul carico di lavoro, sia sul rapporto studenti-docente che non è stato definito chiaramente. Poca chiarezza c’è sul numero delle ore effettive necessarie per svolgere questo ruolo, così come lascia perplessi la formazione universitaria, per lo più online anziché sul campo. Le dinamiche che si creano all’interno della classe, quando ad essere fragile e in difficoltà è la maggioranza di ragazzi (cosa che accade spesso nei professionali) difficilmente possono essere risolte dal singolo. E’ il lavoro collegiale che va recuperato sia all’interno dei consigli di classe che all’interno di collegi e dipartimenti.

Certo anche il lavoro del collegio docenti è messo a dura prova dalla politica di dimensionamento che è stata già messa in atto, in particolare nella nostra regione, per convenienza economica. Come si fa a discutere nei collegi docenti se gli istituti vengono accorpati al punto che non si trovano aule adatte ad accogliere 200 o più persone. Dove trovano il tempo e lo spazio i docenti per discutere e confrontarsi se solo per chiamare l’appello dei presenti se ne vanno i primi tre quarti d’ora? Può essere garantito a tutti il diritto a intervenire nella discussione? La soluzione potrebbe essere: accettiamo tutto e non discutiamo. Gli esempi pratici ci fanno comprendere quanto possa essere dannoso un provvedimento che non solo riduce posti di lavoro, ma corrode la democrazia all’interno della scuola.

  1. Un’altra parola usata nel decreto del 7/12/2023 che dà inizio alla sperimentazione dal prossimo anno scolastico, è la parola “Campus”, un’idea di scuola che deve nascere sulla base di accordi specifici tra gli USR (Ufficio Scolastico Regionale) e le Regioni.

I “campus” sono aggregazioni di scuole tecniche e professionali di un territorio, anche paritarie, che dovrebbero dar vita a un polo formativo legato alle esigenze specifiche dei territori.

Ora questi accordi fanno nascere in me un brutto presentimento, quando si va a consentire alle Regioni, che ne avranno la possibilità economica, una maggiore autonomia decisionale in fatto di organizzazione scolastica, mi viene da pensare che forse il disegno politico finale è sostenere la cosiddetta “autonomia differenziata”, infatti sarà difficile garantire un’organizzazione omogenea dei campus su tutto il territorio nazionale, viste le difficoltà di alcune regioni. C’è nuovamente il rischio che le scuole del sud avanzino con una marcia in meno rispetto alle altre.
Ogni governo in questi anni ci ha proposto la sua riforma e la scuola è stata spesso oggetto di propaganda elettorale o motivo di scontro politico, tutto questo ha generato in alcuni casi controriforme inutili, in altri atteggiamenti passivi e inerzia di fronte ai cambiamenti, che hanno danneggiato ulteriormente il nostro sistema scolastico. Non provochiamone la fine con provvedimenti che non tengono conto delle condizioni reali delle nostre scuole. Di certo non è come dice il ministro “la cultura del lavoro” l’obiettivo primario degli Istituti tecnici e professionali, bensì la cultura che si nutre di principi costituzionali e contribuisce ad alimentarli, principi che non possono essere racchiusi solo nel diritto al lavoro, a cui va certo portata attenzione attraverso la formazione, ma non deve essere prioritario.

Permettere che i ragazzi frequentino il quinto anno non è un “sequestro”, come sostiene chi non crede nella scuola, è l’occasione migliore, data l’età e una maggiore consapevolezza, per aiutarli a diventare quei cittadini responsabili che tutti auspichiamo.
Per questo motivo, associandomi a quanto sostenuto dal CSPI, ma col diritto di chi nei professionali ha lavorato per buona parte della propria carriera scolastica, anche il mio parere sulla riforma è negativo.

 

Immagine a fianco: Bettanier, "la tache noir" (1887)

Scrive...

Marilena Fera Insegnante di lettere nelle scuole secondarie di II grado, fa parte della segreteria del Cidi Cosenza.

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